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Problemi del nostro tempo
Perché questo libro
Quali che siano stati e siano tuttora i dissensi, le lotte e persino le lacerazioni interne che questo libro (1) evidenzia, anzi e soprattutto per questa loro pregnante attualità, noi rivendichiamo e continuiamo quanto fu di Bordiga e nostro, cioè della “Sinistra Italiana” nel suo insieme, negli anni 1920, tanto duri e difficili per noi tutti quanto formativi, quelli della costruzione del partito rivoluzionario prima e dopo Livorno.
Si tratta di un patrimonio non contingente, di dottrina, di metodo e di coerente consequenzialità ai dettami del marxismo che non attende di essere soltanto difeso ma deve riemergere nella sua originaria totalità in uno scorcio della storia del movimento operaio in cui teorici, usciti dalla mediocrazia di partito, si fanno assertori d'un nuovo conformismo demosocialpatriottico e pretendono di farla da innovatori del marxleninismo e del contenuto rivoluzionario del socialismo degradati così a spregevole merce da rigattieri della cultura e dalla politica; voltate le spalle agli interessi fondamentali della classe lavoratrice, sono di fatto nel governo dello Stato dei padroni come forza determinante per salvarlo dall'attuale processo di disgregazione e di disfacimento che mortalmente l'attanaglia e irridono, non a caso, a tale patrimonio di idee e di quadri tenacemente operanti sul piano opposto della rivoluzione proprio in una fase in cui è aperta l'epoca storica del suo inarrestabile realizzarsi.
Due linee, dunque, tra loro contrapposte, che emergono dall'attuale situazione economico-politica.
La prima, quella rivoluzionaria del marxismo che vede nella crisi strutturale del sistema capitalista il dato obiettivo pervenuto a maturazione e quindi sufficiente per spingere il proletariato, suo diretto e storico antagonista, ad operare lo strappo violento per il suo totale superamento avente come fine la costruzione della società socialista.
La seconda, quella pluralistica del revisionismo democratico-parlamentare, già intravista nel “blocco storico” di Gramsci, tradotta e inserita poi, in termini di pragmatismo empirico e facilone nel “compromesso storico” di Berlinguer ha per obiettivo la restaurazione economica e politica da realizzare all'interno del sistema capitalista per assicurargli salvezza e continuità.
Presentazione alla seconda edizione
Nella presentazione di questa seconda edizione ci siamo preoccupati di completare il quadro per se stesso complesso, mettendo a punto alcuni aspetti caratteristici della problematica bordighiana con le implicazioni pratiche che dovevano scaturire che costituiscono un mondo a sè, quello che comunemente viene chiamato “bordighismo”, che Bordiga vivo avrebbe respinto con strafottenza del tutto napoletana e che ritroviamo alla base della “sinistra italiana” in una assoluta unità di teoria e di pratica fino al Congresso di Lione (1926). Poi si tratterà per la “sinistra” di continuare a difendere questo patrimonio di dottrina e di tradizione di classe del marxismo, a cui Bordiga aveva dato l'apporto maggiore e migliore, difenderlo nei confronti dello stesso Bordiga rimasto, per molti rapporti e per suo stesso riconoscimento, sotto le macerie della III Internazionale.
In una fase come questa, di deflusso di classe, era un problema di importanza fondamentale assicurare questa continuità per la “sinistra” chiamata a portare avanti la costruzione del partito, in quanto strumento insostituibile della rivoluzione.
Il dopo Bordiga ha visto ripetersi il dramma semicomico della lotta per i diritti di successione ciò che ha dato l'avvio ad una fioritura di pubblicazioni per lo più antologiche ed acritiche fatto su misura ideologico-politica o di singoli o di gruppi dalle estrazioni più varie; ognuno ha strappato più penne che ha potuto nella vasta gamma degli scritti di Bordiga per farsene ornamento e ognuno vi ha visto e riconosciuto per suo uso e consumo un briciolo di tale paternità. Segni questi di una ripresa di classe? Ritorno di particolare attenzione verso la “sinistra”? Bassa speculazione editoriale a fianco a iniziative di gruppettari di scarso credito e di nessuna autosufficienza ideologico-politica? Si tratterà forse di tutto un po' ma siamo più propensi per l'ultima ipotesi.
Tra queste pubblicazioni, “Scritti scelti” a cura di Franco Livorsi, (Feltrinelli editore) è la raccolta di un certo respiro ma è anche, tendenzialmente, la più insidiosa per il tipo di storiografia cui si ispira in evidente funzione “picista” che traspare da tutte le pagine. Ma vi è evidente anche una incapacità di approfondimento critico dei problemi che affronta. Più precisamente le note d'introduzione o di commento ad ogni scritto di Bordiga esprimono più cura letteraria che taglio storico e conoscenza della materia. Documenti di un certo peso politico come, ad esempio, la lettera a Karl Korsch, sono buttati lì senza una adeguata e seria ambientazione in una situazione data, espressione di avvenimenti salienti di uno scorcio storico fortemente caratterizzato dallo scontro politico in atto o allo stato potenziale tra le forze entrate in crisi nei quadri dell'Internazionale Comunista. Era ancora nell'aria l'effetto traumatizzante del “Comitato d'Intesa” e la lettera di Bordiga a Korsch dava consigli di cautela proprio di riflesso alla dura esperienza vissuta nelle lotte interne di partito che avevano preceduto il Congresso di Lione tra la sinistra e il centro le cui' conseguenze, sul piano della deviazione ideologica e politica, si sarebbero poi viste ingigantite, con il “partito nuovo” di Togliatti, su su fino all'odierna politica del “compromesso storico” di Berlinguer.
La stessa osservazione vale per la lettera di Bordiga a Terracini che ci si rimprovera d'aver definito la lettera-testamento. Non ha capito Livorsi l'importanza del documento che ha avuto il privilegio di conoscere e rendere pubblico. L'avrà letto da amante di lettere ma non da studioso di storia e tanto meno da marxista. Avrebbe dovuto porsi qualche interrogativo e tentare di formulare delle risposte. È vero che il marxismo in quanto dottrina e metodo non divinizza ma offre a chi dispone di adeguati strumenti d'indagine la possibilità della previsione storica. La spiegazione ad esempio, della crisi attuale che dal 1971 sta scuotendo dalle fondamenta l'economia industriale più sviluppata del mondo, è tutta nella teoria marxista della caduta tendenziale del saggio del profitto; bisognava riallacciare questo presupposto teorico essenziale del “Capitale” di Marx all'aspetto originario e fortemente caratterizzante della crisi con tutte le sue inevitabili implicazioni quali lo sconvolgimento monetario, la recessione e, prima ancora, l'inflazione che hanno avuto la loro prima manifestazione, non a caso, in America, nel paese, cioè del capitalismo tecnicamente più avanzato. Ciò che abbiamo fatto noi della sinistra comunista, quando tutti gli altri partiti e raggruppamenti, tutti, ripetiamo, o tacevano o negavano l'esistenza della crisi o l'attribuivano a fenomeni contingenti di sovrastruttura.
Ma ipotizzare una soluzione rivoluzionaria nel 1975, datare cioè, nel ristretto spazio di un anno lo scoppio della rivoluzione mondiale non si pone al di fuori di ogni possibilità di previsione storica per cadere nella più assurda e arbitraria fantapolitica?
Un ultimo rilievo, a cui teniamo particolarmente, riguarda l'atteggiamento di Bordiga di fronte alla guerra e ciò per evitare che storture teoriche di epigoni siano poi attribuite a Bordiga o, in genere, alla sinistra comunista che su questo problema, cardine della strategia rivoluzionaria, ha le sue carte in perfetta regola.
Quale l'atteggiamento che i compagni di “Programma” dicono d'aver tenuto e di continuare a tenere di fronte alla guerra? Ecco come lo esprimono:
Sulla guerra scrivevamo per esempio ne “Il corso storico del movimento di classe del proletariato” (v. Per l'organica, ecc. p. 90):
La guerra è indubbiamente una risultante di cause sociali (noi diremmo innanzitutto economiche) ed i suoi esiti militari si inseriscono come fattori di primo ordine nel processo di trasformazione della società internazionale, interpretato materialisticamente e classisticamente. [...] Vi sono fasi storiche in cui è nostro dovere influire per quanto possiamo su un certo esito della guerra. In altre assolutamente no. L'esito ci interessa sempre.
E a mo' di esemplificazione, aggiungono:
Accusarci di aver auspicato la vittoria antiamericana nella guerra di Corea, non ci fa né caldo né freddo e solo un idiota può interpretarlo come “simpatia intellettuale”. Noi siamo andati ben oltre: abbiamo perfino detto che sarebbe stato più proficuo, per la ripresa della lotta di classe nel mondo, che l'America e i suoi alleati fossero stati sconfitti nella seconda guerra mondiale. Ci si dirà che abbiamo una “simpatia intellettuale” per il nazismo, o l'amore del paradosso? Tutti possiamo vedere il risultato della vittoria angloamericana: l'oppressione su tutto il globo, che ad alcuni annebbia la vista a tal punto da credere che essa giunga a determinare tutto quanto succede nell'angolo più remoto della terra!
La dialettica serve qui come mira furbesca, deviante e imbrogliona a giustificazione del proprio smarrimento ideologico e politico.
Chi ha scritto questa robaccia, ramazzata alla meglio dalla cultura borghese, deve avere nelle vene il sangue del socialpatriota che, in previsione della prossima guerra imperialista si sente già incline a voltare le spalle alla parola d'ordine leninista del “disfattismo rivoluzionario” che ripudia ogni tentativo di distinguo e ipotizza la sola strategia che mette sullo stesso piano di responsabilità tutti i protagonisti della guerra, nessuno escluso, sia il blocco americano, sia il blocco russo e sia il blocco cinese. Chi osa affermare:
abbiamo perfino detto che sarebbe stato più proficuo, per la ripresa della lotta di classe nel mondo, che l'America e i suoi alleati fossero stati sconfitti nella seconda guerra mondiale...
costui bara con la coscienza di barare e non ha l'onestà politica di assumere la responsabilità di firmare ciò che scrive. Noi comunque siamo in grado di dimostrare che nessuno dei militanti del nostro partito, dalla sua fondazione fino alla spaccatura nel 1952, compresi, quindi, quei compagni del partito (oggi “programmisti”) che solidarizzano con tali posizioni, ha mai espresso con scritti o con prese di posizioni orali opinioni del genere.
Si trattava, è vero, di una vaga ipotesi che Bordiga aveva formulato nè prima, nè durante ma a guerra conclusa, che rientrava in quel suo “vizio” matematico di sottoporre gli accadimenti della storia al calcolo delle probabilità senza pensare ai futuri e inesperti epigoni che si sarebbero serviti, e nel mode più dissacrante, di una semplice ipotesi di laboratorio, anche se maldestra, per farne una linea politica da seguire.
E aggiungono, soddisfatti:
Tutti possiamo vedere il risultato della vittoria anglo-americana.
Sarebbe stato forse da preferire, chiediamo noi, ai fini della lotta di classe, la vittoria dell'asse italo-germanico? Sciovinismo a parte, la sola formulazione di tale ipotesi che ci ripugna, indica una macroscopica ignoranza del fenomeno imperialista di fronte al quale il proletariato non ha scelta da fare se non quella di abbatterlo.
Ora c'è da attendersi che il deflusso, che si opererà nel blocco delle forze demopopuliste per una loro organica incapacità a capire una crisi che sfugge loro di mano, affretterà il riemergere di una più chiara visione del conflitto di classe e di un rinnovato e più vasto interesse per i problemi che hanno trovato uomini della statura intellettuale di Bordiga spazio per la battaglia di idee e di politica nei quadri della Sinistra comunista italiana di cui questo libro vuole essere insieme documentazione e anticipazione.
Onorato Damen(1) O. Damen, "A. Bordiga - Validita' e limiti di una esperienza nella storia della Sinistra Italiana", E.P.I. Editoriale Periodici Italiani - Milano.
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