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La crisi economica inglese ha fatto passare in secondo piano i dibattiti parlamentari sulle nazionalizzazioni alle quali del resto gli oppositori del governo si son guardati dall'attribuire la responsabilità del disordine economico abbattutosi sul Paese, limitandosi perlopiù a consigliare di rallentarne il ritmo o di rinviare nuovi esperimenti in rapporto alla difficile situazione del bilancio dello Stato. Mette tuttavia conto di completare l'analisi precedentemente fatta (Prometeo n. 4) con alcune considerazioni sulle ultime misure nazionalizzatrici votate dal parlamento britannico, che riguardano l'industria dei trasporti e le imprese produttrici e distributrici di energia elettrica.
Le due leggi hanno di mira, più che il salvataggio di industrie pericolanti e la garanzia del profitto capitalistico degli azionisti “espropriati”, il coordinamento di due branche fondamentali dell'economia britannica attraverso l'unificazione di servizi essenziali per il rendimento massimo della compagine industriale e commerciale. Non è perciò strano che la legge sulla nazionalizzazione delle imprese di trasporto per ferrovia, per strada e per vie d'acqua (navigazione interna e costiera), implicante l'assunzione da parte dello Stato di tutti i servizi relativi, si muova sulla linea di una tradizione inaugurata da un governo liberal-conservatore che, già nel 1919, riconosceva il principio della statizzazione delle ferrovie e cominciava ad unificare la frazionatissima rete in quattro grandi compagnie a carattere nazionale. D'altro canto, fin dall'inizio della guerra, la rete era stata affittata dallo Stato al canone annuo fisso di 43,47 milioni di sterline, cifra che, largamente coperta durante il conflitto dalle entrate, ha richiesto negli ultimi anni, nonostante il sensibile aumento delle tariffe, l'intervento del tesoro (le previsioni per il 1947 erano per un deficit di non meno 37 milioni di sterline corrispondenti allo scarto fra il canone di affitto e le entrate nette dell'esercizio, non calcolando tuttavia le forti somme richieste con carattere di urgenza dal necessario rinnovamento di tutta l'attrezzatura delle linee ferroviarie di comunicazione). Lo scopo a cui la legge tende è di risolvere l'intricato problema del coordinamento della rete dei trasporti in considerazione soprattutto del disordinato sviluppo preso negli ultimi anni dalle imprese ferroviarie e stradali, sviluppo che ha portato a continue interferenze e a doppioni antieconomici gonfiando i costi di esercizio di entrambi i rami. Nell'accanita lotta di concorrenza che ne è derivata, le ferrovie hanno avuto la peggio, e non saranno certo gli azionisti delle compagnie private a dolersi di un'espropriazione che garantisce loro un utile fisso contro gli utili ormai aleatori delle rispettive imprese, mentre accolla allo Stato le spese di riattamento della rete: maggior resistenza hanno opposto al progetto gli interessi del ramo trasporti stradali; ma è comunque chiaro che l'interesse “collettivo” del capitalismo britannico consigliava una più organica distribuzione del lavoro, un alleggerimento della macchinosa attrezzatura delle due branche con conseguente riduzione dei costi, una economia di personale e, per concludere, una razionale organizzazione -di quel vitalissimo ramo dell'economia moderna, che sono i rapporti. Tale compito poteva essere assunto solo dallo Stato; e l'opposizione parlamentare si è limitata a chiedere a favore degli azionisti un trattamento più favorevole negli indennizzi o a patrocinare modificazioni tecniche del progetto. Quanto alla classe operaia, essa ne ricaverà al massimo il... beneficio di una riduzione del personale dipendente delle aziende nazionalizzate.
Più generale, per non dire unanime, è stato l'accordo sulla nazionalizzazione delle aziende produttrici e distributrici di energia elettrica, tanto più che il principio della municipalizzazione era ormai entrato nella pratica corrente, e alle autorità locali era già da tempo riconosciuto il diritto non soltanto di concedere ad imprese private il rifornimento di energia elettrica nelle rispettive zone, ma di riscattarle. Questo sistema aveva tuttavia lo svantaggio di frazionare all'estremo la distribuzione dell'energia, con conseguenti difficoltà di coordinamento e sensibili diversità tariffarie da luogo a luogo. Già un governo conservatore aveva, nel '26, provveduto a creare un “Central Electric Board” appunto al fine di coordinare su scala nazionale l'approvvigionamento dell'energia elettrica, di eliminare gradatamente le centrali non economiche e di concentrare le concessioni in poche grandi unità aziendali ad attrezzatura tecnica moderna, Mentre nel 1936 la commissione McGowan, pur mantenendo la gestione privata delle aziende, non ne escludeva l'ulteriore statizzazione. L'attuale legge, che prevede l'indennizzo degli azionisti sulla base del corso medio delle azioni ed obbligazioni in un dato periodo d'anni (ed è stato su questo punto che le critiche dell'opposizione si sono particolarmente accanite), prevede l'organizzazione regionale della distribuzione sotto la responsabilità di 14 “Area Boards” e il raggruppamento delle reti ad alta tensione e delle più importanti centrali elettriche sotto il controllo della governativa “British Electricity Authority”. Particolare curioso, per un Paese che si vanta palladio delle libertà locali: mentre per le aziende private è previsto l'indennizzo, per le imprese comunali lo Stato si assume soltanto gli obblighi inerenti a prestiti e l'ammortamento degli impianti. In altre parole, i capitalisti recupereranno in titoli di stato a reddito fisso il capitale investito: i comuni, le libere comunità popolari, sorgente dell'autogoverno ecc., se lo vedranno soffiar via.
Un efficace commento alla legge sulla nazionalizzazione delle industrie elettriche e alla sua presentazione come esempio di realizzazione socialista” è dato del resto proprio in questi giorni dall'approvazione nella “fascista” Argentina del progetto di legge che dispone, per cominciare nella provincia di Buenos Aires e in seguito su scala nazionale, la deprivatizzazione di tutti gli impianti, edifici, macchine ecc. delle compagnie elettriche e la limitazione delle concessioni da parte dello Stato ai soli comuni e alle cooperative agricole. Se l'applicazione di misure e di controllo e coordinazione economica ci portassero fuori ed oltre il sistema capitalistico, perchè non dichiarare socialista” anche il regime Peron, che ha d'altronde dimostrato in tutti i campi la decisione d'intervenire radicalmente nell'economia (monopolio del commercio estero, pianificazione industriale ed agricola ecc.)?
Una curiosa “variante” è offerta dal progetto di riorganizzazione della marina mercantile francese. Esso prevede le statizzazione delle compagnie di navigazione nelle quali lo Stato era già direttamente interessato o che sovvenzionava, i cui azionisti riceveranno un indennizzo sulla base del corso medio delle azioni fra il 1944 e il 1945, col diritto legalmente riconosciuto di investire gli attivi non statizzati o le indennità riscosse in società private di nuova fondazione. Altre compagnie non statizzate dovranno stipulare convenzioni con lo Stato per il trasferimento a questo di alcune navi da trasporto, mentre accordi fra armatori provvederanno a limitare o addirittura ad escludere la concorrenza e a facilitare un coordinamento dei servizi e del materiale.
La legge, che sostanzialmente sottopone al controllo dello Stato la marina mercantile, “apre tuttavia al settore libero ampie prospettive di sviluppo e salvaguardia l'iniziativa degli armatori, che potranno svolgere in questo campo una attività preziosa”.
Davvero lo Stato non poteva essere più fascisticamente paterno!
b.m.Prometeo
Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.
Prometeo #8
Anno I - N. 8 - Novembre 1947
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