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Il lettore quotidiano della stampa di oggi vede passare sotto i suoi occhi stanchi cifre allucinanti. Non negli scritti che volgarizzano astronomia o fisica corpuscolare, ma proprio in quelli che lo cibano di politica, sempre più, a fine politico, gli parlano di economia, e gli propinano numeri.
Miliardi di dollari. Un miliardo è mille milioni, e si scrive con uno seguito da nove zeri. Tra poco un dollaro corrisponderà a mille delle nostre lire, e giù per su finiranno col fermare la lira lì (ciò vuol dire che la lira comprerà duecento volte meno che all'inizio del secolo). Dunque il miliardo di dollari varrebbe mille miliardi di lire, un trilione (miliardo e bilione è lo stesso) e ciò si scrive con uno e dodici zeri.
Vediamo la cosa più palpabilmente. Mettiamo che il lavoratore medio guadagni 1600 lire al giorno. In trecento giorni lavorativi saranno 480 mila lire annue, su per giù 500 dollari. Forte ottimismo, come vedete.
Con un miliardollaro, bazzecola per gli odierni vincitori, si compra il lavoro di due milioni di persone produttive (le nostre cifre sono arbitrarie per arrotondare, ma gli arbitri finiscono per compensarsi); il miliardollaro acquista il lavoro per un anno di una popolazione di dieci milioni di anime (S.O.S. - salvate le nostre anime).
Ora non si sente discutere che della ricostruzione della distrutta Europa e del danaro che l'America deve prestarle a tal uopo. I miliardollari roteano nella polemica. Truman fa votare, per soccorrere Grecia e Turchia, per ora appena tre decimi di miliardollaro, ma già si sono accorti che il soccorso è insufficiente a distruggere i guerriglieri. Comunque a qualche timida obiezione parlamentare Truman ha risposto con tutta chiarezza che la guerra è costata agli Stati Uniti 341 miliardollari, e per la garanzia di questo “investimento”, o, come dicono i Francesi, “placement”, sarebbe da veri pitocchi esitare a spendere quei pochi soldi in Grecia e Turchia, l'uno per mille appena del capitale messo a rischio per salvare la Libertà.
La Francia ha per ora avuto un quarto appena di miliardollaro, ma è bastato a mettere fuori dal governo Thorez e i suoi. Per l'Italia si fa balenare un miliardollaro intiero, di cui uno o due decimi sarebbero già liquidi. Ma di ciò tra un momento.
Questi sono prestiti che naturalmente saranno restituiti con gli interessi, ma vi è poi la beneficenza pura, la erogazione a fondo perduto, l'ultima e sopraffina forma di piazzamento del capitale. Anche qui le direttive dell'UNRRA secondo la dottrina Truman sono chiare; paese per paese gli stanziamenti dipendono dal colore del governo locale o dalla sua soggezione alla politica d'oltreatlantico; nei casi dubbi si manda lo stanziamento a zero. Non è guerra, ma è sempre far leva sulla morte.
Ma vi è di più. La dottrina Truman, piuttosto grossolana, consiste nel maneggiare il dollaro per distruggere zona per zona l'influenza russa ed è applicata con una delicatezza da bisonte. Per fortuna nella libera America vi è il democratico urto delle opposte opinioni, e contro la dottrina Truman vi è quella di Wallace, un amicone questo della Russia, che invece adotta una raffinatissima diplomazia, e spinge il disinteresse fino ai limiti dell'inverosimile. Donare prestare anticipare dollari, ecco il sacro dovere dell'America, e soprattutto alla Russia bisogna subito offrirli. Le cifre qui naturalmente salgono. Occorre porre a disposizione dell'Europa 50 di quelle nostre unità, cinquanta miliardollari, e di questi alla Russia bisogna, secondo il signor Wallace, non esitare a darne da un quinto ad un terzo, da 10 a 17 miliardollari.
Le devastazioni della guerra, secondo un calcolo, raggiungono 150 miliardollari ed egli suppone che nei capitali locali si possa ancora trovarne 50 da investire, mentre gli altri cento miliardollari sarà l'America a prestarli al resto del mondo.
Tornando ai cinquanta che toccano a noi Europei essi valgono secondo il nostro calcoletto a comprare la forza lavoro di 500 milioni di abitanti per un anno, ossia appunto della popolazione europea.
La ricostruzione non si può fare certo in un anno, poichè tutti i prodotti dei lavoratori Europei, divenuti di proprietà americana almeno per i due terzi giusta la teoria di Wallace, non possono andare a rifare impianti e opere distrutte, in quanto i lavoratori stessi devono mangiare e consumare.
A consumo ridotto, come è nella quasi totalità dell'Europa, supponiamo che essi assorbano metà del loro prodotto. In tal caso, se tutti i 50 miliardi di dollari potessero, il che è certo impossibile, essere di un colpo anticipati ed investiti, in due anni l'Europa avrebbe rinnovata la sua attrezzatura, ma tutto l'utile del capitale che questa produrrebbe « per sempre » sarebbe di diritto americano per i due terzi.
Le cifre sono molto discutibili, ma è chiaro che il signor Wallace, vero pacifista, progetta un investimento di primissimo ordine.
Naturalmente egli ha bisogno di garanzie per il ritiro dei formidabili utili, pur essendo sempre in credito della somma anticipata. Quali garanzie? Truman, un poco volgaruccio, le vede nel disarmo altrui e nell'armamento formidabile del creditore, atto per massa e per qualità a tenere in soggezione il mondo, e ad evitare le eventuali bizze di chi non volesse pagare le rate.
Wallace invece ci spiega e spiega a quelli del Kremlino - che potranno subire, ma sarà un poco difficile che credano - come quella generosa anticipazione sarà il fondamento della pace. Le garanzie saranno puramente legali. In via di costruire il Superstato che abbia a scala mondiale le stesse funzioni che ha lo Stato, sovrano nel suo territorio, per cittadini ed enti privati, si farà funzionare in campo internazionale il sistema delle ipoteche. Strutture ed impianti nei paesi debitori garantiranno col loro valore e con la loro attività i versamenti a saldo del credito.
In questa seconda civile versione della supremazia americana vediamo avanzare sulla scena un nuovo personaggio, l'ufficiale giudiziario internazionale. Sappiamo bene come agisce nel campo nazionale. Egli è molto più potente del gendarme, se pure non rechi altre armi che una vecchia borsa di cuoio piena di carte e sia fisicamente misero ed umilmente vestito: infatti i suoi stipendi sono assai più bassi di quelli dei militari, reclutati tra giovani aitanti e rivestiti di lucenti divise. Ma la sua potenza legale e civile è tanto tremenda che molte volte la vittima, quando ha tutto esaurito negli espedienti della tragica guerra cartacea, al vederlo giungere tremolante ed inerme sbigottisce al punto che, lungi dal tentare di offenderlo e ributtarlo, si fa da sè stessa saltare le cervella. Egli guadagna la battaglia senza sporcarsi di sangue le mani, e senza imbrattarsi il certificato penale o compromettere l'assoluzione da parte del confessore.
In tal modo il dollaro, con la sua organizzazione mondiale di anticipazione ai poveri, muove alla conquista d'Europa fino ed oltre gli Urali, e ne pianifica il successo senza ricorrere alle traiettorie di siluri atomici e di aerei di invasione per la via polare.
Per quanto riguarda l'Italia le cose sono già avviate a chiarirsi magnificamente, in quanto il processo più difficile si avrà in quei paesi che per ragioni geografiche sono a diretto contatto con la forza russa e sono presidiate dall'esercito sovietico. Nei paesi intermedi assistiamo a sviluppi originali. Per l'Ungheria pare che sia la stessa Russia ad offrire duecento milioni di dollari (non già di rubli) per evitare la concorrenza. Il male è che alla fine quei dollari si prenderebbero dai miliardi di Wallace, e su essi il banchiere farà un affare duplicato.
Ma per noi tra poco tutto sarà a posto. L'inflazione si potrà frenare quando sia stabilito il prestito del miliardollaro (in verità siamo la decima parte della popolazione di Europa e siamo tra i più disastrati, ma sui 50 miliardollari di Wallace ce ne viene per ora la cinquantesima parte soltanto; è la sorte di chi non fa più paura). Tra poco i grandi affari in Italia si cifreranno in dollari e non in lire, anzi lo si fa già. La lira sarà ancorata al dollaro (ma che bel termine... non resistiamo alla tentazione di dire che vi sarà ancorata più saldamente di quanto le catene di Vulcano ancorassero Prometeo alla sua roccia...). La formola della vita italiana potrà essere semplice: nulla è perduto; solo l'onore.
Naturalmente non versiamo lacrime sull'onore della patria borghesia. Il concetto di onore vige nelle società divise in caste o in classi, ha un senso fin quando gli uomini sono divisi tra gentiluomini e meccanici, non interessa il proletariato rivoluzionario che non ha onori da perdere, ma solo le... ancore che lo legano alla onorata società del capitale.
L'operazione del prestito all'estero fino ad ora non viene contestata neppure dagli oppositori dì oggi, ieri alleati del governo. Essi - in replica al programma De Gasperi - scrivono disinvoltamente: “occorrono i dollari, che bella scoperta!” Sono d'accordo per i dollari e per l'UNRRA, altrimenti, dopo anni ed anni di propaganda idiota che presentava la struttura sociale del capitalismo d'America come la più altamente civile, sarebbe la bancarotta elettorale.
Questi sicofanti sostengono che si potrebbero prendere i dollari ed evitare le influenze sulla nostra “politica interna”. Ma da quando sono saltati i confini tra le economie dei vani paesi e le loro aree commerciali e monetarie, è finita la differenza tra politica estera ed interna.
I socialcomunisti dicono che bisogna dare per i dollari garanzia sulle industrie, non sullo Stato, garanzie economiche e non politiche. Secondo tali marxisti si può dare una garanzia economica senza che questa si rifletta in influenza politica... Ma poi quelle industrie, nel programma di quei signori, e in ispecie le grandi industrie monopolistiche (brrr.... e leggi le sole che hanno tra noi la potenzialità atta a garantire un po' di dollari e si stanno già per loro conto coprendo di ipoteche oltremarine) non dovevano essere nazionalizzate, coi soldi dello Stato (presi dal prestito), e non avremmo quindi la vendita e l’affitto dello Stato?
Siano nello stesso Ministero o meno, sono d'accordo tutti nella politica economica dei prestiti. Erano tutti d'accordo nel prestito interno, ed abbiamo assistito al nauseante spettacolo della pubblicità al prestito su quelli che pretendono di essere i giornali “delle classi lavoratrici”. Il prestito allo Stato, la costituzione del sempre più elefantesco debito pubblico, è uno dei cardini della accumulazione capitalistica. Marx nel primo Libro del Capitale, cap. XXVI 8, sulla genesi del capitalista industriale, dice testualmente:
Il debito pubblico o, in altri termini, l'alienazione dello Stato - sia questo dispotico, costituzionale o repubblicano - segna della sua impronta l'era capitalistica. La sola parte della cosiddetta ricchezza nazionale, che entra realmente nel possesso collettivo dei popoli moderni, è il loro debito pubblico. Perciò è assai conseguente la teoria contemporanea secondo la quale un popolo diventa tanto più ricco quanto più fa debiti. Il debito pubblico diventa il credo del capitale. Ed è così che la mancanza di fede nel debito pubblico, non appena questo si è formato, viene a prendere il posto del peccato contro lo Spirito Santo pel quale non v'è perdono.
Una delle tesi essenziali del marxismo è che quanta più ricchezza si concentra nelle mani della borghesia nazionale, tanta più miseria vi è nella massa lavoratrice. Lo Stato-sbirro, semplice difensore del privilegio della prima, si trasforma oggi sempre più in Stato-cassa. L'attivo di questa cassa va ad incrementare l'accumulata ricchezza dei borghesi, il suo passivo pesa sulla generalità, ossia sui lavoratori. Coi prestiti nazionali si ribadisce la servitù economica del proletariato. Secondo poi l'insensata pretesa che questo addirittura sottoscriva qualche cartella dell'accredito ai suoi sfruttatori, la sua servitù viene ribadita una terza volta.
In Italia non è certo De Gasperi che rischia di peccare contro lo Spirito Santo!
Ma i suoi avversari attuali in Parlamento, soci fino a ieri nella politica dei prestiti, soci oggi ancora nella politica della servitù dei sindacati operai, restano suoi soci nella politica del prestito dall'America con cui lo Stato italiano si aliena al capitale straniero.
Abbiamo già detto che per il proletariato essere venduto al capitale straniero o a quello indigeno è una pari sventura.
Nel caso della attuale classe politica dirigente italiana va però detto che essa, attraverso le indegne metamorfosi del suo schieramento, nella vendita dell'onore del suo Stato saprà scendere ancora qualche altro scalino.
L'alienazione del proprio onore non è il peggiore affare che si possa concludere. Anche qui, e siamo sempre nella piena meccanica nel mondo borghese, che avversiamo ed odiamo, vi è una quistione di prezzo. Si può vendere l'onore sottocosto. Ed è a questo che arriveranno gli odierni gerarchi della politica italiana, negoziando con lo straniero vincitore le condizioni del suo intervento finanziario, preoccupati solo di contendersi tra loro, filoamericani o filorussi che siano, le percentuali di commissione sull'affare.
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