Avvio all'opportunismo - Note sul "fronte unico"

Mi propongo solo di esporre qualche osservazione su Lenin tattico e manovratore politico, e di rivendicare quello che è il vero carattere dell'opera sua. Domani un dibattito di questa natura può divenire importantissimo, non essendo escluso che da qualche parte si invochi un insegnamento di Lenir! travisato da quello che veramente deve essere, quando si sappia considerarlo nell'insieme formidabile e complesso quanto unitario dell'opera sua.

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Noi ci rifiutiamo di far tradurre il realismo marxista di Lenin nella formula che ogni espediente tattico sia buono ai nostri fini.

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Nel proseguire il lavoro la Internazionale deve guardarsi dal pericolo che la tesi della massima libertà tattica non venga a celare l'abbandono e la "diserzione" della "piattaforma" di Lenin, ossia la perdita di vista delle finalità rivoluzionarie.

In questi brani vigorosi del discorso di Bordiga su “Lenin nel cammino della rivoluzione” (1) è contenuta in estrema sintesi la sostanza delle divergenze fra la Sinistra Italiana e l'Internazionale. Ci proponiamo qui di sgomberare il campo da certi equivoci circa la natura di questo dissenso, artificialmente indotti dall'apparato staliniano e che vorrebbero far vedere nel dissenso. sviluppatosi in particolare a partire dal 1924, la conseguenza di una pretesa forte divergenza precedente della Sinistra da Lenin. Affronteremo poi il riesame critico delle prime fasi della nuova tattica dell'Internazionale, varata con il III Congresso e conseguentemente lo stesso atteggiamento della Sinistra.

Nei passi citati del discorso di Bordiga emerge chiara la preoccupazione presente allora nella Sinistra Italiana per la piega presa dagli sviluppi della tattica della Internazionale. Il tragico fallimento del tentativo insurrezionale del marzo 1921 in Germania venne attribuito dallo stesso Lenin alla accentuata tendenza insurrezionale, ma a carattere avventurista, del CC del partito tedesco. Ciò che, a ragione, si ritenne mancasse al PC tedesco era un sufficiente legame con le masse operaie, l'adesione della maggioranza dei lavoratori alle tesi e al programma dei comunisti. L'esistenza del partito e un numero anche elevato di iscritti non sono garanzia sufficiente alla riuscita di un'insurrezione rivoluzionaria. Prima di lanciare la parola d'ordine dell'insurrezione, della presa immediata del potere è necessario un lungo lavoro di preparazione avente come scopo quello di legare al partito la maggioranza della popolazione lavoratrice e la sconfitta delle forze della socialdemocrazia in seno alla classe operaia. Queste validissime considerazioni emerse nel corso della polemica all'interno dello stesso partito tedesco all'indomani della sconfitta del Marzo, furono, si disse, alla base della iniziativa presa dal nuovo CC “brandleriano” di inviare una “Lettera Aperta” all'Unione dei sindacati tedeschi, al Partito Indipendente Socialdemocratico e al Partito Operaio Comunista di Germania per invitarli ad una azione di fronte unico per la difesa degli interessi della classe operaia contro la reazione sulla base di rivendicazioni immediate senza escludere la eventuale partecipazione ad un “governo operaio decisamente anticapitalista”. La proposta fu respinta dai socialdemocratici e dal Partito Comunista Operaio che per di più tacciò di opportunismo il partito comunista unificato. Tale rifiuto fu utilizzato dal PC per denunciare la responsabilità delle attuali divisioni in seno al proletariato e si disse, per accrescere l'influenza stessa del partito sulle masse.

Al III Congresso le tesi elaborate dalla delegazione russa pretendevano avallare quella discutibilissima iniziativa per portarla ad esempio dei nuovi sistemi da adottare sul piano della tattica da tutti i partiti della Internazionale.

Toccò a Terracini difendere, anche se in maniera poco brillante, le posizioni della Sinistra Italiana chiedendo a nome di tre delegazioni (quella italiana, francese e spagnola) di cancellare la parola “Lettera Aperta”. Dobbiamo dire francamente che si sarebbe trattato di ben altro che di cancellare due parolette: la questione era invece di precisare il carattere delle direttive che si volevano dare ai partiti circa il problema della tattica da adottare. Questo era il compito urgente del momento, d'altra parte esattamente compreso dalla Sinistra come più di un documento attesta.

La risposta che Lenin diede a Terracini il primo luglio a quello stesso con gresso, per respingere la proposta di emendamento, mostra con evidenza una intenzione fortemente polemica ma scarsamente argomentata sul piano politico. Non è del migliore Lenin affermare che:

della lotta contro la destra si vuole fare uno sport” a cui si deve dire “basta altrimenti il pericolo diventa troppo grande. (2)

Sarà lo stesso Lenin a confessare più tardi (3) che la lotta ai “sinistrismi emersi con il marzo tedesco lo aveva spinto ad allearsi con la destra in modo forse non opportuno. Il nodo stava proprio qui: l'Internazionale “reagendo ai sinistrismi”, specie tedeschi e olandesi, apriva a pericoli di deviazione a destra se non avesse precisato vigorosamente i limiti del “nuovo” indirizzo tattico. La sinistra italiana si avvide di questi pericoli tenendo soprattutto conto del fatto che la chiarezza di Lenin nell'interpretare le tesi sul fronte unico non fosse garanzia sufficiente perché certe manovre tattiche non condizionassero i partiti che avevano dimostrato il loro debole ancoraggio ad una salda piattaforma interpretativa marxista e una loro incapacità a reagire alle suggestioni del momento. Nell'ottobre del 1923 si ebbe clamorosa conferma dei timori della sinistra con mancata utilizzazione di un'altra situazione favorevole in Germania, apertasi con l'occupazione della Rhur da parte di truppe francesi, occupazione che aveva gettato nel caos l'economia tedesca e nell'impossibilità di agire le forze politiche della borghesia. Ma...

il partito comunista tedesco continuava a seguire la parola d'ordine del III congresso, che l'aveva decisamente allontanato dal "putschismo", ma che era stata assimilata in modo unilaterale.

L'analisi che fa Trotsky (4) non fa che confermare il fatto che la Sinistra aveva ragione. Infatti nel progetto di tesi sulla tattica presentato dal PC d'Italia al IV Congresso dell'Internazionale viene esplicitamente affermato:

Le crisi disciplinari dell'Internazionale Comunista dipendono da un doppio aspetto che assume oggi l'opportunismo tradizionale: quello di accettare con entusiasmo la formulazione dell'esperienza tattica dell'Internazionale Comunista, senza intenderne la solida coordinazione ai fini rivoluzionari, ma cogliendone le forme esteriori di applicazione come un ritorno ai vecchi metodi opportunisti destituiti di ogni coscienza e volontà finalistica e rivoluzionaria e quello di rifiutare quelle formulazioni della tattica con una critica superficiale che le dipinge come una rinuncia e un ripiegamento rispetto agli obbiettivi programmatici rivoluzionari.

Sotto accusa sono tanto i brandleriani, i cecoslovacchi e i polacchi dediti alla pratica del fronte unico e a tentativi di “governo operaio”, quanto i sinistri del Kapd tedesco e i consiliari olandesi. La sinistra non rifiutava aprioristicamente il fronte unico.

È un fatto che fu proprio la direzione di sinistra del PCd'I a lanciare la parola d'ordine del fronte unico sindacale. Si intendeva con esso favorire la necessaria fase di preparazione del proletariato operando per il rafforzamento dei quadri della organizzazione comunista e per la crescita dell'influenza comunista fra le masse operaie. Si operava per la fusione delle tre organizzazioni sindacali esistenti (CGL USI e Sindacato Ferrovieri) e per la unificazione delle vertenze categoriali in una unica piattaforma rivendicativa di classe valida alla difesa contemporaneamente degli interessi immediati dei lavoratori e del fronte di lotta di tutta la classe. La parola d'ordine lanciata dal partito era da guida all'azione dei suoi militanti all'interno delle organizzazioni sindacali, nel loro lavoro di agitazione e di propaganda fra le masse operaie; mirava alla unificazione della classe operaia sotto le bandiere del comunismo rivoluzionario. Nelle tesi della Sinistra il fronte unico sindacale permetteva lo smascheramento della natura controrivoluzionaria, obbiettivamente antiproletaria, dei socialdemocratici e degli opportunisti in genere, nella misura in cui l'unità della classe nell'azione avrebbe smacherato la obbiettiva passività dei verbosi capi socialdemocratici. Tale azione di smascheramento era realmente possibile in quanto il partito contava numerosi gruppi all'interno della organizzazione sindacale, tali da costituire una fittissima rete di azione del partito.

Era esclusa ogni possibilità di tattica frontista sul piano politico. Certo l'argomento non era neppur considerato essendo obbiettivamente al di fuori di qualsiasi interpretazione marxista quella che Humbert-Droz chiama “un'estensione al campo politico della tattica praticata dal partito”. (5)

Al Congresso di Roma erano presenti Humbert-Droz e Kolarov quali rappresentanti l'Esecutivo dell'Internazionale. Ad essi il CC del partito pose chiare tre domande (6) in cui traspare con una certa evidenza quella che sarà in seguito la politica e l'atteggiamento di Bordiga e della Sinistra nei confronti del problema della divergenza con l'internazionale. In tutte e tre le domande infatti

posta la questione di eventuali dimissioni della Sinistra attualmente maggioritaria per lasciare il posto ad una direzione anche minoritaria in accorcio con le tesi dell'Internazionale. Due anni dopo, quando per la Sinistra si tratterà di riprendere la direzione dopo la parentesi determinata dall'incarcerazione dei suoi maggiori esponenti, essa declinerà l'offerta non volendo assumere, con la direzione la corresponsabilità di una politica imposta dall'internazionale e non condivisa. Comunque allora i due delegati del CE dell'Internazionale risposero che non ritenevano “necessaria la formazione di una nuova direzione”. Inoltre specificamente sul problema del dissenso che esso avrebbe potuto benissimo essere appianato attraverso una discussione diretta fra l'esecutivo del partito italiano, e in particolare Bordiga, e il Presidium della Internazionale. Provvisoriamente consigliavano al PCI di...

continuare a sviluppare la tattica del fronte unico sindacale, non facendo però alcuna dichiarazione pubblica che limiti questa tattica al campo sindacale, preparandosi anzi a una sua estensione al campo politico.

Aggiungevano:

Noi riteniamo che la tattica del fronte unico non impegni assolutamente il PCI a mitigare la sua polemica nei confronti degli altri partiti politici.

Questa era la situazione da cui Bordiga e la Sinistra traevano motivi per pensare che l'esperienza di una tale politica avrebbe illuminato la stessa direzione dell'Internazionale sull'errore commesso inducendola a rettificare il tiro. Questo e non altri (magari di carattere moralistico estetizzanti come vorrebbero alcuni) è il motivo per cui venne rifiutata più tardi la direzione.

La situazione che vede il varo del fronte unico

Quando al III Congresso Lenin pose il problema di aprire una nuova fase di raccoglimento che consentisse ai partiti dell'Internazionale di riprendere e rafforzare le file della propria organizzazione in seno al proletariato e alle masse lavoratrici dei loro paesi, era mosso dalla precisa comprensione del fatto che fosse assolutamente da scartare la tesi dell'azione offensiva permanente, che cioè non si potesse operare sempre come se la Rivoluzione fosse stata dietro l'angolo. All'interno del partito russo il “sinistro” della situazione era ancora il solito Bucharin cd è alle sue posizioni estremistiche che aderiva l'intervento di Terracini, più di quanto non interpretasse la posizione della direzione del PCd'I. Contro simili posizioni Lenin affermava:

Chi non capisce che in Europa - dove quasi tutti gli operai sono organizzati - noi dobbiamo conquistare la maggioranza della classe operaia, è perduto per il movimento comunista e non imparerà mai nulla, se non ha imparato nulla durante i tre anni della grande rivoluzione.

La tesi di partenza era che con la prima guerra mondiale il capitalismo aveva aperto l'era della sua crisi finale. Esso era svuotato di qualsiasi possibilità di ripresa stabile: ogni forma di stabilizzazione sarebbe stata provvisoria e di preparazione a nuove più gravi cadute. Ma non venivano sottovalutate le possibilità di stabilizzazione, nè da Lenin ne da Trotsky.

Tutta “La terza Internazionale dopo Lenin” ribadisce la concezione del suo autore e dello stesso Lenin secondo cui dopo una serie di sconfitte proletarie, una ripresa della situazione economica fosse inevitabile. Questa ripresa d'altra parte avrebbe determinato una spinta alla lotta rivoluzionaria su cui poter innestare l'iniziativa del Partito per l'assalto al potere. Da questo e solo da questo i capi del movimento comunista traevano la necessità per il III Congresso di lanciare la parola d'ordine “verso le masse” (7). Non era qui il dissenso della Sinistra che per la penna di Bordiga così si esprimeva nel corso del Gennaio 1922 (a sei mesi di distanza dal III Congresso):

Sarebbe follia una piatta interpretazione democratica della opinione di Lenin "Dobbiamo avere la maggioranza del proletariato", quella che corresse a spostare le basi del PC e ne alterasse il carattere e la funzione perché solo così è possibile includervi subito la maggioranza delle masse. Il contenuto innegabilmente marxista del pensiero dell'Internazionale è invece l'opposto, che la conquista delle masse e la formazione di PC veramente tali sono le due condizioni che, lungi dall'escludersi, combaciano perfettamente, cosicchè svolgendo la sua tattica verso l'inquadramento dei larghi strati proletari l'IC non rinnega, ma razionalmente sviluppa e utilizza la sua opera di scissione del movimento politico proletario che doveva essere liberato dai traditori e dagli inetti. (8)

La ripresa rivoluzionaria era vista a scadenze piuttosto brevi. Molti sono soliti insistere anche troppo su questa questione giungendo ad attribuire a Lenin un grave errore di interpretazione della situazione. Ma i fatti che seguirono al 1921 dimostrano che sia Lenin che Trotsky avevano ragione. Forse che il 1923 tedesco non offerse possibilità di azione rivoluzionaria al proletariato e al suo partito tedesco? Se così fosse, se cioè in Germania allora non fosse esistita una situazione favorevole, non si sarebbe annessa tanta importanza all'episodio dell'Ottobre. L'analisi di Trotsky a questo riguardo, seppur incompleta (non tenendo conto delle implicazioni insite nella stessa tattica del fronte unico da lui preconizzata e difesa) è precisa. Se il Partito comunista tedesco e la direzione dell'Internazionale non si fossero mossi sulla base del contingentismo, non si fossero lasciati prendere da “esitazioni, oscillazioni, indugi” si sarebbe potuto lanciare la parola dell'insurrezione nel momento giusto in cui essa avrebbe potuto vincere. La vittoria in Germania avrebbe radicalmente cambiato il corso della storia Europea e mondiale, rispetto a quello vissuto sino ad oggi. Non solo, ma più tardi nel 1927 esplose la crisi cinese e fu un'altra occasione d'oro tragicamente persa dal movimento comunista internazionale. Ma sarà già un'altra cosa, nel senso che nel 1927 agiranno tutte intere le forze della controrivoluzione in Russia, proprio nel senso della difesa di questa dai pericoli di un rilancio dell'iniziativa di classe.

Al IV Congresso Lenin, presente per quel poco che gli consentiva la malattia già insorta a minare il suo organismo, affermerà che la risoluzione del terzo “è quasi completamente russa” e dirà:

Non abbiamo capito come si deve mettere a portata degli stranieri la nostra esperienza russa”. (9)

Non ci è dato sapere cosa Lenin intendesse esattamente con quelle parole: se avanzasse l'ipotesi che si era sbagliato nel voler riproporre ai partiti europei l'esperienza russa verificatasi in una situazione completamente diversa, oppure se intendesse dire che per il fatto di essere “troppo permeata di spirito russo” non fosse stata sufficientemente applicata dai partiti. (10) Egli afferma infatti che:

Tutto ciò che dice la risoluzione è rimasto lettera morta.

Poco ci interessa sapere cosa avrebbe fatto nella realtà Lenin se fosse vissuto in salute più a lungo: entreremmo nel campo delle supposizioni che in quanto tali sono poco fondate e insignificanti. Sta di fatto invece che Trotsky, cui non ci sentiamo affatto di attribuire una posizione opportunista di destra, insistette su un espediente tattico come il fronte unico, fino ad affermare:

I suoi (del Terzo Congresso) insegnamenti re. stano vivi e fecondi ancora oggi (1928). Il 1V Congresso non ha fatto che renderli più concreti. (11)

Ora il IV congresso è quello che giunge alla costituzione di una commissione di fusione fra PCd'I e i socialisti che avevano nel frattempo espulso l'ala più sfacciatamente gradualista, dei Treves, Turati, Modigliani.

Tornando al nostro tema, quando Lenin lanciò la parola d'ordine del “fronte unico” non escluso quello politico aveva presente in particolare proprio l'esperienza russa e forse episodi precisi come quello di Kornilov, in cui i bolscevichi, in difesa delle conquiste della Rivoluzione di Febbraio si erano trovati in armi al fianco delle forze democratiche borghesi dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari, chiamando a raccolta e alla lotta tutta la popolazione di Russia. A quell'episodio si sono sempre rifatti e si rifanno tutti gli opportunisti proditoriamente richiamantisi a Lenin, per avvalorare tutti i fronti unici, popolari, democratici e chi più ne ha, più ne metta che si sono visti e si vedono nel mondo. Ma c'era qualche analogia fra la situazione russa prerivoluzionaria e quella europea degli anni venti che stiamo esaminando? No assolutamente. Il “compromesso” nel caso Kornilov si situava:

  1. in un momento di ascesa rivoluzionaria che vedeva appena attuato il rovesciamento dello zarismo e la possibilità dell'ulteriore passo per la dittatura del proletariato;
  2. in presenza di forze tutte interessate alla sconfitta della armata bianca che minacciava più immediatamente il ritorno dello zarismo che per tutti avrebbe significato il precipitare nella illegalità e alla opposizione radicale.

Questo consentiva alle forze bolsceviche la egemonizzazione della lotta nel corso della stessa “alleanza” militare; l'essere in prima fila nella lotta insieme ai filistei del democraticismo indecisi e timorosi consentiva, insieme ad una spietata lotta politica agli stessi alleati condotta nei Soviet e in tutte le organizzazioni operaie, di conquistare la maggioranza del proletariato. In Europa invece, la fase di raccoglimento delle forze doveva anzitutto consistere nell'irrobustimento delle file comuniste e dal punto di vista politico e dal punto di vista organizzativo, operato attraverso la sola lotta alle forze della socialdemocrazia. Nessuna alleanza con queste era rivoluzionaria-mente possibile nella lotta contro il capitalismo e i suoi tentativi di ricostruzione.

La socialdemocrazia europea, con la quale, al fondo, si preconizzava l'alleanza era tutt'altro che interessata all'abbattimento del potere borghese, e nei casi, come quello tedesco e italiano, in cui il fascismo minacciava le stesse istituzioni democratiche, quelle forze della socialdemocrazia conservavano, nè potevano altrimenti, la illusione di poter efficacemente contrastare l'ascesa del reazionarismo fascista sul piano della democrazia borghese.

L'antagonismo fra le forze democratico-borghesi e quelle socialdemocratiche nella Russia prerivoluzionaria non aveva niente a che vedere con i rapporti che legavano invece a doppio filo la socialdemocrazia europea alla conservazione borghese. Era abbastanza lunga la storia della collaborazione dei partiti della seconda internazionale con la borghesia dei loro paesi, collaborazione che aveva raggiunto il suo culmine già nel 1914, quando solo il PSI italiano in cui già erano relativamente forti le correnti internazionaliste, il partito bolscevico russo e la pattuglia spartachista del partito socialdemocratico tedesco, si opposero alla guerra. È proprio dalla lotta a fondo contro il riformismo controrivoluzionario dei socialdemocratici si erano generati i migliori partiti della Internazionale Comunista. Su tale terreno essi dovevano ancora rafforzarsi. In quella situazione ogni tentativo di fronte unico non poteva se non miseramente fallire.

I primi fallimenti del fronte unico

Non solo il fallimento era inevitabile per la suesposta indisponibilità dei socialdemocratici, ma anche perché le contraddizioni insite in tale tattica erano troppo scoperte perché gli stessi socialdemocratici non se ne avvantaggiassero sia per far fallire l'iniziativa comunista, sia per attaccarla sul piano del discredito.

Si possono forse dare tutti i torti al borghesissimo Vandervelde per quanto dice nel suo primo intervento alla conferenza di Berlino (12) anche in risposta alla dichiarazione di Clara Zetkin a nome dell'esecutivo della I.C.? Egli afferma infatti:

In questo documento (un documento del CE della terza Int. a proposito del fronte unico) che è un misto di ingenuità e cli machiavellismo, ci sono dei passaggi che mi riportano irresistibilmente a quella scena della tetralogia dei Nibelungi ove Mime annuncia a Sigfrido le sue intenzioni cli avvelenarla caricandola di parole amabili e carezzevoli. Vi si fa appello alla unione di tutti, ci si propone di realizzare il fronte unico, ma non si nasconde l'intenzione, dopo averci abbracciati, cli strozzarci o avvelenarci. Quando ci si mette tutti nello stesso sacco, in attesa che un giorno ci si metta nello stesso paniere, quando si dichiara per esempio che uomini come Jouhaux, come Merrheim, e si aggiunge molto volentieri Henderson, Vandervelde o Longuet, servono gli interessi della borghesia, è per lo meno strano che si proponga a questi stessi uomini di concorrere alla difesa degli interessi proletari. (13)

Né ha tutti i torti Matteotti quando risponde all'invito del PCI di costituire un blocco detto di “unità proletaria” ai due partiti socialisti chiedendo la...

esclusione di qualsiasi blocco di opposizione al fascismo e alla dittatura da esso instaurata, che si proponga come scopo una restaurazione pura e semplice delle libertà statutarie. (14)

A tale invito Matteotti risponde:

Voi intendete che l'unione delle forze operaie accetti il programma d'azione e l'indirizzo tattico comunista, che ben sapete antitetico al nostro [...] il porre tali condizioni preliminari a un'intesa [...] significa non solo render assolutamente impossibile l'intesa, ma anche vana ogni discussione. Se tale era il vostro scopo, l'avete indubbiamente raggiunto. (15)

Ma già l'episodio tedesco dell'Ottobre 1923 aveva creato situazioni tali per cui non solo ogni fronte unico sarebbe stato impossibile, ma ogni ulteriore tentativo in quel senso da parte dell'Internazionale avrebbe lasciato scoperto il partito mondiale del proletariato sia dal punto di vista ideologico-politico, sia dal punto di vista organizzativo. A questo punto, la politica comunista avrebbe voluto un riesame critico delle posizioni assunte nella dinamica degli avvenimenti per approdare alla conclusione che ogni tentativo di fronte unico avrebbe senz'altro posto la drammatica alternativa di cedere alle pressioni e alle contaminazioni socialdemocratiche o fallire con discredito ulteriore del Partito. Su questo si battè sempre la Sinistra, fìnchè si dissolse ogni possibilità di ritornare ad una linea genuina. mente rivoluzionaria con lo schierarsi della Russia sul piano della conservazione capitalista.

La politica adottata dal CE dell'Internazionale e sancita dal Congresso del 1924 (il quinto) fu di insistere sul fronte unico a tutti i costi.

La sinistra italiana per l'apertura di un dibattito internazionale

Abbiamo già visto come la sinistra si fosse subito opposta a una interpretazione della tattica indicata dal Terzo Congresso che tendesse alla compromissione dei principi fondamentali del Partito Comunista.

Ma l'accettazione allora delle tesi del Terzo Congresso aveva il preciso significato di accettazione di una certa tattica, di cui lo stesso PCd'I era stato iniziatore con il fronte unico sindacale, strettamente subordinata ai principi, alla strategia e al programma comunisti, da cui mai avrebbe dovuto prescindere per giungere poi inevitabilmente a un suo prevalere su quelli. Si trattava quindi di chiarire a fondo all'interno della Internazionale i limiti e le forme in cui la famosa “svolta” non solo era accettabile ma si imponeva. Ammessa la capacità di manovra di un Lenin pur sempre ancorato saldissimamente alla piattaforma e ai principi rivoluzionari, non era possibile attribuire tali capacità a partiti relativamente giovani, soprattutto dal punto cli vista della mancanza di una tradizione di lotta e di elaborazioni politiche. Qualunque partito non ha nessun certificato di garanzia contro le degenerazioni opportuniste indotte dal contingentiamo, dall'intreccio di particolarismi inevitabili quando si scende sul terreno della manovra. L'unica garanzia per il partito rivoluzionario è il prevalere in esso delle considerazioni di principio a cui volta a volta adeguare l'azione particolare nella situazione particolare. La svolta richiesta e varata dal III Congresso avrebbe dovuto essere chiarita, circostanziata nei suoi particolari, e circoscritta nei suoi limiti. Ogni spazio lasciato aperto all'ipotesi del fronte unico politico significava dare in mano ai destri un potentissimo strumento di manovra per la corruzione dei partiti. Questo fu, non esitiamo a dirlo, il grande errore di Lenin. Non quello della ipotesi del fronte unico, non quello della parola d'ordine "verso le masse", ma quello appunto della lettera aperta tedesca. La risposta della Sinistra, che a miseri chiosatori appare come un peccato di cedimento, era la precisa richiesta che dal centro della Internazionale venisse un saldo segno di direzione rivoluzionaria, una chiara interpretazione rivoluzionaria delle cose dette al Congresso. Si trattava cioè di aprire un vastissimo dibattito su scala internazionale, che riprendesse il filo dei problemi di fondo della rivoluzione socialista; che verificasse la validità delle posizioni alla luce di un esame della situazione e delle sue prospettive secondo il ferreo metodo marxista. La Sinistra iniziò subito e fu unica.

Esisteva la speranza (alcuni la chiamano illusione) che l'esperienza avrebbe insegnato a quelli, che pure erano considerati maestri della Rivoluzione, gli Zinoviev, i Radek, i Trotsky, che era necessario abbandonare ogni velleità di furbesca alleanza estremamente pericolosa per tornare a quella politica di intelligente coerenza allo spirito antiriformista che aveva caratterizzato la nascita dei PC. Era giustificata tale speranza? Evidentemente non si può rispondere affermativamente considerando solo il fatto che le parole d'ordine di “fronte unico” e di “governo operaio e contadino” erano accompagnate da dichiarazioni di fedeltà ai principi rivoluzionari. Ma c'era ben altro al fondo della questione. La possibilità di vittoria delle tesi della sinistra stava ancora nella fluidità della situazione interna alla Unione Sovietica negli anni che vanno dal 1922 al 1925-26. Abbiamo in altra sede esaminato il problema della introduzione della Nep (16) e abbiamo constatato come essa ponesse il problema della resistenza sul piano politico delle forze rivoluzionarie del proletariato, al potere. Dicevamo:

[La Nep] poteva servire il proletariato o la borghesia imperialista. Si trattava di badare alle forze che la manovravano in un senso e a quelle che badavano a manovrarla in un altro.

La questione era allora preminentemente politica, di scelte politiche. Impostare il dibattito in seno alla Internazionale significava anche cercare quei collegamenti che strappassero i partiti dalla mistica soggezione alle direttive provenienti da Mosca. Uscire dall'Internazionale con atteggiamento tanto sdegnato quanto ridicolo, proclamando come facevano i tedeschi del KAPD. la perdizione della stessa alla causa rivoluzionaria, avrebbe ridotto la Sinistra nella impossibilità d'azione a cui si era ridotto il KAPD, la avrebbero completamente isolata, e soprattutto avrebbe reso ancor più facile la involuzione degenerativa dell'Internazionale e del PCI. È un fatto che oggi, proprio grazie alla accorta politica rivoluzionaria di allora la Sinistra Italiana è l'unica seria voce rivoluzionaria sfuggita nelle sue impalcature ideologiche e politiche al crollo della III Internazionale. A Roma, come abbiamo visto, Humbert-Droz dichiarò l'inesistenza di un serio dissenso fra il PCd'I e l'Internazionale. Più tardi invece quello che nel 1922 costituiva un dissenso secondario, d'ordine tattico, che non comportava nessuna rottura, divenne motivo per le manovre intessute dalla Internazionale e dal gruppo gramsciano per eliminare la sinistra che all'atto di scioglimento del comitato d'Intesa, nel documento in cui si annunciava quella stessa iniziativa, scriveva:

Noi accusati cli frazionismo e di scissionismo dinanzi alla eventualità di una rottura col partito sacrificheremo alla unità di esso le nostre opinioni, eseguendo una intimazione che consideriamo ingiusta e dannosa al partito. Con questo dimostreremo come noi della sinistra italiana siamo forse i soli per cui la disciplina è una cosa seria e non commerciabile [...]. Malgrado la virulenza cui è discesa la Centrale noi ci sforzeremo di portare il dibattito all'altezza dei compiti del Partito e di dare ai compagni la nozione completa dell'orientamento della sinistra sulle diverse questioni evi tando personalismi e pettegolezzi [i corsivi sono nostri]. (17)

Nè era particolarmente cambiata la situazione del capitalismo e soprattutto i rapporti di forza fra borghesia e proletariato. Era semplicemente avvenuta la maturazione dell'elemento opportunista insito nelle stesse formulazioni iniziali del fronte unico e per la revisione delle quali la Sinistra si era battuta. Questo era stato possibile per il venir a coincidere del complesso di istanze controrivoluzionarie provenienti dalla base economica della Russia sovietica e una insufficiente formazione ideologica dei partiti che su queste istanze avrebbero dovuto esercitare il massimo controllo e cioè i partiti della Internazionale. Nella particolare congiuntura di questi fattori gli elementi opportunisti all'interno del partito bolscevico poterono prendere il sopravvento e rivelarsi per quelli che erano, lo stalinismo in altri termini potè affermarsi. Alla politica nazionalista e controrivoluzionaria nei fatti di Stalin si mostrò egregiamente funzionale proprio la linea politica del tatticismo finalizzato a se stesso, dei fronti popolari. Lentamente, ma, ora sì, inesorabilmente si doveva passare dalla propaganda della rivoluzione alla difesa dei principi democratici!

Se agli inizi del 1924 noi vediamo ancora un PCI che, per bocca del “funzionario arrivato” Togliatti reclama la necessità del fronte unico per la lotta anticapitalista e non solo antifascista, vedremo la stessa direzione Togliatti nel 1931 usare una apparente fraseologia rivoluzionaria per preconizzare un “governo operaio e contadino” che si dice sinonimo di...

rivoluzione proletaria che confischerà e nazionalizzerà tutte le imprese della grande industria... organizzerà una direzione operaia dell'industria... nazionalizzerà... ecc. (18)

E siamo già così alla offerta di una collaborazione per un governo “operaio e contadino” “sulla base della più ampia democrazia proletaria” non escludente la partecipazione socialdemocratica. Non si parla più di assalto violento a tutta l'impalcatura dello stato borghese e delle sue quinte colonne, ivi compresi i partiti socialdemocratici. Non si parla più di misure economiche successive a questa azione eversiva. No, si fa passare per socialista qualsiasi governo che attui la... nazionalizzazione. Nel 1937 poi con il Congresso di Parigi il PSI affermerà:

Questa nuova democrazia (ricordiamo per inciso la Nuova democrazia di Mao, per notare come l'opportunismo controrivoluzionario si nasconda spesso sotto formule uguali nelle più diverse parti del mondo) presidiata dai lavoratori, liberata dai monopoli capitalistici e dalla feudalità agraria, realizzerà nella Repubblica Socialista Italiana quella sintesi di socialismo e libertà che è il compito specifico e la suprema aspirazione del nostro movimento.

Ma cosa diceva invece il PCI? In una lettera inviata dal CC al congresso socialista si leggeva:

i due partiti della classe operaia italiana devono prendere la direzione, alla testa della classe operaia, della lotta popolare per la libertà, la democrazia e la pace. Noi comunisti vogliamo lottare insieme con voi, compagni, e insieme con tutti gli operai socialisti, per l'avvento di una Repubblica democratica italiana (sic!) che si appoggi sulle masse popolari e che sia il risultato della libera espressione della volontà del popolo. (19)

Come si vede a furia di rincorrere la socialdemocrazia, pur di far blocco, il PCI si trovò addirittura più a destra dello stesso PSI. Quelli se non altro parlavano di repubblica socialista! Ogni speranza a questo punto è vana. Ogni recupero impossibile. Ma questo documento sancisce per chiunque sappia leggere la conclusione ufficiale di un processo degenerativo iniziatosi ben prima, e contro cui la Sinistra Italiana operò per bloccarlo e capovolgerlo.

Ancora una volta ci troviamo costretti a riprendere la polemica con Trotsky. Se egli si fosse accorto a tempo non solo di quello che succedeva in Russia, ma di quanto era insito nella politica del fronte unico l'azione della Sinistra Italiana avrebbe avuto certamente una maggiore efficacia. Se a tempo il compagno Trotsky avesse cessato di accusare la direzione della IC di cattiva applicazione dei principi tattici del III e IV Congresso, per rivedere invece proprio quei principi, si sarebbe resa possibile una ben più potente organizzazione internazionale di opposizione allo stalinismo e alla controrivoluzione in Russia. Lo stesso Trotsky invece lo trovammo a rifiutare l'apertura di un dibattito sui principi della Internazionale che la Sinistra invece richiedeva. Trotsky difenderà fino alla fine la validità di quella politica senza mai spiegare perché una politica valida nei principi non venisse mai correttamente applicata dal CE dell'Internazionale, che continuava a fare “errori di applicazione” appunto. È l'altra grande contraddizione del pur rivoluzionario compagno Trotsky, che ha impedito il tempestivo congiungersi delle forze rivoluzionarie nel mondo, prima che la Russia legasse per interi decenni il proletariato mondiale al carro della propria politica imperialista.

Mauro jr. Stefanini

(1) Amadeo Bordiga: “Lenin nel cammino della Rivoluzione” - Edizioni del Partito Comunista Internazionalista. 1946.

(2) Lenin: “Sul movimento operaio italiano” - Rinascita, 1947, pag. 175.

(3) “Note di un pubblicista” - Opere complete.

(4) Trotsky: “La Terza Internazionale dopo Lenin” - Schwarz. 1957.

(5) Cfr. Humbert-Droz: “Il contrasto tra l'Internazionale e iI PCI 1922-1928”, Feltrinelli, 1969, pagg. 49-54.

(6) Ibidem.

(7) Cfr. Trotsky: op. pagg. 115-114.

(8) Bordiga: “La tattica dell'IC” ne L'Ordine Nuovo del 12 Gennaio 1922.

(9) Lenin: “Opere scelte” - Ed. in lingue estere, Mosca 1948, I I Vol., pag. 797.

(10) Ibidem.

(11) Trotsky: op. cit., pag. 116.

(12) Questa conferenza tenutasi a Berlino i giorni 2, 4 e 5 Aprile 1922, fu convocata su iniziativa della Internazionale due e mezzo, dopo che la Terza si era dichiarata d'accordo su una simile ipotesi. Ad essa presenziò per l'internazionale comunista anche Bordiga, in rappresentanza dell'Italia. All'Esecutivo Allargato del Febbraio-Marzo 1922 la delegazione italiana aveva votato contro l'accettazione dell'invito da Vienna a tale Conferenza, purtuttavia Bordiga fu inviato a Berlino. In tale occasione egli si astenne dalle votazioni avendo asserito in commissione di rifarsi alle posizioni del P.C.d'I., contrarie ai fronti unici politici e a qualsiasi alleanza con i socialdemocratici.

(13) Conférence des trois internationales - Compte-rendu sténographique - Bruxelles, 1922.

(14) Cfr. Galli: “Storia del Partito Comunista Italiano” - Schwarz, 1958, pag. 86.

(15) lbidem.

(16) Vedi “Prometeo n. 15” - Lenin e il capitalismo di Stato.

(17) Cfr. Humbert-Droz: op. cit., pagg. 234-237.

(18) Cfr. Galli: op. cit., pag. 156-157.

(19) Ibidem. pagg. 200-201.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.