Arte e rivoluzione

Linea di “tendenza”

L'arte nella concezione materialistica della storia

Marx ed Engels assegnano all'Arte una ben precisa genesi storica.

Essi abbattono, per la prima volta nella storia, quella concezione che vedrebbe l'Arte sorgere dall'Uomo come insopprimibile funzione legata alla sua "eterna" natura, e come "categoria generale dello spirito"; la fanno sorgere invece dall'attività degli uomini reali negando, per tal ragione, tanto una validità dell'Arte che vada al di là del tempo e del luogo in cui essa s'è venuta a sviluppare, quanto, quindi, le teorie astratte della "universalità" e della "atemporalità" dell'Arte stessa.

La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è in primo luogo intrecciata direttamente all'attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini, linguaggio della vita reale. Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono qui ancora come ema nazione diretta del loro comportamento materiale. (1)

Questo concetto, così chiaramente espresso, ci mostra la posizione di Marx nei confronti della "produzione spirituale", delle idee, che può essere riferita anche all'Arte. Cioè si parte non da ciò che gli uomini dicono o rappresentano ma dalla base del processo materiale della loro vita, ponendo quindi l'Arte in un rapporto di riflesso o di eco ideologico nei confronti della realtà di questo processo.

Per dirla con Engels, non si discende dal cielo sulla terra, ma si sale dalla terra al cielo.

Esse [le idee] non hanno storia, non hanno sviluppo, ma gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza. (2)

Quindi non sono le idee a creare altre idee come non sono le forme artistiche a creare nuove forme artistiche (anche se v'è fra queste continuità e correlazione), ma sono i mutamenti delle condizioni materiali degli uomini che creano i presupposti a mutamenti nelle concezioni filosofiche, artistiche, ecc., deg li uomini stessi.

L'Arte, abbiamo detto, nasce dal mondo delle necessità della vita reale dell'uomo ed è legata allo sviluppo della mano. Quindi una prima, genuina operazione artistica può ben essere considerata la trasformazione di un ciottolo in utensile. L'uomo si appropriava della realtà ponendosi in un rapporto di tipo "industriale" con la natura alla quale "sottraeva" oggetti che diveni vano sociali e che utilizzava non per una fruizione individuale, ma collettiva.

Le diversità delle forme d'Arte sono da collegarsi, pertanto, alle differenze di tempo e luogo e dei mezzi con cui l'uomo fa suo, o meglio "scopre" questo rapporto con la natura; sviluppando così differentemente i suoi sensi spirituali (sensibilità) e i mezzi propri alla loro produzione (economia).

Perciò non "idee universali", ma idee che si formano e sgorgano dal vivo di quelle che sono le necessità dell'uomo in determinati ambienti economico- sociali.

Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali.
L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale su cui si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in ge nerale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. (3)

Viene così individuata la natura sovrastrutturale dell'Arte dipendente da una ben precisa base materiale, economica, che è la struttura.

Questo rapporto non è però immediato e deterministico: è invero mediato e assai complesso e nel quale la struttura economica risulta solo "in ultima istanza" (sono parole di Engels) determinante.

"Solo in ultima istanza" in quanto tale rapporto è di vicendevole implicazione, quindi reciproco e dialettico reagendo, essa sovrastruttura, a sua volta sulla struttura.

Prova ne sia il fatto che essa non crolla automaticamente col crollo della base economica, che pure l'ha generata, ma persiste nel tempo, anche se con tendenza al deperimento, influenzando le nuove sovrastrutture che dalla mutata base economica (nuovo modo di produzione) vengono gradualmente espresse. Ma il discorso va necessariamente allargato e visto nel contesto di una realtà specifica: la società di classe; più precisamente va visto il ruolo svolto dalla classe economicamente emancipata in quella che viene definita come "produzione intellettuale", quindi anche artistica, ecc.

Le idee della classe dominante ― scrivono ancora Marx ed Engels ―sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio. (4)

Ciò porta necessariamente alle considerazioni che l'Arte è strettamente connessa ad un tessuto economico che, anche se "solo in ultima istanza", la determina. Ma tra le maglie di questo tessuto si svolgono ben precisi rapporti di classe, cioè, detta base economica non è una mera astrazione ma è organizzata in un "sistema" (modo di produzione) funzionale agli interessi di una classe che ha avuto le possibilità storiche di emanciparsi sino a diventare la classe dominante.

L'Arte cessa di avere quelle caratteristiche proprie alle società primitive di fruizione collettiva e di rapporto industriale con la natura, venendo così ad assumere caratteristiche estranee a quelli che furono i "motivi necessari" della sua genesi storica: l'Arte, con la distinzione del lavoro manule da quello intellettuale, diventa ideologia. (5)

L'intellettuale, e dunque l'artista, che nutre l'illusione di una propria autonomia è invero espressione di una classe: o della classe dominante o della classe antagonista; vale a dire che nella realtà capitalistica l'artista è con la borghesia o col proletariato. (6)

La perdita della realtà

L'Arte, pervenuta attraverso gradi di sviluppo a necessità di comunicazione e di rapporti dell'uomo con altri uomini, è innanzitutto coscienza dell'ambiente sensibile immediato; è perciò coscienza della natura verso la quale, inizialmente, gli uomini si comportavano in modo puramente animale e da cui si lasciavano, come animali, dominare (religione naturale).

Questa coscienza da montone o tribale ― scrivono ancora Marx ed Engels ― perviene a uno sviluppo e a un perfezionamento ulteriori in virili del-l'accresciuta produttività, dell'aumento dei bisogni e dell'aumento della popolazione che sta alla base dell'uno e dell'altro fenomeno. Si sviluppa così la divisione del lavoro che in origine era niente altro che la divisione del lavoro nell'atto sessuale, e poi la divisione del lavoro che si produce spontaneamente o "naturalmente" in virtù della disposizione naturale (per es. la forza fisica), del bisogno, del caso, ecc. (7)

Ma per Marx la divisione del lavoro diventa una reale divisione allorquando interviene la tendenza ad una sempre più netta separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale in quanto è solo da questo momento che la coscienza "può figurarsi" di vivere una vita "autonoma", di emancipasi dal mondo e di essere qualcosa di diverso dalla "coscienza della prassi"; di avviarsi alla edificazione della "pura" teoria (arte, teologia, filosofia).

In realtà, quello che avviene, è una totale estraniazione dell'intellettuale dalla "coscienza della prassi", cioè una incapacità di confronto del proprio prodotto culturale con le posizioni del mondo reale.

L'artista scopre la teorizzazione dell'estetico che scinde la "produzione secondo bellezza" dalla prassi a cui inerisce al punto da costituire un "materiale" per la costituzione di quella capacità di fruizione mediante i sensi. Questa separazione estranea, di fatto, il prodotto dal produttore relegando l'Arte ad una funzione di mera attività contemplativa anziché pratico-sensibile.

È perciò una modalità di esclusione dell'uomo dal prodotto della sua attività mentale, perciò una modalità dell'alienazione.

Al produttore sfugge il senso del suo prodotto ed esso acquista un potere e un carattere prevaricante nei confronti del produttore stesso.

Il capitalismo ha estremizzato i termini di questo fenomeno (che naturalmente lo precede) in quanto, per sua intima natura, esso separa di fatto il lavoro dalla creazione, i prodotti dai produttori: il lavoro è fatica estenuante e non creativa; è mestiere; la creazione è Arte.

Le distanze, quindi, tra lavoro e creatività si allungano e l'artista si rende (e viene reso) "autonomo" in un processo di adattamento al mondo dell'idea "pura".

Nella sua operazione produttiva perde la padronanza sul mondo materiale e con essa il senso della realtà; l'aspetto oggettivo dell'uomo si trasforma in inumana oggettività alienata e la soggettività in vuoto e miseria e in una possibilità solo astratta di realizzarla.

In poche parole il soggettivo s'è scisso dall'oggettivo e i due momenti si scontrano quali sostanze indipendenti.

Ma l'analisi del fenomeno non si può fermare a queste considerazioni; esso va visto soprattutto nella "qualità" della base materiale, o modo di produzione, che gradualmente, ma direttamente, ha generato tale separazione.

Vedere insomma questa particolare contraddizione quale riflesso di una realtà economica oggettiva e non come scelte di tipo volontaristico (o anche inconscio) vuoi di chi fa arte, vuoi di chi la "commette".

Essa segue, anche se non in modo meccanicistico, gli alti e i bassi della contraddizione reale: quella delle forze produttive materiali della società con gli esistenti rapporti di produzione.

È dall'appianarsi o dall'acutizzarsi di questa reale contraddizione che "in ultima istanza" dipende lo svolgimento della contraddizione riflessa. (8)

La situazione dell'arte nel capitalismo

La caratteristica fondamentale del capitalismo poggia sul fatto preciso che l'economia ha cessato di essere un mezzo per la funzione vitale della società, essa è diventata fine in sè, quindi, scopo di ogni attività sociale. La vita si trasforma in un enorme rapporto di scambio svolgendosi nell'ambito di grosso, colossale mercato.

Ogni prodotto dell'epoca del capitalismo così come tutte le energie dei produttori e dei creatori, ha assunto il valore di merce. Niente ha valore per sé in virtù di un suo intimo valore (valore etico, morale, artistico) ma tutto ha valore fintanto che abbia la possibilità di essere inserito in una situazione di economia mercantile: fintanto che abbia, cioè, le caratteristiche della merce, vendibile o acquistabile sul mercato.

E nel momento in cui assume il carattere di merce, entra nel sistema di rapporti che lo trasforma realmente in merce.

La concentrazione monopolistica del capitale che ha come risultato l'unificazione del mercato capitalistico internazionale (Imperialismo) tenta, sempre di più, di negare all'Arte la conquista di quegli spazi, se pur minimi, in cui garantirsi un posto per la riproduzione "libera" di se stessa in quanto Arte e non in quanto merce.

Per tale motivo l'artista dipende esclusivamente dalla borghesia che è poi la classe che quest'arte ha espresso, che quest'arte "possiede" e che è, tra l'altro, emancipata ai fini della sua fruizione.

Ma l'Arte, nella realtà del capitalismo, che ha, si, finalità di mercato, è solo merce?

Vale a dire: è anche prodotta (e non solo utilizzata) come valore di scambio o può esprimere una resistenza a questa riduttiva e snaturante utilizzazione di cui, dal capitalismo, è fatta oggetto?

L'Arte, è innegabile, ha una sua specificità: la sua natura è sociale e non riduttivamente psicologica e antropologica, nè tanto meno, aberrantemente, spirituale o metafisica. E non ha nemmeno una natura eidoletica, cioè, di pura intuizione visiva per quanto concerne in particolare le arti figurative: essa nasce da una tensione conoscitiva e morale ed in questa dimensione trova un suo modo di estrinsecarsi "in proprio" e di riflettere situazioni e momenti che sono della società.

Il tipo di messaggio artistico che viene espresso è perciò una rifrazione, spesso indiretta, delle convinzioni individuali dell'artista e che sono intimamente collegati alle ideologie, materializzati in codici estetici, e quindi ai mo menti generali della realtà borghese.

Le correnti artistiche che si sono date il cambio dal momento dell'affermarsi del capitalismo, ne sono una prova quanto mai esauriente: esse hanno fiancheggiato le convinzioni, le "idee generali" del momento con apporti determinanti ai fini del loro avanzamento (e superamento) e con spunti, spesso, intimamente eversivi ma "recuperati" e neutralizzati dalle classi dominanti. Gli ideologi della classe borghese, tra cui la quasi totalità della critica d'arte, sono mobilitati a tal fine e un mastodontico apparato finanziario pubblico e privato, coadiuvato dal ruolo del parassita per antonomasia, il mercante d'arte, completa il gioco trasformando il "puro" valore artistico in puro valore commerciale, inseribile, al più alto costo possibile, nel "sistema" del mercato d'arte.

Il rapporto di scambio, che appariva di natura qualitativa, si trasforma, "tout-court", in rapporto quantitativo; l'opera si trasforma in denaro; la formula di scambio M-D-M è salva.

La circolazione diventa il grande alambicco sociale dove tutto affluisce per tornare ad uscirne come cristallo eli denaro. (9)

Questa è la legge del mercato capitalistico e...

a questa alchimia ― come dice Marx ― non resistono neppure le ossa dei santi e meno ancora altre meno rozze res sacrosanctae extra commercium hominum.

Nel denaro è cancellata non solo ogni distinzione qualitativa delle merci, ma con esse e per esso tutte le possibili distinzioni.

L'artista da lavoratore improduttivo si trasforma in lavoratore produttivo per il suo impresario o mercante che, col suo lavoro, si arricchisce.

Nei confronti del pubblico l'attore è un artista, ma nei confronti del suo impresario l'attore è lavoratore produttivo. (10)

Ma anche quando l'artista non ha un "manager" fisso la sua posizione non cambia: il suo imprenditore è il mercato, anonimo ma reale; scompare soltanto la funzione mediatrice del "manager" in quanto l'artista- amministra se stesso nei rapporti col mercato che ricava, dalla circolazione dell'opera, i proventi più alti e, in ogni caso ragguardevoli.

Il rapporto rimane così sostanzialmente immutato.

Ma veniamo alla domanda che ci siamo posti prima circa la possibilità dell'Arte di prodursi in quanto Arte (che il capitalismo, abbiam visto tramuta in merce) e di opporre una reale resistenza al modo sistematico con cui la borghesia cerca di tramutare il messaggio insito nell'operazione artistica, "intimamente eversivo", in valori che stiano in stretta armonia con le "idee" dominanti.

E l'analisi, è chiaro, va rivolta verso quegli artisti, sempre più numerosi, che si pongono tale problema in quanto più direttamente coinvolti, per motivi di sensibilità o di coscienza, nel dissestamento totale di valori che il capitalismo sta attraversando quale riflesso della crisi, profonda, che ha cominciato a corrodere, in modo sempre più rapido, le fondamenta economiche su cui il suo potere si regge.

In quanto, gli artisti che operano direttamente per la borghesia, essendo coinvolti negli stessi interessi di questa classe, da cui dipendono, cercano di restaurare idee già invalidate dalla Storia, o tentano di "ricreare" appigli culturali rivolti al "tamponamento" delle falle di quelli che sono i problemi irrisolti della classe a cui sono servilmente subordinati.

È questo il senso del concetto di morte o agonia dell'Arte poiché è il capitalismo agonizzante; questa morte lenta o, se si vuole, lentissima, è riferita alla fine della struttura che non può non investire quelle sovrastrutture espresse dalla stessa: quei "valori" e "miti" propugnati dalle correnti o da singoli artisti, che in quelle sovrastrutture si identificano, riflettono la futura morte fisica del capitalismo nel suo complesso, e quale entità economica e quale antità spirituale, intellettuale, artistica in genere.

Ma l'Arte, soprattutto in Italia, non è rappresentata soltanto da questi olezzanti lacché del capitalista (al quale forriscono giustificazioni al sistema delle ingiustizie e della repressione) che, con aberranti teorie, cercano di elargire "distrazioni" da quelli che sono gli autentici problemi che una cultura di transizione, come quella contemporanea, necessariamente vive e soffre. Problemi vissuti e sofferti nella ricerca di nuovi modelli che, nel loro processo di risoluzione (parziale) chiariscano i termini in cui dovrà dialetticamente svolgersi la Nuova Cultura che avrà come base la rivoluzione proletaria internazionale ma come punto di avvio la crisi ultima del sistema capitalista. Quella appunto che stiamo vivendo.

Per un'arte di tendenza

L'Arte, come frutto di una sensibilità che è nel modo reale di essere uomini, ha continuamente espresso quella tendenza, di cui si parlava, a resistere, a reagire alla violenza (spesso di tipo particolare) delle classi dominanti che han sempre tentato il "recupero" delle espressioni artistiche, laddove era possibile, o di distorcerne e mistificarne i contenuti con i metodi dell'informazione culturale "corretta" e "riveduta" qualora i contenuti espressi dalle opere mal si prestavano al gioco di essere inserite nelle ideologie di queste classi. O di mortificare messaggi diretti contro di esse attuando un "recupero" particolare proveniente dalla mercificazione e da quelle teorie che vedrebbero una validità dell'Arte al di là dei propri ed insiti contenuti che la contraddistinguono e che fanno un tutt'uno con l'essenza dell'opera stessa.

Per non parlare dei ricatti materiali e morali inerenti alle offerte di "sistemazione" dell'artista nell'agiato e opulento mondo che queste classi hanno creato a proprio uso e consumo.

In generale le classi dominanti han sempre avuto ragione di queste tendenze all'eversione intellettuale fintanto che la solidità delle strutture non erano scalfite da quell'esigenza imperiosa che rivendica, costantemente, l'instaurazione di un ordine diverso; vale a dire, fintanto che il modo di produzione che queste classi avevano instaurato come proprio modo di essere classi dominanti non avesse esaurito tutte le sue potenzialità rivoluzionarie tanto da fare di quel sistema un enorme corpo parassita che nuove classi avessero interesse a superare onde far fare alla Storia un ulteriore e necessario salto di qualità.

Allo stesso modo di come oggi il proletariato rivendica il socialismo come superamento del parassitario ordinamento sociale ed economico capitalistico che si oppone all'incalzare della Storia e alla soddisfazione dei bisogni ma teriali ed intellettuali delle masse proletarie.

Ma, ciononostante, l'Arte, quella che fa capo agli artisti "resistenti" al sistema, ha sempre trovato momenti di autonomia nei confronti delle capacità di "assorbimento" della classe dominante.

Ha sempre trovato momenti di autenticità nell'asserzione e nell'evidenziare quei valori che inseriscono alla classe antagonista a cui, sempre più folta, oggi, una larga schiera di artisti fa riferimento.

Pensiamo a tutto il filone realista, per esempio, che dall'ottocento ad oggi ha saputo creare, pur coi suoi limiti e i suoi difetti, momenti di reale "confronto con le posizioni del mondo reale", e di stretta connessione coi pro blemi storici delle classi subordinate.

Ma perché il realismo?

Non certo perché è in sé un filone rivoluzionario. E neanche perché esso possa, come spesso accade oggi per il neo-realismo, essere confuso con l'Arte di Tendenza (11), anche se la storia dell'Arte dimostra ampiamente che gli artisti di Tendenza han sempre trovato congeniale manifestare le proprie idee attraverso l'opera di ispirazione realista; ma perché, il realismo, anche rimanendo irrivelate le opinioni dell'autore, è costretto ad una obiettività che è la sua fondamentale natura.

Cerchiamo di chiarire riportandoci ad Engels che a mo' di esempio scriveva:

Balzac, che io ritengo un maestro del realismo di gran lunga maggiore di tutti gli Zola del passato, del presente e dell'avvenire, ci dà nella "Comédie humaine" un'eccellente storia realistica della società francese, poiché, sotto forma di una cronaca, egli descrive quasi anno per anno, dal 1816 al 1848, la spinta sempre crescente della borghesia in ascesa contro la società nobiliare che, dopo il 1815, si era ricostituita ed era ritornata a inalberare, nei limiti delle sue possibilità, il vessillo della "vieille politesse francaise".
Egli descrive come gli ultimi avanzi di questa società, per lui esemplare, andavano a poco a poco soggiacendo all'assalto del ricco e volgare villan rifatto o venivano da lui corrotti.

E più avanti continua:

... e intorno a questo quadro centrale raggruppa una storia completa della società francese dalla quale io, perfino nelle particolarità economiche (ad esempio la ridistribuzione della proprietà reale e personale dopo la Rivoluzione francese) ho imparato più che da tutti gli storici, gli economisti, gli statisti di professione di questo periodo messi insieme. (12)

E certamente Balzac non fu un rivoluzionario; egli era, come spiega ancora Engels, politicamente un legittimista e la sua opera è...

l'elegia sull'inevitabile rovina della buona società; tutte le sue simpatie sono per la classe destinata a tramontare. (13)

Quindi il realismo ha, come sua componente essenziale, la "cronaca" che "a dispetto delle idee dell'autore", dà un quadro obiettivo (14) della situa zione del mondo reale.

(Non va frainteso il senso di questa asserzione in quanto l'opera non può contraddire l'autore: essa deve necessariamente far corpo con il processo di elaborazione dell'opera).

Il realismo che può manifestarsi "anche a dispetto" (Engels) delle idee dell'autore dimostra, quindi, quanto complesso è in effetti il problema.

Balzac, che da una parte difende l'ideale monarchico assolutista, e dall'altra dimostra autentica ammirazione per i suoi più acerrimi avversari politici, "gli eroi repubblicani del Cloitre-Saint-Merry" (15), è il caso più pertinente di quanto detto prima circa l'influenza che l'artista può sentire, contemporaneamente, delle idee della classe dominante e di quella antagonista (vedi nota 6).

Ma è il metodo (o modo) di porsi di fronte all'opera, appunto quello realista, che spinge Balzac verso una "obiettiva" valutazione delle cose, che lo induce ad agire contro le "simpatie di classe" e ad intravvedere la necessità, "suo malgrado" del superamento di quel tipo di organizzazione che era della "sua" classe.

C'è un passo di Marx ed Engels che potrebbe rappresentare il "credo" politico, in sintesi, anche se non è esplicitamente riferito all'Arte, che la tendenza realista potrebbe far propria quale premessa per un suo ulteriore sviluppo:

Là dove cessa la speculazione, nella vita reale, comincia dunque la scienza reale e positiva, la rappresentazione dell'attività pratica, del processo pratico di sviluppo degli uomini. Cadono le frasi sulla coscienza e al loro posto deve subentrare il sapere reale. Con la rappresentazione della realtà la filosofia autonoma perde i suoi mezzi d'esistenza. Al suo posto può tutt'al più subentrare una sintesi dei risultati più generali che è possibile astrarre dall'esame dello sviluppo storico deg li uomini. (16)

Ma esiste la possibilità che questa "rappresentazione dell'attività prati ca" si carichi di un pregnante significato rivoluzionario?

In linea teorica e generale senz'altro, dal momento che:

l'esistenza di idee rivoluzionarie in una determinata epoca presuppone l'esistenza di una classe rivoluzionaria a scrivono Marx ed Engels nell'Ideologia Tedesca; e un po' più avanti continuano: "Si parla di idee che rivoluzionano tutta la società; con ciò si esprime soltanto il fatto che in seno alla vecchia società si sono formati gli elementi di una società nuova, che con la dissoluzione dei vecchi rapporti di esistenza procede di pari passo il dissolvimento delle vecchie idee. (17)

Vale a dire che nelle cose si sono già create le condizioni storiche per aprire alla nuova società e che la vecchia società è pronta a dare il cambio alla nuova nell'atto supremo rivoluzionario.

Così come questa struttura si è caricata di elementi reali per la sua sostituzione con una nuova struttura, allo stesso modo le sovrastrutture (in questo caso le idee), sature delle vecchie concezioni, caricatesi di significati che appartengono già alla nuova società, son pronte a partorire le nuove sovrastrutture.

Quindi, oltre alle possibilità oggettive di un'arte che esprime idee rivoluzionarie, v'è al contempo l'identica possibilità che queste idee abbiano anche una validità rivoluzionaria nel senso che esse possono avere un reale potere di incidenza e di condizionamento culturale nell'ambito delle sovrastrutture e agire sulla struttura per rovesciarla. Si crea perciò un momento di estrema tensione tra le forze culturali del "passato-presente e del presente-futuro".

Uno scontro dialettico che sarà sempre più sostenuto, indirettamente, dallo scontro tra le forze reali della vecchia e della nuova società: l'Arte seguirà, come tutto ciò che appartiene alla sfera sovrastrutturale, la strada maestra dello scontro di classe che il proletariato è chiamato storicamente a percorrere.

Ma abbiamo visto come il realismo, per quanto come "filone" dell'Arte sia ben "capace" di addentrarsi nei meandri impervi della analisi sociale, non basti ad assicurare all'Arte quella funzione di antitesi dialettica alle forme culturali che la borghesia, mediante i suoi ideologi, intellettualmente produce.

Esso deve andare più in là e caricarsi di significati inequivocabilmente rivoluzionari fino a diventare, pur con forme svariate e differenziate o visiva mente eterogenee, una vera e propria arte di Tendenza.

Ampliare al massimo quello che già la Figurazione Oggettiva (18) ha ormai da tempo intrapreso e sviluppato: un discorso d'arte che diventi un discorso immediatamente politico; un modo di vedere la realtà dal punto di vista degli interessi della nuova società che fa sentire l'urgenza della sua appari zione nella Storia.

Franco Migliaccio

(1) K. Marx, F. Engels, L'Ideologia Tedesca, Roma 1958 - pp. 22-4.

(2) Idem, pp. 22-4.

(3) K. Marx, Per la Critica dell'economia politica, Roma, 1957, p. 10.

(4) K. Marx - F. Engels, op. cit. p. 43.

(5) Marx ed Engels usano questo termine solo nel senso di "falsa coscienza". Per essi, inoltre, la verifica delle forme culturali, si ha soltanto nel confronto con le posizioni del mondo reale. Se esse non servono ad acquistare consapevolezza di tali posizioni diventa "ideologia" poiché:

Lideologia è un processo che il cosiddetto pensatore compie senza dubbio con coscienza, ma con una coscienza falsa. Le vere forze motrici che lo spingono gli restano sconosciute, altrimenti non si tratterebbe più di un processo ideologico. Così egli si immagina delle forze motrici false o apparenti. Trattandosi di un processo intellettuale, egli ne deduce il contenuto, come la l orma, dal puro pensiero, sia dal suo proprio pensiero che da quello dei suoi predecessori. Egli lavora con la sola documentazione, intellettuale che egli prende, senza guardarla da vicino, come emanante dal pensiero: e senza studiarla in un processo più lontano, indipendente dal pensiero; e tutto ciò è per lui identico all'evidenza stessa, perché ogni azione, in quanto trasmessa dal pensiero, gli appare così in ultima istanza fondata sul pensiero.
--F. Engels, a F. Mehring - 14.7.1893, in K. Marx-F. Engels, Sul materialismo storico, Roma 1949

(6) La distinzione naturalmente non è netta: l'intellettuale può contemporaneamente sentire tanto l'influenza della casse dominante quanto quella della classe rivoluzionaria producendo quella che può essere definita "controdditorietà", culturale, artistica, ecc. Ciò dimostra inoltre che il passaggio da un'epoca con un'altra non tronca ogni rapporto con le manifestazioni del passato ma queste ultime permangono con tendenza al deperimento lino al punto da non potersi pio neanche minimamente identificare coi valori espressi dalla nuova realtà sociale; significa, fondo, che l'elemento dinamico determinante è, in definitiva, la "base reale" della società (struttura economica).

(7) K. Marx - F. Engels, op. cit., pp. 27-30.

(8) Per meglio chiarire il concetto ricorriamo ancora a Marx ed Engels:

Ma anche quando questa teoria, teologia, filosofia, morale, ecc. entrano in contraddizione con i apporti esistenti, ciò può accadere soltanto per il fatto che i rapporti sociali esistenti sono entrati in contraddizione con le forze produttive esistenti; d'altra parte in una cerchia nazionale di rapporti ciò può accadere per essersi prodotta la contraddizione non all'interno di questa cerchia nazionale, ma fra questa coscienza nazionale e la prassi delle altre nazioni, cioè fra la coscienza nazionale e la coscienza di una nazione.

E un po' più avanti:

... la forza produttiva, la situazione sociale e la coscienza, possono e devono entrare in contraddizione tra di loro, perché con la divisione del lavoro si dà la possibilità, anzi la realtà, che l'attività materiale, il godimento e il lavoro, la produzione e il consumo tocchino a individui diversi, e la possibilità che essi non entrino in contraddizione sta solo nel tornare ad abolire la divisione del lavoro
In K. Marx, F. Engels, op. cit., pp. 27-30

(9) K. Marx, Il Capitale, Roma 1964, pp. 164-5.

(10) K. Marx, Teorie sul plus-valore, Roma 1961, pp. 610-1.11.

(11) Marx ed Engels usavano il termine "Tendenza" per indicare "l'arte schiettamente socialista", cioè "per rendere onore alle idee socialiste e politiche dell'autore".

(12) K. Marx - F. Engels, Ausgewählte Briefe, Berlino, 1953, pp. 482-5.

(13) Idem, pp. 482-5.

(14) L'obiettività realista, è chiaro, non va intesa nella sua più completa accezione. Essa è, per così dire, traslata dalla sensibilità dell'autore che opera delle necessarie deformazioni che potremmo riassumere in due "gruppi" principali: una prima deformazione avviene nel modo dell'artsta di vedere i personaggi; lo sforzo cioè di evidenziare particolari che più colpiscono la sua fantasia e la sua sensiblità e che sono del personaggio e del contenuto in genere; una seconda, invece, è quella insita nello "stile" e nella tecnica dello stesso che porta ad una alterazione di tipo concettuale (nel modo di sentire lo spazio, la forma, nei mezzi, insomma, propri all'elaborazione del messaggio artistico) e che è invece dell'artista, del suo modo di sentire l'immagine e la realtà delle cose che sta dietro la stessa.
Inoltre, il realismo non è una formula matematica. Non è perciò codificabile in schemi rigidi e assoluti. Soprattutto oggi che, dopo tante esperienze artistiche, s'è caricato di caratteristiche proprie ad altre correnti. C'è per esempio un tipo di realismo con ascendente dadaista, surrealista, simbolista, ecc. o addirittura pop come nel caso dell'ultima corrente artistica, l'Iperrealismo, che imperversa nei mercati artistici degli Stati Uniti.

(15) La via Cloitre-Saint-Merry di Parigi è stata al centro degli scontri nella insurrezione del 5-6 giugno 1832 scoppiata nel corso dei funerali del generale Lamarque.

(16) K. Marx - F. Engels, op. cit. pp. 22-4.

(17) K. Marx-F. Engels, op. cit. pp. 44-46.

(18) "Figurazione Oggettiva" o "Arte di Impegno Civile (come l'ha definita il critico Mario De Micheli), è una corrente artistica che nell'ultimo decennio s'è via via affermata sulla scena delle arti figurative soprattutto in Italia. È una "branca" del neo-realismo tutta intrisa, nei suoi significati, di chiari contenuti sociali ereditari dalle esperienze del Realismo degli anni cinquanta. Essa gode, tuttavia, di una larghissima autonomia nei confronti delle esperienze similari che l'hanno preceduta ed è l'unica forma d'arte che, al momento, si ponga sul piano del dibattito ideologico sulla funzione dell'Arte nella società capitalistica; è quindi l'unica forma di espressione artistica che in senso marxista possa definirsi di "Tendenza". Pur nei limiti che un movimento giovane necessariamente porta con sé ha espresso ed esprime, nelle sue punte avanzate risultati soddisfacenti riscontrando, ed ottenendo, soprattutto presso le nuove leve dell'arte italiana, successo e consensi massicci ed esercitando, sempre su di esse, influenze sempre più larghe. Il fenomeno è in piena ascesa e nel suo movimento estensivo sta mettendo salde radici e a livello nazionale e a livello internazionale.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.