Elementi dell’economia marxista

Sezione VI - Il salario

33. Legge generale della plusvalenza

In questo argomento ricordiamo soltanto che la espressione esatta che designa nella nostra teoria il salario, ossia la somma di danaro versata dal capitalista all’operaio per una giornata di lavoro è: prezzo della forza del lavoro: ossia valore della forza di lavoro. L’economia classica si affannava a cercare il valore del lavoro analogamente a quello di ogni altra merce. Con ciò si cade nell’equivoco di definire come valore della giornata di lavoro il valore trasmesso ai prodotti dall’attività giornaliera del lavoratore. Ora noi sappiamo che tale valore, corrispondente al consumo della merce “forza di lavoro”, è molto superiore al valore di essa. (id est: valore d’acquisto, valore di mercato, dunque prezzo di essa f. d. l.).

Invano si cercò di risolvere la contraddizione sfuggendo alla constatazione che vi è una parte di lavoro non pagato, col riferirsi alle possibili oscillazioni del prezzo del salario analoghe alle oscillazioni di ogni altro prezzo per effetto della domanda e dell’offerta. Tale legge provoca oscillazioni o scarti in più o in meno rispetto a una quantità media che è il valore di scambio. Ammesso che l’abbondanza di una merce rispetto al fabbisogno obblighi gli incauti o disgraziati produttori a venderla a prezzo ribassato, tale fenomeno, accompagnato alla riduzione della produzione, oppure il fenomeno inverso, sono fenomeni che riconducono all’equilibrio, ed è appunto la cifra di equilibrio del prezzo che chiamiamo valore e che cerchiamo di spiegare.

Così per la merce forza lavoro e per il salario. Indipendentemente dal giuoco della domanda o della offerta (come indipendentemente da ulteriori fenomeni da studiarsi più oltre, quale sarebbe la resistenza sindacata operaia e padronale) in regime di equilibrio esso salario è sempre fortemente al disotto della quantità di valore fornito dal lavoro. Invano quindi l’economia classica cerca di far credere che in ogni acquisto sul mercato possa esservi un beneficio (sopraprezzo) e così occasionalmente nell’acquisto della forza lavoro, restando la plusvalenza un prodotto miracoloso del capitale. Sulla scorta di queste direttive generali possono studiarsi le varie forme di salario (paghe orarie o a cottimo), le oscillazioni dei salari da paese a paese e da epoca ad epoca (capi 20, 21 e 22).

Legge generale

A conclusione del primo studio sul procedimento della produzione capitalistica svolto negli appunti che precedono, ricorderemo ancora una volta l’espressione della legge fondamentale scoperta da Marx:

p / v = s = saggio della plusvalenza = plusvalenza / capitale variabile = plusvalenza / valore della forza lavoro = sopralavoro / lavoro necessario = tempo di lavoro extra / tempo di lavoro necessario

Ogni aumento di capitale è lavoro rubato.

Sezione VII - L’accumulazione del capitale

34. Riproduzione del capitale

II processo capitalistico si realizza in tre fasi: la prima avviene sul mercato, conversione del danaro in merci di produzione e forza lavoro; la seconda è la produzione propriamente detta. La terza, che si svolge anche sul mercato, è la trasformazione dei prodotti ottenuti in danaro. L’insieme di queste fasi, che si ripetono indefinitamente, chiamasi circolazione del capitale (come già parlammo di circolazione delle merci e della circolazione del danaro).

Attraverso questo processo ritorna nelle mani del capitalista il capitale primitivo più una plusvalenza. Questa può avere diverse destinazioni. Anzitutto, in dati casi, il capitalista imprenditore deve dividerla con altri capitalisti, col proprietario fondiario ecc. In secondo luogo la plusvalenza può essere o consumata dal capitalista o impiegata di nuovo come capitale.

Per ora si parlerà semplicemente della accumulazione del capitale, ovvero della sua formazione iniziale, della sua conservazione e del suo accrescimento a mezzo di parte della plusvalenza. Chiamiamo accumulazione primitiva la prima formazione del capitale; riproduzione semplice la sua conservazione in quantità costante, riproduzione progressiva il suo continuo incremento per l’aggiungersi di parte di plusvalenza.

35. Riproduzione semplice

Supponiamo che il capitalista impieghi come fondo di consumo personale e per la propria famiglia tutta la plusvalenza fornitagli ad ogni atto di circolazione, riacquistando mezzi di produzione e forza lavoro sempre nella stessa quantità. Si dice allora che egli vive con la rendita del proprio Capitale (benché con la parola rendita si indichi talora il totale della plusvalenza, anche se non tutta viene consumata dal capitalista).

Suol dirsi che il capitalista ha anticipato le spese per la produzione e tra esse il salario che permette agli operai di vivere o di conservare le proprie forze lavoro. Ma la spesa salari o capitale variabile non è che un aspetto storico particolare del così detto fondo di mantenimento del lavoro che in ogni sistema economico assicura il perpetuarsi della produzione. Ciò, pur essendo una necessità sociale, si faceva in forme non ancora capitalistiche, come ad es. dal piccolo contadino o dall’artigiano, il quale ogni giorno lavorava tanto da disporre dei prodotti occorrenti al suo mantenimento. Il capitale, in realtà, avendo separato i lavoratori dai mezzi di produzione, si appropria di tutti i loro prodotti e non solo non anticipa, bensì rende ad essi a ciclo compiuto una parte sola dei prodotti medesimi convertendo l’altra in plusvalenza. Quando noi consideriamo la circolazione del capitale nel caso della riproduzione semplice, e quando abbia raggiunto un regime costante, sparisce ogni anticipazione che possa da teorie morali o giuridiche essere accampata come giustificazione della plusvalenza.

Certo che se invece del regime ormai stabilito, consideriamo il periodo iniziale, un’anticipazione di valore deve essere constatata. Questa anticipazione di valore doveva rappresentare lavoro senza plusvalenza; si asserisce, quindi, che sia lavoro degli stessi capitalisti in altri tempi. Si può accettare questa spiegazione salvo a discuterla parlando dell’accumulazione primitiva.

Un capitale di 100 lire dia ora ad ogni ciclo una plusvalenza di lire 20. Ammesso che le 100 lire rappresentino lavoro del capitalista e suo dritto a consumare altrettanto senza che si parli di plusvalenza sorta da lavoro altrui non pagato, ne segue che si spiega come il capitalista possa, ripetendo cinque cicli produttivi, volgere in rendita cinque volte la plusvalenza di lire 20. Egli avrebbe allora consumato le primitive sue 100 lire di valore lavoro. Ma dopo tale consumo non solo sussistono ancora le 100 lire di capitale che egli potrebbe consumare a suo capriccio, ma di più queste sono suscettibili di produrre indefinitamente altra plusvalenza. Adunque ammesso che le 100 lire siano state effettivamente anticipate una volta come lavoro fornito o consumo risparmiato del capitalista, ciò non spiega come tale anticipo venga ritirato non già una volta sola, ma due, tre, quattro e mille e in teoria infinite volte. Quindi l’anticipazione, in quanto implica una restituzione, non può spiegare il fatto della plusvalenza o rendita.

In altri termini la semplice riproduzione, per poco che il capitalista voglia consumare, basta per trasformare presto o tardi qualsiasi capitale anticipato in capitale accumulato. Quindi tutto il capitale è plusvalenza capitalizzata, come tutta la plusvalenza è lavoro non pagato. Il lavoro iniziale dei membri della classe capitalistica, volendo ammetterlo, è coperto dalle poche prime annualità di rendita (plusvalenza volta a consumo). Adunque, il meccanismo capitalistico, creatore di plusvalenza, non è sorto per il semplice fatto che a taluno è riuscito di lavorare e non consumare. Ben altro è occorso perchè la produzione di plusvalenza si iniziasse; è occorsa la separazione forzata del lavoratore dai mezzi di produzione e dai prodotti, che lo obbligò a trasformarsi in salariato. La pretesa trasformazione del lavoratore artigiano, vincolato dai mille regolamenti medioevali, un lavoratore libero di contrattare la vendita della sua forza lavoro, significa in realtà una condizione di dominio della classe capitalistica su quella operaia, espressione cui noi diamo un significato materiale in quanto produce una sottrazione materiale di lavoro e di produzione come ogni altra forma storica di appropriazione di sopra lavoro. Nella riproduzione semplice il capitale riproduce se stesso ma soprattutto, lasciando all’operaio solo quanto basta alla stretta sussistenza, ed escludendolo salvo casi eccezionalissimi dalla possibilità di accumulare, anticipare a sua volta lavoro e valore, esso riproduce ossia conserva e difende (col solo fatto della semplice riproduzione, e col solo rispetto delle leggi statali che garantiscono lo scambio tra privati possessori lasciando teoricamente a tutti uguale diritto) i rapporti sociali di forza propri del regime capitalistico.

36. Riproduzione progressiva

Se invece di spendere la plusvalenza la si impiega ancora in aggiunta al capitale, si ha un capitale aumentato che darà una plusvalenza maggiore. Se per es. si sono anticipati in un ciclo produttivo 250 mila lire di cui 200 mila di capitale costante e 50 mila di salari, e se il saggio della plusvalenza è del 100% si ricaveranno 50 mila lire di plusvalenza e il capitale salirà a 300 mila lire. Impiegandolo in altro ciclo, il capitale variabile sarà di 50 mila lire e di altrettante la nuova plusvalenza. La prossima volta il capitale potrà essere di 350 mila lire e così via.

In generale perciò bisogna domandarsi, passando ad esaminare il quadro totale della produzione, come la plusvalenza realizzata in danaro troverà da convertirsi in capitale, dovendo perciò trovarsi sul mercato forze di lavoro addizionali materie prime e strumenti elaborati in altri atti produttivi. Quanto alla prima esigenza abbiamo già visto come il meccanismo capitalistico assicuri la produzione e l’incremento numerico dei lavoratori. Quanto ai prodotti atti a convertirsi in capitale (cioè non destinati né al consumo dei capitalisti né alle sussistenze dei lavoratori) occorre che essi figurino in eccedenza nella produzione totale. Consideriamo per chiarezza il periodo di un anno: essa produzione totale relativa deve così comporsi: una parte che ricostituisce intatto il capitale costante (c), una parte che rappresenta sussistenze scambiate contro la somma dei salari o capitale variabile (v), infine la plusvalenza (p) o prodotto netto. Di questo una parte va a consumo personale dei capitalisti, un’altra parte, che deve potersi trasformare in capitale, deve essere stata realizzata materialmente in sussistenze addizionali, in materie prime da lavorare, in strumenti di lavoro e macchine.

Così se le 250 mila lire fossero tutto il capitale mondiale, 200 mila lire di prodotti riformerebbero il capitale costante; 50.000 sarebbero sussistenza (salari). Se delle 50.000 lire di plusvalenza, 10 mila fossero consumate dai capitalisti, 40 mila andrebbero a nuovo capitale, a condizione che del prodotto totale annuo del valore di 300 mila lire, esistessero materialmente per 30 mila lire di mezzi produttivi, e 10 mila di sussistenze, in più.

Se si domanda donde il capitalista ha tratto i primitivi 250.000 franchi, si risponde che vengono dal suo lavoro o da quello dei suoi avi. Ammesso ciò per un momento, le cose non cambiano, però, per il capitale addizionale di 40.000. Esso non è che plusvalenza, ossia lavoro non pagato, e le stesse forze di lavoro i mezzi di produzione in cui si investiranno le 40.000, sono prelevati dal prodotto netto, ossia da quanto resta previa restituzione al capitale di tutte le sue anticipazioni, dunque dalla plusvalenza e dal lavoro tolto senza corrispettivo alla classe operaia.

Siamo venuti alla conclusione che quanto più lavoro non pagato il capitale ha preso tanto più ne prenderà. Ciò sembra contraddire alla legge fondamentale dallo scambio tra equivalenti, che esigerebbe la formula opposta: più si è preso più si deve restituire. Inutile notare che la soluzione della contraddizione sta nella scoperta del plusvalore per cui la speciale merce lavoro, scambiata al suo valore, dà a chi la usa un valore superiore.

Ciò spiega perchè lo stesso diritto di proprietà regoli l’economia mercantile fino a quando ogni produttore dispone del suo prodotto e lo reca al mercato, e seguita a regolarlo anche dopo che il sorgere del capitalismo ha separato il produttore dai suoi prodotti. Sarebbe errore poi credere che la produzione mercantile potesse fare a meno di evolversi in senso capitalistico e che l’appropriazione di plusvalenza possa cessare conservandosi il regime mercantile di scambio e di distribuzione (libero commercio).

Ciò perchè soltanto a partire dal momento in cui la forza di lavoro diviene merce la produzione mercantile diviene dominante nell’economia e ogni ricchezza circola sul mercato. Il diritto della proprietà privata viene ad identificarsi con quello dell’appropriazione capitalistica, non solo in quanto è diritto di proprietà privata sui mezzi di produzione, ma anche in quanto lo è sugli oggetti di consumo. La frase del testo:

grande illusione è quella di talune scuole socialiste che si immaginano di poter infrangere il regime del capitale applicando ad esso le eterne leggi della produzione mercantile...

avrebbe bisogno di lungo commento, se invece di esporre la teoria e la critica della economia capitalistica si esponessero e discutessero programmi sociali. Il socialismo non è solo la economia in cui i mezzi di produzione da privati diventano collettivi, ma è soprattutto quella in cui tutti i prodotti sono collettivi e collettivamente distribuiti; ogni circolazione con scambi di salari tra privati è abolita e sostituita da un meccanismo distributivo centrale che, parallelamente a quello che distribuisce il lavoro tra i produttori, fa giungere tutti i prodotti al consumatore immediato, a meno che non ne realizzi addirittura la disponibilità illimitata (servizi gratuiti dei trasporti, telefoni, poste, elettricità e via via di tutti gli altri consumi).

Nell’anzidetta frase è implicita la condanna di tutte le scuole corporative, sindacaliste, libertarie preconizzanti associazioni autonome di produttori professionali o locali (corporazioni, sindacato, comune, cooperativa) ed anche ai quelli che ammettono un socialismo centralizzato nella produzione ma lasciante sussistere la distribuzione mercantile. (1)


La parte di rendita che il capitale consuma gli serve a comprare merci le quali evidentemente sono oggetti di consumo e non mezzi di produzione. L’economia borghese chiama lavoratori improduttivi quelli che hanno prodotto tali merci, lavoratori produttivi quelli che producono merci acquistate come capitale.

Essa ha insistito nel raccomandare al capitalista di consumare poco e di accumulare molto: beninteso per la produzione capitalistica accumulare non significa tesoreggiare danaro e merce, ma investire il valore in capitale cioè in mezzi produttivi. L’economia classica ha sostenuto sempre che carattere dell’accumulazione è il far consumare il prodotto netto (plusvalenza) da lavoratori produttivi anziché improduttivi.

È erronea però la tesi di Smith e Ricardo che tutto il prodotto netto destinato ad accumulazione è consumato da lavoratori produttivi. Ciò vorrebbe dire ché tutta la plusvalenza viene anticipata come spesa salari; abbiamo visto invece che occorre anticiparla parte come capitale costante e parte come capitale salari. È vero che anche la parte di prodotto netto investita in materie prime corrisponde a prodotti di altre lavorazioni che contengono altra parte di capitale salari; ma allora essi contengono anche altra parte di plusvalenza, consumata da altri capitalisti.

Non si può quindi menar per buona ai capitalisti la tesi che “ogni parte di prodotto netto volto a capitale è consumato da lavoratori”.

Né è ancora il caso di tentare di riprodurre il quadro generale della circolazione della ricchezza, problema oltremodo complesso e difficile.

Chiamiamo grandezza dell’accumulazione il rapporto tra le parti di plusvalenza accumulata come capitale e quella destinata al consumo del capitalista. D’altra parte l’accumulare parte della plusvalenza è una necessità a cui il capitalista non può sottrarsi perché è una necessità dell’istesso capitale in lui personificato e della concorrenza delle aziende rivali. Quindi i primi capitalisti predicavano energicamente l’astinenza da eccessivo consumo personale che ritraesse capitale dell’accumulazione.

Tuttavia, per effetto dell’accumulazione stessa e del cresciuto volume della plusvalenza, i capitalisti si permisero di consumare in sempre più larga misura.

Il concetto dell’astinenza fu elevato a teoria pretendendosi di far passare ogni capitale come valore che il capitalista si è astenuto dal consumare, ed ogni accumulazione come prodotto dell’astinenza capitalistica. Per rispondere a questa obiezione che vorrebbe dimostrare necessaria l’esistenza del capitalista se si vuole ottenere l’incremento della ricchezza sociale, si mostra anzitutto storicamente che società precapitalistiche presentavano la riproduzione semplice e anche quella progressiva senza che vi fosse plusvalenza capitalistica, ed accumulazione di capitale, come nelle Indie ove i contadini erano piccoli proprietari autonomi versanti un annuo tributo ai signori locali.

Anche in una economia di questo genere una parte del prodotto è volta a nuove e maggiori produzioni, senza che intervenga il capitalista ad astenersi dal mangiarla.

Tale ragionamento si completa (anche quando ciò nel testo non è esplicito) con la conclusione: si potrà benissimo destinare parte del prodotto sociale (per fissare le idee, poniamo il 20%) a mezzi di produzione addizionali, senza alcun bisogno di attribuirne una quantità assai superiore (poniamo il 40%) al capitalista, perché questi abbia a farsi il merito di essersi astengo dal consumare la parte primitiva, pur consumando liberamente la differenza.

37. Variazioni di grandezza dell’accumulazione

Ammesso che una aliquota sempre costante di plusvalenza venga consumata, ed il resto capitalizzata (ad es. il 20% e l’80% rispettivamente) la quantità del capitale accumulato dipenderà dalla quantità o massa di plusvalenza. Influiscono quindi sulla quantità dell’accumulazione le stesse cause che influiscono sulla quantità della plusvalenza. Queste cause sono state già esaminate. Sempre a parità del valore di danaro ecc. esse sono:

  1. grado di sfruttamento della forza operaia ovvero saggio della plusvalenza, ovvero, rapporto tra sopralavoro e lavoro necessario. Osserviamo a tal proposito che qualora il capitalista riesca a prolungare il sopralavoro (diminuendo il salario o prolungando la giornata) egli non sarà obbligato, per accrescere la forza lavoro adoperata, ad accrescere contemporaneamente il capitale costante, come avverrebbe se senza poter modificare il sopralavoro ingaggiasse nuovi operai alle stesse condizioni dei vecchi. Quindi tutto l’aumento di capitale genererà aumento di prodotto netto, di plusvalenza, di accumulazione.
    Se lo sfruttamento del lavoro avesse inizio nelle industrie estrattive e minerarie, che non abbisognano di materie prime, l’intensificato sfruttamento della forza lavoro fornirà maggiore slancio all’accumulazione. Nell’agricoltura l’effetto è quasi analogo, a parte la necessità di investire capitale in concimi, oggi d’altronde forniti da industrie estrattive o chimiche. Infine nelle manifatture e nelle fabbriche l’aumento della spesa in lavoro non presuppone, quando derivi da aumentato sopralavoro, aumento di capitale costante per impianti, ma solo per acquisto di materie prime, e se queste provengono dall’aumentato margine di prodotto netto delle industrie estrattive e dell’agricoltura avremo come risultato finale un impulso poderoso all’accumulazione.
  2. Produttività del lavoro. L’aumento di produttività del lavoro arreca come abbiamo mostrato, se anche non cambi la giornata di lavoro, un aumento di plusvalenza. Inoltre sebbene il valore totale del prodotto non muti, varia la sua quantità materiale sicché alla stessa cifra di danaro corrisponde più valore d’uso e soddisfazione di maggiori bisogni. Quindi da un lato abbiamo che cresciuta la plusvalenza cresce l’accumulazione, dall’altro una rendita minore può soddisfare gli stessi bisogni del capitalista; quindi questi può accrescere la percentuale di capitalizzazione. Il nuovo capitale accumulato nominalmente conserva lo stesso valore ma rappresenta maggiore massa di prodotti, siano essi materie prime che strumenti che sussistenze destinate a compensare il lavoratore. Di qui maggiore potenza accumulatrice di questo capitale.
    Chiamando capitale addizionale quello derivato dalla plusvalenza, abbiano che per i progressi scientifici e tecnici la parte di esso investita in strumenti di lavoro (impianti, macchine) si concreta in tipi più efficienti di quelli corrispondenti all’antico capitale. Questo rimane con ciò deprezzato, ma poiché occorre periodicamente rinnovarlo e tale anticipazione è già prevista in tutte le nostre deduzioni e calcoli, esso viene ben presto rinnovato.
    Meno sensibile ancora è tale fenomeno per le materie prime, il cui consumo e rinnovamento è annuale se provengono dall’agricoltura, e mediamente molto più rapido se vengono dall’industria. La chimica scoprendo sempre nuove materie utili, talune delle quali erano rifiuti o non valori, le trasforma in elementi addizionali per l’accumulazione. A misura quindi che la potenza del lavoro favorisce una accelerata accumulazione, essa conserva e ravviva un primitivo valore capitale. Tale proprietà inerente al lavoro umano socialmente diviso ed alle conquiste della scienza, presentasi falsamente come un attributo del capitale che ne giustifichi la incessante appropriazione di sopralavoro. (2)
  3. Rapporto tra il consumo del capitale impianti e la sua grandezza. È chiaro che il capitale investito in impianti (fabbriche, strade, ponti, ferrovie, macchine, navi, miglioramenti fondiari, canali, impianti elettrici ecc. ecc.) aumenta continuamente, mentre tende a diminuire la produzione di esso che si consuma poniamo in un anno. Quel valore enorme, mantenuto con sforzi relativamente lievi, equivale ad un servizio gratuito fornito dal lavora delle generazioni passate. Mentre il senso di questo processo dovrebbe far intravedere la tendenza alla soddisfazione di tutti i bisogni con un minimo di lavoro sociale, tale contributo viene dall’economia ufficiale attribuito non al lavoro passato ma al capitale attuale per cui la plusvalenza (profitto o interesse) apparirebbe come compenso non più dell’astinenza, ma del lavoro di altri tempi. È chiaro invece che tutti questi processi d’incremento della ricchezza collettiva non sono condizionati ma anzi, a partire da una data epoca storica che stiamo vivendo, gravemente intralciati dal sistema capitalistico.
  4. Grandezza del capitale anticipato. Altra causa che influisce sull’accumulazione a parità di saggio della plusvalenza è la quantità del capitale anticipato che determina corrispondente plusvalenza ed accumulazione.

Tutte queste cause di accumulazione non agiscono dunque in modo uniforme ma con ritmo crescente ed accelerato (analogamente al crescere degli interessi composti). La linea che può dare un diagramma della intensità del capitalismo non è una retta ma una curva che piega sempre più verso l’alto fino a tendere alla direzione verticale. Ciò dà una idea del fatto che il capitalismo non può avere durata indefinita ma corre con ritmo accelerato alla sua fine.

38. Teorie del preteso fondo dei salari.

Taluni economisti borghesi pretendevano che, sebbene la massa totale del capitale varii aumentando continuamente, la frazione di esso che si investe in sussistenza dei lavoratori resti costante, essendovi un limite quasi naturale (!) per cui malgrado il loro sforzo i lavoratori non possono che contendersi tra loro queste totale. Tale teoria non merita alcuna critica essendo senz’altro smentita dagli stessi dati di fatto del sistema capitalistico.

(1) Tale cenno contenuto nella stesura originale di questo lavoretto vecchio di oltre venti anni, basta a mostrare la sostanziale identità della nostra critica alle soluzioni economiche “Cattive” vecchie, nuove e nuovissime di cristiani sociali, mazziniani, fascisti, nazionalcomunisti, staliniani e marshalliani.

(2) Le enormi possibilità sociali che si inseriscono sulla utilizzazione, dopo le varie forme di energia naturale termica e meccanica, della energia infratomica, non mancano di essere captate nel girone dell’accumulazione capitalistica, sotto le formule dello spietato controllo e monopolio che giunge alla schiavizzazione e disumanizzazione del fisico scopritore e sperimentatore, oltre che di tutti quanti lavorano nel nuovo campo.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.