Ruolo e struttura della organizzazione rivoluzionaria

La coscienza comunista

Riteniamo acquisito alla dottrina rivoluzionaria la posizione teorica complessiva elaborata da Marx nell'Ideologia Tedesca, ribadita nell'opera teorica e pratica di Lenin, riaffermata negli atti costitutivi della III Internazionale e nella formazione del P.C. d'Italia, difesa dalla Sinistra Italiana negli anni 1930 e 1940, secondo la quale:

  1. essendo la storia storia di lotte di classe, sarà il proletariato a far compiere il decisivo passo dell'umanità dal mondo della necessità al mondo della libertà;
  2. il proletariato non ha posizioni di forza da conquistare gradualmente nel seno stesso della società capitalista: il prolungarsi della vita del modo di produzione capitalista non logora il potere borghese, come avveniva per le classi sfruttatrici di fronte ad altre classi sfruttatrici; il dominio del capitale sulla società viceversa tende a farsi assoluto esercitandosi nelle più profonde pieghe della società civile;
  3. dalla esistenza stessa della classe forzata al più deciso antagonismo contro le altre classi “prende le mosse la coscienza della necessità della rivoluzione che vada a fondo, la coscienza comunista” concretamente.
  4. è nei momenti di crisi, quando la borghesia non è più in grado di controllare l'esplodere delle contraddizioni insite nel suo modo di produzione e dei suoi rapporti sociali, che si pone storicamente all'ordine del giorno la possibilità della rottura rivoluzionaria del dominio borghese medesimo;
  5. la rivoluzione “non è necessaria soltanto perché la classe dominante non può essere abbattuta in nessuna altra maniera, ma anche perché la classe che la abbatte può riuscire solo in una rivoluzione a levarsi di dosso tutto il sudiciume e a diventare capace di fondare su nuove basi la società” (Marx); è solo “in un movimento pratico, in una rivoluzione”, che si rende possibile “una trasformazione in massa degli uomini, necessaria alla produzione in massa della coscienza comunista” (Marx).
  6. per tutto il periodo precedente e nel corso stesso del processo rivoluzionario la coscienza comunista è portata da una minoranza di individui della classe operaia e di altre classi; essa ha preso le mosse dall'esistenza stessa del proletariato e dalla oggettività degli antagonismi di classe e a questi fa continuo riferimento; da ciò trae la sua forza e la sua specifica natura materialistica, e perciò è patrimonio della classe intera;
  7. come espressione della tendenza e del programma storico del proletariato, la coscienza comunista non è né può essere definita “ideologia” nella accezione marxista del termine; essa al contrario è lo strumento più completo di conoscenza della realtà sociale ed economica complessiva poiché il suo fine è la modificazione della realtà complessiva stessa; mentre la coscienza rivoluzionaria borghese era volta alla critica degli aspetti di facciata del dominio aristocratico e alla necessità di sostituire una classe sfruttatrice (la borghesia) ad un'altra, la coscienza comunista è volta alla critica della natura profonda di classe della società attuale e di tutte quelle che l'hanno precedute ed è volta alla eliminazione della divisione in classi medesima; non è l'ultima dottrina in senso lato ma è certamente l'ultima dottrina politica rivoluzionaria; ne è evidente dimostrazione in atto il fatto stesso che le ideologie che si discostano dal marxismo rivoluzionario nei paesi del cosiddetto “socialismo reale” (che per i comunisti sono paesi a capitalismo di Stato pienamente inseriti nello schieramento internazionale del nemico di classe) ripercorrono spesso malamente le vie tradizionali dell'ideologia borghese classica;
  8. il rapporto che lega la classe alla sua coscienza comunista è lo stesso che lega la classe al suo futuro esercizio della dittatura: esiste nella oggettività delle contraddizioni economiche e sociali e nella dinamica storica a queste immanente, non è presente alle menti e alla psicologia dell'insieme dei proletari sino a che questi non saranno portati a “fare la loro storia”;
  9. vanno definitivamente respinte e combattute come estranee al marxismo e proprie invece dell'idealismo piccolo borghese, quelle tesi che valutano possibile un crescere della coscienza comunista sino alla sua generalizzazione al di fuori del processo pratico rivoluzionario stesso. Esse non solo poggiano sul presupposto appunto idealista del potere superiore della idea, ma, ciò facendo, illudono i potenziali rivoluzionari su ciò che non può essere, distogliendoli dai compiti imprescindibili invece dei comunisti e sono perciò di ostacolo allo stesso lavoro comunista;
  10. queste tesi sostanzialmente antimarxista sono oggi fatte proprie dal movimento consiliarista che partito da una errata valutazione del processo rivoluzionario e controrivoluzionario in Russia, è arrivato a posizioni del tutto estranee e contrastanti con quelle del movimento comunista.
  11. prossime alle posizioni consiliarista e come queste da respingere sono quelle che pur riconoscendo che solo nel processo rivoluzionario si renderà possibile la generalizzazione della coscienza comunista, la riducono alla “coscienza della necessità della rivoluzione”, rinunciando così alla lotta organizzata contro le organizzatissime forze borghesi che parlando di rivoluzione operano in realtà per la conservazione del capitalismo e la egemonia di uno o dell'altro fronte imperialista;
  12. del pari, è da respingere la posizione secondo la quale la coscienza comunista e il patrimonio di principi, tesi, indicazioni della rivoluzione comunista sono dati una volta per tutte e non richiedono variazioni nel passaggio da una fase storica all'altra; quanti ruotano attorno a questa posizione dimenticano che la coscienza comunista è tale solo se e in quanto fa stretto riferimento alla classe e alle esperienze che essa conduce obiettivamente nel suo rapporto subordinato al capitale; dimenticano quindi che tesi e indicazioni devono mutare con il mutare stesso della reale situazione in cui la classe vive; il problema centrale è riconoscere innanzitutto le mutazioni di situazioni, riconoscerne i caratteri e trame le lezioni necessarie, fermo restando, ovviamente e contro le tesi borghesi dei partiti nazional-comunisti, che nell’ambito del modo di produzione capitalista le variazioni non possono giungere ad intaccare la sostanza di classe della società e il fatto che il proletariato è e resta classe sfruttata economicamente e dominata socialmente e politicamente;

La organizzazione dei rivoluzionari: il Partito

  1. Per tutto il periodo precedente l'assalto rivoluzionario e nel primo periodo rivoluzionario stesso, la coscienza comunista è portata da una minoranza nel senso che solo una minoranza possiede e si muove sulla base di questa coscienza medesima. È questo un dato reale e concreto e, come tale, fuori di discussione. Su questa minoranza grava il compito di forgiare gli strumenti necessari alla classe per lo svolgersi, nei momenti di crisi del modo di produzione capitalista, di quel “movimento pratico”, la rivoluzione, attraverso il quale soltanto la classe stessa matura in massa la coscienza comunista. L'organizzazione compiuta della minoranza rivoluzionaria è il partito.
  2. Al Partito spetta il compito permanente di ritornare all'insieme della classe il bagaglio di tesi, principi e indicazioni di lotta per il comunismo così come la coscienza comunista li ha elaborati a partire dai dati di esperienza che la vita stessa della classe operaia fornisce.
  3. Il partito è dunque il “medium” attraverso il quale si esprime il rapporto fra la classe e la coscienza di classe per tutto l'arco storico di esistenza del capitalismo nella fase stessa di transizione dal capitalismo al comunismo.
  4. La presa del potere da parte della classe proletaria e dunque l'avvio della rivoluzione nell'intera società si rende possibile solo e in quanto nei momenti di crisi del capitalismo la classe riconosce nei principi e nel programma rivoluzionari il proprio interesse storico, solo e in quanto si cementa nel suo assalto allo stato borghese attorno al suo partito, attorno al suo programma.
  5. Gli alti e bassi dell'organizzazione partito rispecchiano fedelmente gli alti e bassi nella vita della classe, sin quasi a scomparire nei momenti di profondo riflusso e di strapotere della borghesia sul piano economico e politico. Come non scompare l'antagonismo obbiettivo fra le classi, così non scompare la coscienza comunista che da quello trae spunto e alimento. Può bensì ridursi, sino a sembrare scomparsa la organizzazione dei rivoluzionari, ciò si verifica in particolare quando le sconfitte della classe inducono nelle file stesse dei rivoluzionari delusioni e sgomenti e quindi confusioni e sbandi sul piano stesso della coscienza comunista. È quanto si è verificato nella stessa situazione italiana negli anni immediatamente attorno al 1948, quando la definitiva vittoria dello stalinismo nel disarmare la classe e portarla a ritemprare gli anelli delle proprie catene ha indotto la dispersione nelle file dell'organizzazione unitaria del P.C.Int., sorta nel 1943, ai cenni di una possibile ripresa della classe dalla profonda depressione stalinista.
  6. L'esistenza di più organizzazioni reclamantisi partito nulla toglie alla continuità del partito stesso e al dovere dei militanti rivoluzionari di difenderla. Tale fu il dovere dei compagni della Frazione di Sinistra in Francia e in Belgio nei confronti del partito costituito a Livorno 1921 per tutto il periodo in cui ritennero non compiuto il ciclo involutivo della Terza Internazionale e del potere sovietico. Compiutosi questo con la partecipazione dell'Unione Sovietica alla guerra di Spagna in qualità di agente controrivoluzionario e alla guerra imperialista quale componente di uno dei blocchi contrapposti, la stessa difesa della continuità rivoluzionaria dovette cristallizzarsi nel nuovo Partito Comunista Internazionalista, che riuniva nel suo corpo di tesi e nel suo programma tutto il bagaglio d'esperienza e di elaborazione precedente. Lo spezzarsi in due tronconi di questo partito ed il germinare di uno dei due gruppi e correnti spesso apertamente controrivoluzionarie (si pensi ad Invariance) non ha portato alla scomparsa o al tradimento totale delle basi programmatiche del 1943.
  7. Sebbene non sia da escludersi a priori un soprassalto rivoluzionario in un paese senza che il Partito mondiale del proletariato si sia ancora formato, e quindi sotto la guida di un partito “nazionale”, l'esperienza storica precedente e il progressivo concentramento imperialista sovranazionale insegnano che lo sforzo dei rivoluzionari deve tendere a forgiare il partito internazionale sulla piattaforma teorica e programmatica espressa dalla coscienza comunista dei rivoluzionari in mezzo secolo di storia. Alla sovranazionalità del Capitale, all'identità cioè dei suoi interessi di classe in tutti i paesi corrisponde la sovranazionalità degli interessi proletari. Una rivoluzione vittoriosa in un paese non può sopravvivere oltre un brevissimo tempo se le viene meno la solidarietà attiva del proletariato mondiale non solo sul piano della difesa quanto su quello dell'attacco rivoluzionario all'intera catena capitalista. Al compimento di questo piano strategico obbligato è essenziale il Partito mondiale della RIvoluzione il quale, proprio perché volto all'attacco generalizzato, subordinerà a questo la tattica della sua sezione nel paese in cui per prima si è scatenata la rivoluzione e ha vinto.
  8. In questa prospettiva si pone il nostro partito nel suo lavoro internazionale. Alla sovranazionalità degli interessi proletari e della sua strategia corrisponde il centralismo nella organizzazione del partito. Il partito è lo strumento indispensabile della rivoluzione proletaria perché solo in esso si rende possibile la traduzione in piattaforma politico-programmatica dei dati e delle spinte provenienti dalla oggettività della situazione di classe, che resterebbero altrimenti incoerenti e facile preda del settorialismo e del corporativismo quali portati della ideologia borghese, prima ancora che della repressione diretta da parte del potere borghese. Condizione di ciò è che il Partito stesso sia compatto attorno alle sue linee centrali e organizzato quindi secondo criteri centralistici e non federalistici. Come la classe trasmette al Partito le sue molteplici e a volte contraddittorie esperienze perché questo le elabori in un programma unificante che alla classe deve tornare, così nello stesso partito si presenta analogo movimento di andata al centro e ritorno alla periferia del patrimonio di esperienze e di milizia e delle indicazioni strategiche e tattiche.

La classe e il partito

La tesi secondo la quale il Partito si forgia immediatamente prima della rivoluzione se non addirittura nel corso della rivoluzione stessa, stravolge completamente il concetto stesso di Partito, Se infatti la classe è in grado di avviare le manovre di attacco già richiedenti uno schieramento politicamente omogeneo di forze, senza l'intervento del fattore di unificazione politica che è il Partito, ciò significa che il Partito stesso è superfluo. Se è la classe stessa che ad un certo grado di sviluppo della sua lotta “si dà” il Partito, allora questo diventa tutt'al più uno strumento operativo senza alcun rapporto con il problema della coscienza. Si ricadrebbe con ciò sulle noti tesi consiliariste.

Per questo motivo essenziale vanno combattute in seno al movimento di sinistra comunista le tesi che pur riconoscendo la necessità del partito per il compimento della rivoluzione, ne rimandano la costituzione a tempi “più maturi”. Ad esse infatti si accompagna una gravissima sottovalutazione dei compiti pratici spettanti al Partito stesso (o organizzazione dei rivoluzionari - come certi compagni amano esprimersi). Fra i compiti essenziali, si è visto, c'è quello di dotarsi degli strumenti operativi necessari perché si renda concretamente possibile il ritorno alla classe del programma di emancipazione proletaria elaborato dal Partito sulla scorta della esistenza e delle esperienze del proletariato. In questo senso la formula: “il partito agisce in quanto parte della classe nella classe stessa” non dice nulla perché significa solo che i militanti rivoluzionari stanno all'interno delle lotte proletarie, se e là dove sono presenti, riportando posizioni critiche e indicazioni generali del Partito. Ciò è la base indispensabile ma non sufficiente al compimento del ruolo di guida del Partito, a meno di ammettere una estensione numerica tale del partito da essere presente in forze ovunque, il che contraddice la natura di “minoranza” generalmente ammessa del Partito.

Deve essere invece acquisita fra gli essenziali principi rivoluzionari la necessità di esistenza di organismi intermedi fra partito e classe per tutto il periodo precedente l'assalto rivoluzionario e oltre. Sono gli organismi di cui il partito si serve per estendere il più possibile l'influenza della propria piattaforma e delle proprie indicazioni,per trasmetterle al corpo intero della classe. La classe si muove e lotta sul piano rivendicativo, economico, potremmo dire contrattuale. Solo i rivoluzionari, i comunisti posseggono precisa coscienza della limitatezza di queste lotte e della loro insufficienza alla emancipazione di classe. I comunisti si distinguono da tutta la restante massa proletaria proprio perché nel mentre stessi si battono con l'insieme della classe nelle lotte rivendicative, ne denunciano il limite e propagandano in esse e attraverso di esse la necessità storica della rivoluzione. Si tratta dunque per i comunisti di saldare le lotte della classe operaia alla strategia politica complessiva dell'assalto allo stato borghese. Si tratta cioè di predisporre gli strumenti di cui il partito si serve per orientare concretamente all'assalto le masse proletarie impegnate nella lotta contro i capitalisti nella fase di generalizzazione delle lotte stesse e di crisi del sistema. Verrebbe meno un suo compito essenziale e non sarebbe partito, quella organizzazione dei rivoluzionari che trascurasse di lavorare con tutti gli strumenti opportuni all'interno della classe operaia per tutto il periodo precedente la rivoluzione, perché nel momento in cui la situazione fosse obbiettivamente favorevole, si troverebbe del tutto impreparato e isolato dalla classe con il risultato che la classe a sua volta si troverebbe disarmata e allo sbaraglio.

La possibilità concreta di fare passi avanti in questo armamento del partito è naturalmente strettamente connessa al grado di maturazione della lotta di classe e ai rapporti reali in seno alla classe fra rivoluzionari e agenti di sinistra della borghesia. Ciò non toglie che tale armamento debba essere esattamente previsto nel Programma del Partito. Ne è riprova il fatto che i “gruppi di fabbrica internazionalisti” previsti dal nostro programma e che riteniamo debbano essere parte integrante della piattaforma del partito internazionale che vogliamo contribuire a creare, hanno vita stentata e difficile oggi, avendo avuto enorme importanza in altri periodi (dal 1946 al 1948, per esempio). Il loro compito infatti non è tanto quello di “incitare a lottare di più sul piano economico”, come sembrano credere alcuni compagni, quanto quello già espresso di trasmettere nella classe i principi politici generali e le indicazioni politiche del Partito, saldando ad esse strati operai simpatizzanti, punta di diamante e punto di riferimento per le future lotte rivoluzionarie. La difficoltà della situazione attuale, il basso livello di coscienza operaia che si riscontra oggi si traducono in una enorme difficoltà a rafforzare la rete operaia e nella quasi impossibilità di estenderla. Se venissimo però meno a questo punto del programma, rimandando a tempi migliori, ci renderemmo semplicemente inabili al compito, nel momento favorevole stesso, sforniti dei quadri e della esperienza che anche il partito può maturare solo attraverso una lunga e combattiva presenza nella classe operaia. Fra gli strumenti che il partito si deve dare nel suo lavoro verso la classe e verso la rivoluzione, la rete dei gruppi di fabbrica è solo il più importante e urgente, ma altri dovranno essere studiati e approntati che oggi, data la scarsa consistenza numerica dei rivoluzionari e stante l'arretratezza della situazione politica, non si mostrano necessari. Altri ancora, propri ad una fase precedente della società borghese e del movimento rivoluzionario, sono invece da considerarsi affatto superati, quali per esempio la organizzazione della “gioventù comunista”.

Riaffermiamo dunque il principio essenziale per il quale non c'è partito di classe senza strumenti che leghino realmente l'organizzazione centrale del partito alla classe stessa e che non opera in realtà verso il Partito chi sottovaluta o nega questo assunto fondamentale.

  1. Il rapporto dialettico che lega la classe al suo partito non viene meno né si modifica nella qualità con la presa del potere e la costruzione del “semi-stato proletario. L'una e l'altra si rendono possibili alla sola condizione che la classe si proietti unitariamente e compattamente verso questo obbiettivo.
  2. Il “semi-stato” proletario si caratterizza per la sua particolare forma sovietica scoperta dal proletariato stesso nella esperienza della Rivoluzione. La graduale scomparsa delle classi, perseguita dal movimento pratico rivoluzionario delle masse operaie, si accompagnerà alla produzione di massa della coscienza comunista e alla graduale scomparsa quindi dello stesso Partito.
  3. Il Partito, lungi dall'identificare la propria struttura con quella dello Stato Operaio, svolge il suo ruolo di guida politica se e in quanto la classe si riconosce nelle indicazioni che questo emana. In tali condizioni è naturale che negli organi esecutivi del potere proletario siano eletti nell'ambito dei Consigli i quadri del Partito.
  4. La necessità di approfondire la loro comprensione dei problemi del periodo di transizione, per i gruppi della sinistra comunista, deve iniziare dalla chiara e fondamentale affermazione che senza il partito non ci può essere rivoluzione e dittatura del proletariato, esattamente come non ci può essere dittatura del proletariato e stato dei lavoratori senza i consigli dei lavoratori.