Introduzione

Le idee delle classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale, dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale... Gli individui che compongono la classe dominante [...] quindi fra l’altro dominano come pensanti, come produttori di idee che regolano la produzione e la distribuzione delle idee del loro tempo

Ora tutti coloro che nella scuola operano si trovano d’accordo, in modo più o meno consapevole, sul fatto che la scuola provvede a distribuire le idee della classe dominante con forza e intensità maggiori di quelle possibili ad altri mezzi di comunicazione (stampa, mass media, ecc.) perché può servirsi di precisi mezzi di selezione e di emarginazione.

Non si tratta di un fatto paradossale. Marx stesso pone in rilievo l’atteggiamento più recettivo e più passivo rispetto ad altri produttori di idee, dovuto proprio al fatto di essere membri attivi nella classe dominante, in qualità di distributori di idee.

Proseguiamo dunque nella caratterizzazione della nostra corrente. La produzione intellettuale della borghesia. Ovvero la cultura del periodo storico in cui vigono i rapporti di produzione capitalistici, è l’insieme di valori, di conoscenze, di norme di utilizzo delle conoscenze, di dettami etici e comportamentali che giustificano e al contempo sorreggono i vigenti rapporti di produzione. È necessario al capitalismo giustificare attraverso una complessa costruzione ideologica la sua stessa esistenza di fronte alla classe che esso sfrutta e al contempo preparare la classe a subire questo sfruttamento.

Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che fanno di una classe la classe dominante e dunque sono le idee del suo dominio.

Struttura e sovrastruttura non marciano meccanicisticamente di pari passo. La sovrastruttura spesso è costretta a rincorrere la struttura poiché la dinamica di ammodernamento e sviluppo dell’apparato produttive e delle relazioni interumane conseguenti è più veloce dei mutamenti che si verificano nella mente e nella psicologia degli uomini.

Tale sfasatura si presenta con tutta la sua drammaticità nella scuola, i cui operatori attivi (gli insegnanti) sono semplici distributori e appaiono quindi in posizione passiva rispetto ai "pensatori della classe (i suoi ideologi attivi, concettivi, i quali dall’elaborazione dell’illusione di questa classe dominante su se stessa fanno il loro mestiere principale)".

Ciò, sempre vero, è tanto più vero nel periodo storico del capitalismo, che fra le società di classe è certamente la più dinamica e la più "anarchica" che la storia abbia dato di conoscere. Tecniche produttive e relativi sistemi di organizzazione aziendale si rinnovano, per esigenza interna al sistema, a una velocità finora mai registrata; a tali innovazioni continui rivolgimenti nell’organizzazione della società medesima, nei modi imposti ai membri di questa società.

Alla concentrazione dei capitali e dei mezzi della produzione materiale corrisponde - lo ha ampiamente esaminato Engels - il mutamento e lo sconvolgimento degli agglomerati umani e quindi lo sconvolgimento dei rapporti che li reggevano. I criteri, i valori sovrastrutturali che a tali rapporti corrispondevano si rendono così improvvisamente inadeguati alle nuove situazioni. La sovrastruttura, ovvero il complesso delle idee che giustificano e orpellano la situazione di fatto, si trovano in continuazione... negate dalla medesima.

Più il capitalismo avanza (o decade) più evidente si manifesta lo scollamento fra la struttura e la sovrastruttura, perennemente in arretrato.

È questo che determina il "dinamismo" del mondo culturale borghese, ovvero la sua anarchia, la sua incapacità di trovare un benché minimo equilibrio e una parvenza di omegenità formale.

Fino a che punto il dinamismo interno alla cultura borghese è in grado di sopperire alle esigenze provenienti dalla base della determinazione economica e sociale?

Evidentemente, fino a che tale dinamismo è contenibile dentro gli schemi di massima imposti dal sistema medesimo e fissati di fatto fin dal sorgere della società borghese e dal suo affermarsi.

Quando la realtà dei rapporti economici e sociali, quando la natura delle stesse strutture che vanno da una parte maturando, pongono in discussione i criteri di fondo a cui la cultura borghse si ispira, questa non è più in grado di dare risposte adeguate alle istanze che in essa struttura si manifestano. Entra in crisi.

La scuola in Italia non riesce a svolgere il proprio ruolo

La scuola italiana non si è ancora liberata dalle pastoie della riforma Gentile del 1923; né servono ovviamente a tale scopo leggi, decreti e ordinanze ministeriale di carattere parziale e limitato, se non addirittura ridicolo. Ciò che preme ricordare è che Gentile è stato di fatto un filosofo di Stato "all’italiana". All’inizio degli anni ’20 si è riprodotta in Italia, a opera di gentile, la funzione che Hegel aveva rivendicato alla sovrastruttura un buon secolo prima in Prussia. Che ciò sia avvenuto malamente è ovvio. Non era passato soltanto del tempo, ma il fascismo non aveva nessuna spiccata propensione per la speculazione filosofica e per giunta Gentile, da bravo neoidealista, aveva del tutto dimenticato anche l’embrionale intuizione dialettica hegeliana. Dell’idealismo gli erano rimaste soltanto le storture erette a sistema, derivanti dalla mancanza di un’analisi della realtà condotta con metodo effettivamente dialettico. È evidente a questo punto che una riforma della scuola di stampo neoidealistico non poteva dare risposte alle posizioni che il capitalismo aveva maturato nel suo sviluppo storico.

In altri termini, se il capitalismo per sopravvivere non può fare a meno di rinnovare il suo apparato produttivo, cioè di utilizzare in numero sempre crescenti "tecnici" sempre più specializzati, il neoidealismo gentiliano non era assolutamente in grado di rendersi conto dell’urgenza di tali esigenze strutturali. Paradossalmente infatti è proprio soltanto grazie a leggine e a ordinanze che la scuola italiana riesce ancora a produrre forza lavoro a qualificazione generica e mobile, in grado cioè di variare con una certa rapidità secondo le variazioni del ciclo produttivo.

Tutti i gradi di scuola risentono sempre dell’ambito culturale in cui è maturata la riforma Gentile.

I programmi didattici delle elementari, emanati nel 1955 con decreto legge e a distanza di ben 10 anni dalla fine della “esistenza popolare contro il fascismo” sono addirittura emblematici in questo senso. A mo’ di premessa, vi si sostiene infatti:

L’insegnante, fin dall’inizio orienti la sua educazione a promuovere la formazione integrale della personalità dell’alunno attraverso l’educazione religiosa, morale, civile, fisica e altre forme di attività spirituali e pratiche corrispondenti agli interessi [...] propri dell’età.

Nell’assolvere questo compito, l’insegnante faccia leva sulle tendenze costitutive dell’alunno [...] [L’insegnante] si proporrà di ottenere dall’alunno la partecipazione quanto più spontanea e impegnativa alla ricerca e alla conquista individuale di quelle esperienze, cognizioni e abilità che nel loro complesso concorrono appunto alla formazione integrale della personalità.

Ogni commento appare inutile, a prescindere dalla amara constatazione che questi programmi sono tuttora in vigore. Ma con questo siamo ancora completamente all’interno della contraddizioni proprie alla sovrastruttura dello stato borghese. Resta, ben più importante, da considerare la contraddizione fra le istanze che la stessa dinamica economica suscita nella realtà sociale e le possibilità che la scuola offre di soddisfarle o, più in generale, che la cultura borghese ha di farvi fronte.

Si pensi alle esigenze di collegamento tra la propria reale situazione e le materie studiate a scuola da tutti gli studenti dai 6 ai 24 anni di età. Le necessità di "adeguata preparazione" e di diffusione delle conoscenze tecniche che ha la scuola italiana nei confronti dei discenti (e che abbiamo visto non è neppure in grado di soddisfare) corrisponde forse alle esigenze del proletariato e dei suoi figli, di fronte ai quali si apre un futuro di alienazione sempre più accentuata sul lavoro, sul campo cioè di applicazione di quelle stesse conoscenze acquisite a scuola? Evidentemente no.

A questo contrasto che va facendosi sempre più vivo, anche nei modelli più avanzati di scuola borghese, il sistema non può in alcun modo porre rimedio.

Si pensi, ancora, ai bisogni indotti dalla scolarizzazione crescente, i quali cozzano drammaticamente contro le strutture scolastiche che questi bisogni frustrano immancabilmente. L’unificazione della scuola dell’obbligo, se da una parte risponde all’esigenza capitalista di dare una preparazione di base valida per tutti, dall’altra significa per i lavoratori necessità assoluta che i loro figli la superino con la debita sufficienza, pena il loro declassamento al rango di sottoproletari, di fatto esclusi dal processo produttivo e posti ai margini della società come oggetti di sfruttamento senza possibilità di resistenza e di organizzazione.

Questa profonda esigenza della classe operaia non manca di manifestarsi in vari modi che vanno dalla critica alla concezione meritocratica e autoritaria prevalente nella scuola (critica rivolta fin dagli strati della intellettualità borghese ‘illuminata’) alla lotta alla selezione.

Si evidenzia dunque la necessità per lo Stato borghese di rivedere i programmi e i metodi di insegnamento per limitare quanto più possibile la selezione e soprattutto le sue più immediate manifestazioni: bocciature, emarginazione dei "meno capaci", eccetera. Di limitare, diciamo noi, non di abolire, giacché questo e semplicemente assurdo in regime borghese.

E infine possiamo verificare gli effetti della contraddizione su accennata anche sul piano più direttamente culturale. Dalla necessità di continuo rinnovamento delle tecniche produttive per l’aumento della produttività propria al capitalismo, è direttamente determinato il prodigioso impulso che la ricerca scientifica e gli stessi progressi della conoscenza hanno avuto in regime capitalista.

Possiamo ben dire che le conoscenze scientifiche acquisite sotto il capitalismo superano quantitativamente e qualitativamente la somma di conoscenze acquisite in tutto il corso storico precedente delle società umane. Questo impetuoso corso, avviatosi con la rivoluzione della meccanica classica (galileiana) su di essa fondamentalmente basava il suo modo di porsi e di affrontare i fenomeni naturali. Ma all’attuale livello di conoscenza, anche puramente empirica, di fenomeni, né la meccanica classica, né le sue virtuali alternative, sono più sufficienti perché la scienza possa ulteriormente progredire, dando al termine scienza il corretto significato di sistematizzazione dei nessi fenomenici.

Fondamentalmente, la specializzazione indotta dal progredire della scienza e della tecnica borghesi sono diventate oggi un freno; sia l’impostazione specialistica dei problemi della conoscenza, sia gli stessi contenuti di tale impostazione, devono essere superati perché la conoscenza che la società umana richiede della natura e dei possibili rapporti uomo/natura possa ulteriormente ampliarsi.

Ma è lo stesso mondo culturale della borghesia nelle sue più alte espressioni che indica la strada che "sarebbe necessario" seguire e che ineluttabilmente l’uomo, finalmente liberato dalle pastoie impostegli dalla società di classe, dovrà seguire.

Tale strada è quella della interdisciplinarietà la cui esigenza dunque matura nello stesso interno della dinamica delle forze produttive borghesi.

Ma la cultura borghese, nelle sue linee fondamentali, la nega; la scuola borghese non la accetta né la può accettare. Interdisciplinarietà significa sostanzialmente affrontare i problemi secondo un metodo complessivo che ritrova le analogie concettuali nei nessi fenomenici, le reciprocità causali in tutte le espressioni della conoscenza, in tutti i campi dell’agire umano.

Completa libertà dunque dai preconcetti imposti, dalle ideologie precostituite che pongono i loro seri limiti a ogni indagine che abbia pretese di scientificità. Interdisciplinarietà come metodo conoscitivo e dunque pedagogico è negazione della ideologia borghese.

Abbiamo affermato che l’impostazione interdisciplinare degli studi è una esigenza del progresso scientifico oggi e che la società borghese, con la sua cultura non permette di soddisfare ma la rivoluzione proletaria dovrà aprire le porte alla interdisciplinarietà dell’educazione, così come aprirà le porte allo sviluppo dei mezzi produttivi coartati dalla proprietà. È possibile oggi impostare su quel terreno l’attività didattica da parte del singolo militante rivoluzionario?

Rispondiamo si, ma solo se alla base dell’insegnamento interdisciplinare si porrà ciò che è nell’interesse della classe operaia. È cioè nella critica distruttiva al sistema che è possibile impostare un discorso a a carattere realmente interdisciplinare, poiché non è possibile oggi fare della interdisciplinarietà senza mettessi in urto con le suddette pastoie imposte dalla cultura borghese.

Per fare un esempio generale e risolutivo, se il problema è quello di offrire ai discenti un metodo complessivo per l’esame dei vari problemi e che si serva degli stessi strumenti per arrivare alla generalizzazione di concetti propri alle varie discipline aventi nessi reciproci di causalità, è necessario trattare i vari argomenti di studio nell’ottica delle lotte di classe che, mentre sono alla base della storia nel suo corso generale, sono al contempo alla base di scelte tecniche e scientifiche e in stretto rapporto di reciproca dipendenza con le condizioni geografiche. La stessa matematica, proprio in quanto strumento tecnico dell’indagine e metodo di generalizzazione delle medesime conquiste scientifiche, progredisce o si arresta in funzione delle particolarità delle combinazioni produttive realizzate in una certa epoca storica e del livello quindi raggiunto dallo sviluppo dei mezzi di produzione e quindi dei rapporti di classe.

Questi aspetti della contraddizione fra istanze che maturano nella dinamica strutturale e la sovrastruttura del sistema borghese e le sue stesse potenzialità di rinnovamento (oggi pressoché inesistenti) sono destinati a crescere nelle loro manifestazioni. Questo nonostante i tentativi che le frazioni più avanzate della conservazione borghese faranno per tamponarli e smussarne le punte più acute.

Come dunque si manifestano gli effetti di questa contraddizione di fondo nella politica delle forze borghesi e nella crisi che ha investito gli operatori attivi della scuola?

Il programma delle forze politiche riformiste

Il rinnovamento pedagogico che i riformisti richiedono a gran voce si articola sostanzialmente nei tre punti seguenti:

  • necessità di considerare nei giudizi di profitto, di cui non si contesta la legittimità, lo stadio di partenza degli allievi che viene riconosciuto (acume riformista!) come condizionato dal livello economico e sociale e quindi culturale dell’ambiente di provenienza;
  • maggiore aderenza alla "realtà", intesa come maggiore aderenza dei programmi alla realtà della fase raggiunta dallo sviluppo dei mezzi produttivi: più stretto collegamento con le esigenze tecniche, con le necessità odierne del convivere civile. eccetera;
  • maggiore integrazione fra le strutture scolastiche e le altre strutture di potere "democratico" agenti nella società.

Riguardo al primo punto, esso risponde appieno all’imperativo che si pone allo stato borghese di limitare quanto più possibile gli effetti della concezione meritocratica e selettiva per smussare le punte della contraddizione fra questa concezione, a cui la scuola borghese non può non ispirarsi, e le opposte esigenze della classe operaia. I riformisti si assumono l’onore e l’onere di garantire che tale contraddizione non sfoci nella sua ineluttabile conseguenza: la crescita della coscienza della necessità della rivoluzione proletaria. Si assumono il compito di celare il meccanismo di azione antioperaia della scuola borghese sforzandosi di mascherarne gli effetti più macroscopici.

Il secondo punto del programma riformista non prende in considerazione la necessità storica di cambiare la realtà, bensì si sforza di adeguare la scuola ai suoi bisogni. Essendo la realtà a loro tanto cara, caratterizzata dai rapporti borghesi di produzione in base ai quali il processo produttivo prevede lo sfruttamento della classe operaia, l’alienazione del lavoro a favore dei capitalisti e del loro profitto, il loro adeguamento della scuola si riduce alla funzionalizzazione della stessa a quei meccanismi dello sfruttamento.

Ben diversa è la realtà degli interessi proletari. È nell’interesse del proletariato conoscere, nella loro essenza di classe, proprio quei meccanismi perché il proletariato possa rivoltarglisi contro. Non è tanto interesse operaio conoscere la necessità di ristrutturazione degli impianti di vulcanizzazione delle gomme che ha Pirelli, quanto conoscere i criteri con cui Pirelli intende realizzare tale ristrutturazione. È interesse della classe operaia sapere che tali criteri, contrabbandati per assolutamente validi perché scientifici, nascondono il carattere di classe della scienza borghese, la quale annovera fra i parametri essenziali la redditività delle scelte e non l’interesse collettivo delle stesse.

Il terzo punto prevede in modo specifico l’ingresso dei partiti e dei sindacati (ovvero dei "rappresentanti reali" della società) negli organi di gestione dell’istituzione scolastica. È inalienabile patrimonio del marxismo la tesi secondo cui la concentrazione politica, al di là delle forme che essa può assumere, è condizione imprescindibile della concentrazione economica che a sua volta è essenziale caratteristica della dinamica del sistema capitalista di produzione.

Accentramento politico, nella sua forma democratica (la più idonea - Lenin) significa penetrazione capillare degli organi del potere e della corruzione politica in tutte le maglie della società, così da evitare che i movimenti che dovessero realizzarsi sfuggano al diretto controllo di quegli stessi organi di gestione del potere borghese. Che poi tutto questo venga gabellato per democratizzazione, rientra nella ovvia tattica furbesca dei democratici borghesi.

Scuola e politica rivoluzionaria

Per una impostazione di classe del problema scuola - Per una azione di classe nella scuola - 1a edizione 1975

Gruppi sindacali internazionalisti (settore pubblico-scuola)