Elementi dell'economia marxista

La prima parte di questo studio sul Capitale di Marx corrisponde alla Prima Sezione del Primo Volume intitolata dall'autore Merce e Moneta.

Al fine pratico di proseguire in una nostra numerazione la consideriamo divisa in sette punti, che sono i seguenti:

  1. Definizione della merce e delle sue due proprietà: valore d'uso e valore di scambio.
  2. Il valore di scambio. Concetto quantitativo e difficoltà di trovarne la misura.
  3. La forma semplice del valore. Ogniqualvolta si parlerà di valore senz'altro si indica d'ora innanzi il valore di scambio. La forma semplice è la enunciazione della equivalenza, ai fini dello scambio, tra due merci entrambe suscettibili di uso (di consumo), per cui ad una data quantità della merce A corrisponde una data quantità della merce B.
  4. La forma del valore completa o sviluppata. Essa si presenta quando consideriamo un dato numero di merci diverse e conosciamo tutte le equivalenze tra coppie di esse. Con due merci abbiamo una equivalenza, la forma semplice. Con tre merci tre equivalenze, con quattro dodici. Con dieci merci avremmo novanta equivalenze, sistema troppo complicato ai fini pratici e mnemonici. Per ricordare le novanta relazioni basta sapere quelle di nove merci ad una sola, e quindi nove sole relazioni da cui le altre facilmente derivano. Una merce è stata scelta come equivalente di tutte. Siamo alla forma generale del valore.
  5. Carattere storico-sociale di tutta la quistione. Abbiamo brevemente riassunto un capitolo, quello sul “Carattere feticistico della merce e suo segreto” che compendia in uno scorcio magistrale tutti gli elementi della dottrina marxista, nel lato economico storico e filosofico insieme. Ne abbiamo riportato quanto basta a chiarire che l'economia marxista non si spinge nelle sottigliezze sull'analisi della merce per trovare leggi immanenti ed immutabili del processo economico (le pretese leggi naturali dell'economia) ma al fine di esporre con sviluppo rigoroso l'indagine scientifica sul divenire della società umana in tutta la sua complessità e nella successione storica delle sue vicende, riferita ad epoche distinte da una diversa meccanica del mondo economico. Indaga quindi non i rapporti tra il pezzo di tela e la libbra di ferro, ma il rapporto tra gli uomini reali nella produzione e nel consumo a dati svolti della storia.
  6. La circolazione. Valore e prezzo. A questo punto viene studiato il mercato nel suo complesso, quando una merce scelta ad equivalente generale, come ad esempio il sale, viene finalmente sostituita dalla moneta, prima metallica indi anche cartacea e convenzionale. In questo sviluppo è stata messa innanzi la ipotesi che per avere una misura del valore si possa adottare quella del tempo di lavoro umano medio che ogni merce richiede in generale per essere prodotta. La progressiva applicazione di questa ipotesi (che come è noto non si trova per la prima volta in Marx ma si deve agli economisti della prima epoca capitalistica e in ispecie a Ricardo Davide (1772-1823) che pubblicò la sua opera fondamentale, Principii dell'Economia Politica, a Londra nel 1821) a tutto il mondo economico presente nello sviluppo della ricerca, deciderà sulla validità della ipotesi stessa.
  7. Cammino della moneta. Come premessa alla seconda sezione in cui viene finalmente sulla scena il Capitale, e che tratta appunto della trasformazione del danaro in Capitale, indagata studiando la dinamica non più di chi fa ingresso sul mercato per portarvi merce o ritirarne per propria utilità, ma di chi vi discende come portatore dì moneta, Marx ricorda quanto, circa il meccanismo monetario essenziale nella economia borghese, occorre stabilire prima di proseguire nella esposizione di tutto “Il processo della produzione capitalistica”, tema del Primo Volume dell'Opera.

Ricollegato così il seguito del nostro studio alla parte già pubblicata, sarà bene dare qualche indicazione sulla partizione di tutta l'opera, che nel piano di Marx doveva comprendere quattro Libri o Volumi. Di essi è noto in italiano integralmente solo il primo, mentre il quarto non potè essere steso da Marx.

Il secondo volume tratta del processo di circolazione del Capitale, il terzo degli aspetti che riveste il processo economico complessivo, il quarto doveva esporre la storia della teoria, di cui però vi sono copiosissimi materiali nei primi e nelle loro annotazioni.

Tra i compiti di Prometeo potrà essere quello della esposizione dei due successivi libri del Capitale assai meno noti del primo.

È bene però togliere di mezzo una convinzione corrente e molto adoperata a fini revisionistici, che cioè i due successivi volumi prendano in esame una parte del processo reale economico che nel primo era omessa, e che tale analisi sia stata svolta dall'autore fino a condurlo a rettifiche importanti se non a rinunzie alle dottrine principali del primo libro come quelle sul plusvalore, l'accumulazione del capitale, la miseria crescente, eccetera. Questa opinione, smentita dal contesto delle opere anche più recenti apparse fino alla morte di Marx (1383) e dopo, come dalle rielaborazioni postume ed esegesi dovute ad Engels, corrisponde ad una errata valutazione della ossatura costruttiva dell'opera. Il primo libro copre il campo completo della dottrina di Marx sul capitalismo e non è certo una trattazione astratta di rapporti che si stabiliscono nella sfera della produzione e che prescindano dai rapporti della circolazione delle merci e della moneta. Creder questo sarebbe considerare distrutto il contenuto sostanziale del metodo di Marx.

Ciò che definisce il rapporto tra il primo libro del Capitale ed il resto dell'Opera, è un criterio tutto diverso. Pure ricchissimo come è di materiale storico, critico, bibliografico, polemico, il primo libro conduce di getto lo studio economico di tutto il processo, dal primo scambio a tipo di baratto traverso la nascita e l'accumulazione del capitale fino alla conclusione che al capitalismo succederà una economia sociale e non mercantile, tracciata lapidariamente nel penultimo capitolo, come a suo tempo vedremo. I dati, lo studio e le leggi della circolazione sono già pienamente compresi in questo sviluppo. Ma tutto il materiale viene ripreso e ristudiato nei volumi successivi - e spiegando meglio il concetto ben possiamo dire in tutto il lavoro posteriore e anche futuro dei marxisti - a titolo di studio dei fenomeni particolari dello svolgimento capitalistico, da cui dato il carattere del metodo deve incessantemente trarsi la verifica ed il controllo della teoria generale e la prova della sua efficienza.

Il primo volume ci dà dunque lo sviluppo essenziale del processo capitalistico e delle sue caratteristiche sociali reali nel rapporto tra capitalista e salariati, che è improponibile ed inimmaginabile senza tener conto dei fenomeni della circolazione e del consumo, e trova le leggi di questo processo, pur non cristallizzandole nella statica di un mondo astratto ma verificandole in tutte le situazioni: di capitalismo nascente e messo in rapporto con tipi economici diversi, e poi nel corso del suo sviluppo e della sua conquista del mondo. Tiene dunque sempre conto dell'ambiente storico reale, poichè non si potrà mai dire di essere in presenza di un “modello” di economia capitalista allo stato “puro”.

Ed infatti la famosa prima sezione del Libro, sulla circolazione, è la pietra angolare su cui posa tutto lo studio della Produzione, e per le noie avvertenze di Marx stesso e dei migliori commentatori riesce la più ostica specie a lettori non bene preparati, pure essendo la sua comprensione del tutto indispensabile al complesso.

Ma è anche stato detto più volte che un'opera come quella di Marx, da cui ogni apriorismo e ogni metafisica di principii sono stati espulsi, deve essere acquisita in tutte le sue parti, e la lettura dei primi capitoli presuppone una certa assimilazione delle tesi delle parti successive. Marx stesso suggerì ad alcuni lettori di cominciare a metà del libro dai capitoli descrittivi e storici per venire poi a quelli decisivi dell'analisi scientifica.

Il primo volume sta dunque a tutto il resto come la traccia fondamentale, la linea direttrice di tutto il sistema, che ha una sua completezza ed un suo ciclo completo, ed è stato scritto dall'autore sulla base di tutti i materiali che la storia economica fino al suo tempo gli offriva, e di cui riservò la esposizione particolareggiata ai volumi seguenti.

Esso tiene il posto che nella fisica e nell'astronomia moderna tengono i “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” di Isacco Newton (1687). Di un getto solo, dalla verità dovuta a Galileo che la forza agente su di un corpo materiale in moto è la causa non della sua velocità ma della sua accelerazione (ossia ne aumenta o diminuisce la velocità stessa) il procedimento matematico, coi metodi del calcolo delle quantità piccolissime trovato dal Newton, conduce direttamente a stabilire le leggi del moto di un pianeta intorno al sole e trova deduttivamente le leggi che Keplero aveva desunte dalle osservazioni di Tycho Brahè sulle rivoluzioni dei pianeti. Il principio teorico riceve così una smagliante conferma. Vale la pena di notare che anche la prima parte dell'opera di Newton, che stabilisce sotto forma geometrica le proposizioni prime del calcolo infinitesimale, da Leibnitz ritrovate contemporaneamente sotto altra forma più espressiva, è faticosa a studiare e noiosa, mentre la deduzione dei capitoli successivi nei quali è stabilita la celebre legge della gravitazione universale è grandiosa e brillante anche nella forma.

Le tre o quattro semplicissime enunciazioni di Galileo, Newton, Keplero danno piena ragione di tutti i moti dei corpi del sistema solare, pianeti e satelliti, e hanno valore definitivo nella storia della scienza. Ciò non toglie che esse derivano da un caso puro ed astratto, quello del moto centrale, che considera due soli corpi celesti, mentre nel sistema ve ne sono in numero grandissimo. L'effetto vero è quindi molto più complicato. Già il problema dei tre corpi appare, analiticamente, di gran lunga più difficile. Eppure ammessa la celebre actio in distans di Newton ciascun corpo attira ciascun altro e ne deforma la traiettoria più o meno. Qualche cosa di simile al trapasso dal semplice baratto M = M' di Marx al quadro generale del movimento economico odierno. Ai volumi successivi del Capitale paragoneremo dunque il gigantesco lavoro posteriore eseguito dagli astronomi nel dedurre i moti particolari dei vari corpi, ed in ispecie la fondamentale e classica Mécanique Célèste di Laplace, le applicazioni famose come la scoperta di Nettuno fatta dal Le Verrier mediante il calcolo delle perturbazioni dell'orbita di Saturno, individuandone la precisa posizione nel cielo, poi verificata coll'osservazione al telescopio.

La stessa teoria disciplina dunque lo studio di tante effettive deviazioni di dettaglio dalla legge tipo e dalle pure ellissi kepleriane, ma la legge di Newton ne rimane stabilita solidamente e riconfermata. Il processo tipo è assolutamente valido eppure non accade mai. Non solo i cieli non sono più immutabili e incorruttibili come per Aristotele e per Tommaso, e sono retti dalla stessa meccanica valida pel moto dei gravi terrestri studiato da Galileo, ma le orbite geometricamente squisite di Keplero non sono tracce immutabili al moto dei pianeti. Ognuno di essi non le ripercorre mai due volte, il fenomeno reale è sempre diverso dal teorico, ma ciò non fa che confermare la validità e la efficacia della legge scientifica.

Introdotte ulteriori considerazioni sui processi termici diviene possibile tentare una storia del sistema solare e Laplace avanza la sua ipotesi sulla origine dei pianeti dal sole e la loro ricaduta futura in esso. Ciò naturalmente nemmeno toglie validità alla conquista scientifica contenuta nella prima classica costruzione della legge generale di moto.

Al solo fine di evitare confusioni non sempre innocenti accenniamo un ultimo punto. Le quistioni metodologiche qui ricordate non sono inficiate, nello sviluppo del confronto col problema cosmogonico, da recentissime acquisizioni e dottrine scientifiche che introducono nel bilancio oltre alle considerazioni termiche quelle della energia atomica, nè dalle più vaste costruzioni come quelle della teoria relativistica che non hanno smentita (nel senso che qui ci interessa) la legge classica della gravitazione, ma la hanno inquadrata in una più vasta concezione come un “caso limite”. Tutto ciò, come la quistione del determinismo nella scienza della natura e in quella dell'uomo, va riservato ad ulteriori studii come quelli sul marxismo e la teoria conoscitiva cui accennavamo nel numero precedente.


Le note che andiamo pubblicando servono di avviamento alla lettura del Capitale, e meglio ancora al lavoro politico col maneggio di quel fondamentale e rivoluzionario strumento. Un libro è per noi come una macchina; di più, come un'arma.

Esse vorrebbero servire, siccome ogni lavoro di indagine è oggi per noi socialisti collettivo e non personale, alla illustrazione del testo da parte di militanti già preparati.

Ad esempio il richiamato paragrafo (quarto del primo capitolo) sul carattere feticcio della merce contiene un materiale attualissimo di propaganda su punti che gli opportunisti del momento si pongono sotto i piedi almeno tre volte al giorno, mentre cianciano di essere scolari di Marx.

In poche pagine esso fornisce uno scorcio storico delle varie economie in cui, oltre a rifulgere l'impiego del metodo dialettico di cui tratteremo nel nostro corso ampiamente, è dimostrato che non tutte le economie passate furono mercantili, e che la economia socialista è definita, come prima condizione, dall'essere non mercantile e non monetaria. È contenuta la tesi che ogni apologetica del capitalismo in economia e della uguaglianza e libertà in politica, tendente a contrapporre la perfezione e degnità degli istituti borghesi alla “artificialità” di quelli feudali, vale scientificamente tanto poco quanto la posizione di tutti i teologi, secondo cui le religioni degli altri sono artificiali, la loro sola è naturale. “Ogni religione che non è la loro è un'invenzione degli uomini, la loro è una rivelazione di Dio”. Marx cita qui se stesso nella risposta a Proudhon sulla Miseria della Filosofia. Per noi marxisti tutte le religioni sono “invenzioni” degli uomini.

Oggi di tutte le sfumature che si inseriscono, sotto la incredibile etichetta di marxismo, da Attlee a Stalin, da Saragat a Togliatti, nessuna prende a battere in breccia il mercantilismo, nè il deismo. Tutte si sentono di andare in senso anti-capitalistico senza infastidire il feticcio merce, la “bestia” (è Marx che cita l'Apocalisse di Giovanni) moneta, nè il dio degli altari.

Nessuno di costoro ricorda di aver letto:

Il mondo religioso non è che il riflesso del mondo reale. Una società in cui il prodotto del lavoro assume generalmente la forma di merce; dove di conseguenza il rapporto più comune tra i produttori consiste nel comparare i valori dei loro prodotti e, sotto questa semplice forma, nel paragonare gli uni cogli altri i loro lavori privati a titolo di uguale lavoro umano [tali caratteristiche restano integre nelle statizzazioni sia del laburismo inglese che del totalitarismo russo - ndr]; una tale società trova nel cristianesimo col suo culto dell'uomo astratto, e sopratutto nel suo sviluppo borghese, protestantesimo, deismo, ecc., la forma più adeguata di religione.
In generale, il riflesso religioso del mondo reale non potrà sparire se non quando le condizioni del lavoro e della vita pratica presenteranno all'uomo dei rapporti chiari e ragionevoli coi suoi simili e colla natura.
La vita sociale, di cui la produzione materiale ed i rapporti che questa implica formano la base, non strapperà il mistico velo di nebbia che ne cela l'aspetto, se non nel giorno in cui si manifesterà l'opera di uomini liberamente associati, agenti consapevolmente in conformità a un piano determinato e padroni del loro proprio movimento sociale. Ma ciò richiede una base materiale della società o un assieme di condizioni di esistenza materiale, che alla loro volta non sono che il prodotto di un lungo e doloroso svolgimento teorico.

Ma ora, allo scopo di non spaventare gli alleati dei movimenti fideisti, i “marxisti” non parlano più di questi problemi. Ai loro seguaci danno da bere che il silenzio non è che abile manovra temporanea.

Ma non basta questo a calpestare, nei quadri come nella massa, le esigenze di ogni svolgimento teorico, condizione parallela alla manovra concreta e all'azione? Non ve ne importa nulla? E sia; ma perchè non buttare allora finalmente Marx e i suoi scritti al letamaio?

Arrivano tutt'al più a dire che Lenin cita da Marx che la religione è l'oppio del popolo: frase di passaggio in cui i termini non sono nella luce del rigore teoretico. Serve un passo di Lenin, per tema che siamo noi ad inventare un Marx e un Lenin a nostro modo? Eccolo:

Da materialisti noi diamo con Engels ai kantiani e ai seguaci di Hume la qualifica di agnostici, in quanto costoro negano la realtà oggettiva come fonte delle nostre sensazioni. L'agnostico dice: ignoro se esista una realtà oggettiva riflessa dalle nostre sensazioni e dichiaro che è impossibile saperlo. Di qui la negazione della verità oggettiva e la tolleranza piccolo-borghese, filistea, pusillanime, verso le credenze nei lupi mannari, negli spiriti, nei santi cattolici e in altre consimili cose.

Materialismo ed Empirio-criticismo, Cap. II, par. 4

L'allusione ai lupi mannari e agli spiriti deriva da uno spunto polemico col sedicente marxista russo Bogdanov che, abbracciando la filosofia alla moda nel 1910 di Mach-Avenarius, rivendicava però la posizione antifideistica. Ciò gli contesta Lenin e tra l'altro dice:

Se la verità (compresa la verità scientifica) non è che una forma organizzatrice della esperienza umana, allora il postulato fondamentale del clericalismo è ammesso, la porta gli resta aperta, e vien fatto posto alle “forme organizzatrici” dell'esperienza religiosa.

Dove si vede che per il marxista i termini fideismo clericalismo religione cristianesimo deismo sono parimenti espressione di una tesi nemica, e che gli stessi eterodossi come Bogdanov si vergognavano fino a ieri di avere tolleranze per essi.

Ma oggi si attende una edizione debitamente purgata di Marx e di Lenin. Visto che ci siete non potreste includere la formazione della commissione nei Patti Lateranensi?

Sezione II - Trasformazione del denaro in capitale

8. Dalla circolazione monetaria alla apparizione del plusvalore

La formula di circolazione monetaria della merce é dunque M-D-M, se si considera colui che porta merce per cambiarla con altra di diverso valore di uso ma avente, salvo circostanze secondarie, la stessa quantità di valore (di scambio). Per costui il denaro è solo segno del valore e veicolo di scambio. Ma nel complesso del sistema mercantile la moneta introduce subito nuovi rapporti e nuovi personaggi, il cui intervento rende possibile agli altri lo scambio dei valori d'uso. Costoro usano il denaro e con esso comprano merce che rivendono per altro denaro. La circolazione, da questo secondo punto di vista, è rappresentata dalla formula D-M-D. L'intervento di questa seconda schiera di personaggi non si spiega senza un movente.

Questo non è nella ricerca di valori d'uso, chè il loro danaro ritorna alla fine danaro, senza mutamenti qualitativi. Adunque non può esservi scopo e movente che in un mutamento quantitativo. Mentre nel caso M-D-M a valore costante si spiega l'opportunità del movimento, non lo si spiegherebbe più nel caso D-M-D se la somma di denaro rimanesse la stessa dopo la compra e la rivendita. Non potendo essere la filantropia o altra forza ideale il motore dei portatori di danaro, questo si determina nel fatto che in generale il danaro la seconda volta è in quantità maggiore che la prima. La formula diviene così D-M-D' in cui D'=D+D, ossia al primitivo danaro D si è aggiunto un aumento o incremento D (Delta D). Tale aumento riceve il nome di plusvalore o sopravalore.

Lo scopo e la causa del movimento di danaro negli scambi per il possessore di danaro è la produzione di questo sopravalore, che immediatamente sommato al preesistente valore rientra nel ciclo per accrescersi a sua volta.

È così che il denaro, da semplice simbolo di valore e veicolo di scambio, diviene di necessità CAPITALE.

Il capitale è valore la cui caratteristica è di aumentarsi continuamente.

Un sistema mercantile, una volta superato lo stadio del baratto in natura, deve sboccare nel capitalismo.

In questa definizione compendiata nella formula D-M-D' parrebbe considerato il solo capitale commerciale ossia quello che è nelle mani dei portatori di danaro che per professione soggiornano sul mercato offrendo merci acquistate dai produttori.

Ma anche per il capitale industriale vi è danaro che si trasforma in mere e che ritorna danaro con la vendita di quest'ultima, ciò che formerà oggetto della trattazione ulteriore.

Marx all'inizio di questa Sezione stabilisce - in uno dei fondamentali riferimenti storici che fiancheggiano lo svolgimento illustrativo del processo capitalistico - che:

il capitale appare soltanto laddove la produzione e la circolazione delle merci, il commercio, hanno raggiunto un certo sviluppo. La storia _moderna _del capitale data dalla creazione del commercio e del mercato mondiale nel sedicesimo secolo.

La forma pura D-D' rappresenta poi l'usura, in cui non vi è passaggio attraverso la merce. Usura è detto qui nel senso di ogni collocamento di denaro per interesse.

A D-D potremo ridurre la formula della tesaurizzazione che sottrae il denaro alla circolazione ma per ciò stesso gli toglie la possibilità di generare plusvalore, e quindi non è ancora forma capitale.

9. Ricerca dell'origine del plusvalore

Il plusvalore, ossia l'aumento D che ha subito la somma D nel divenire D' non ha potuto nè potrà mai essere spiegato nel campo della sola circolazione.

Tutti i tentativi fatti in tal senso cadono dinanzi al fatto elementare che la circolazione consta di una serie di scambi tra equivalenti.

Si possono indicare moltissime eccezioni a questa legge, ma esse non valgono a spiegare perchè, non in via di eccezione, ma in via regolare si verifica l'aumento da D a D'.

Se si attribuisce alla compra la virtù di arrecare uno squilibrio a favore di chi reca il danaro, oppure tale virtù si attribuisce alla vendita, poiché sia nel semplice giro D-M-D, sia nel complesso della circolazione ogni interessato appare tante volte come venditore quante come compratore, le supposte differenze si compensano in una parità generale. Lo stesso se tutti i prezzi salissero o scendessero insieme.

La spiegazione che il permutante che compra per consumare paga più caro di quello che vende avendo prodotto non regge neppure perchè il consumatore trae il suo danaro dal fatto di essere stato a sua volta produttore. Si dovrebbero dunque supporre dei consumatori che traggano del valore da altro che non sia il lavoro produttivo ossia non attraverso lo scambio.

Tale classe riceverebbe dunque il danaro non per atti della circolazione ma privando o estorcendo nel senso materiale la merce o il danaro altrui, spiegazione inadeguata all'epoca mercantile. Non vale nemmeno il citare compre-vendite eccezionalmente sproporzionate o anche fraudolente perché così si spiegano bensì trapassi di valore speciali da una mano all'altra, ma non già la formazione della minima parte di plusvalore.

Inseriamo una parentesi per mostrare che nemmeno il regime di sindacato o addirittura di monopolio dei produttori può spiegare la genesi normale di plusvalore nella sfera circolatoria. Se in regime mercantile ordinario della libera, concorrenza un produttore della merce A fosse padrone di elevarne il prezzo, ecco che egli avrebbe realizzato un plusvalore. Ma ciò non accade mai essendo evidente che i compratori lo abbandoneranno per rivolgersi agli altri venditori della stessa merce, sicchè questo giuoco, a parte i fenomeni secondari, mantiene tutti i prezzi ad un livello minimo corrispondente al valore di scambio. Ora, potrebbe dirsi, tutti o parte, i produttori della merce A si intendono per elevare arbitrariamente il prezzo; ecco eluso il giuoco della concorrenza e realizzato un plusvalore puramente circolatorio.

A tale obbiezione si replica che se vogliamo al sistema generale e tipico della libera concorrenza sostituire nell'analisi un sistema stabile di monopoli e non uno stadio di trapasso che resterà sempre da esaminare ma che serve alla applicazione e non alla investigazione delle leggi generali, allora siamo condotti a considerare che tutti i gruppi di produttori finiranno per monopolizzarsi vendendosi reciprocamente le merci a prezzi sopraelevati ma che ricadranno in equilibrio di compenso. Ci troveremo così al medesimo punto. Gli accorti monopolizzatori avranno realizzata in uno stadio intermedio una appropriazione di valori a carico dei monopolizzatori ritardatari, non già prodotto del plusvalore.

In conclusione il problema si riduce in questi termini apparentemente contradditori: nella circolazione gli scambi avvengono solo tra equivalenti; il danaro circolante come capitale attraversando la circolazione ne esce aumentato.

Nel cercare la soluzione non si perda di vista che per una società economica capitalista in assetto stabile e normale entrambi gli enunciati hanno valore sistematico ossia si realizzano nella grande maggioranza dei casi, talchè il citare casi particolari e momenti di instabilità non può servire ad eludere la necessità di dare una soluzione altrettanto generale al “sistema di equazioni” che possiamo scrivere:

Valore di D = valore di M

Valore di M = valore di D'

Valore di D' maggiore del valore di D.

Vedremo perchè le equazioni non sono incompatibili, come si constaterebbe se dessimo loro un senso puramente aritmetico - o, in altre parole, perchè questa patente contradizione alle regole logiche formali del sillogismo (contraddizione che, come Marx ricorda, Aristotele scorse, ma non seppe spiegare, nè poteva coi dati del suo tempo spiegare) si attua nella realtà della vita economica, dacché in questa si genera il Capitale.

10. La merce “forza di lavoro”

In quale stadio del processo può aver nascita l'aumento del valore? Non può venire dal denaro per se stesso poichè una quantità di denaro resta materialmente inalterabile. Adunque l'aumento sorge dallo scambio di danaro con merce. Non può sorgere dal secondo atto M-D' come non può sorgere dal primo D-M se sono scambi tra equivalenti.

La scoperta fondamentale di Marx è questa: l'aumento di valore non può sorgere dai due scambi; esso sorge però dall'uso della merce, in quanto esiste sul mercato una merce il cui uso coincide con una sistematica elevazione del suo valore di scambio.

Se l'uso di una merce produce valore, e se il valore corrisponde a disponibilità di tempo di lavoro, la misteriosa merce in questione deve essere tale da porre a disposizione lavoro umano: tale merce è appunto il lavoro, o, più propriamente, la forza di lavoro.

Sotto certe condizioni storiche, mentre chi compera una qualunque merce la rivende in generale per la stessa somma di danaro (valore), chi compera forza di lavoro la paga ad una certa cifra mentre la rivende sistematicamente per una cifra maggiore. Quelle che il compratore di forza-lavoro rivende sono in realtà merci materiali alle quali ha fatto subire trasformazioni applicando loro la forza-lavoro acquistata. Ciò avviene quando il lavoratore, o possessore di forza-lavoro, per le condizioni giuridiche e sociali non può prendere contatto con la merce da trasformare (materia prima) sia perché, non essendo possessore di danaro, non può anticipare il valore della materia prima stessa, sia perchè occorrono alla trasformazione lavorativa mezzi tecnici (strumenti di lavoro, concentramento di gran numero di lavoratori) che sono monopolio altrui (dei possessori di denaro o capitale).

Vi è un'altra condizione: cioè che il lavoratore sia libero, perché egli deve restare possessore della propria forza di lavoro per poterla vendere a porzioni (periodi di tempo). Qualora egli la potesse o dovesse vendere o cedere tutta in una volta diverrebbe egli stesso merce (schiavismo).

Adunque in certe condizioni storiche, che non sono sempre esistite, come non possono pretendere di dover sempre esistere nell'avvenire, condizioni che chiamiamo proprie dell'epoca capitalistica, si realizza la produzione di plusvalore, e l'accumulazione di esso al capitale, mediante la compra-vendita della forza-lavoro, ossia mediante la organizzazione del salariato da parte di coloro che posseggono il danaro e gli strumenti tecnici del lavoro.

Il plusvalore e il capitale come fenomeni economici appaiono più tardi dello scambio e del valore di scambio, e anche più tardi della moneta.

Dapprima (ripercorrendo rapidamente le principalissime fasi storiche dell'economia) ciascuno consuma per sè ciò che ha prodotto; i prodotti non sono ancora merci e non hanno altro valore che valore d'uso. Quindi appare, sia pure per una minima quota della merce dei prodotti, il baratto ossia un embrione di divisione del lavoro produttivo. Coll'aumentare del volume degli scambi compare la merce equivalente generale, e poi la moneta. Siamo in pieno dominio del valore di scambio e della mercatura, ma non è detto che siamo già in presenza di produzione di plusvalore e di capitalismo.

Sembrerebbe che il lucro realizzato dai commercianti di prodotti altrui, che compare con lo, scambio e forse anche prima della moneta, fosse già un plusvalore realizzato da non produttori. Ciò è erroneo, perchè il trasporto delle merci dal luogo di produzione al luogo di consumo è un atto produttivo in quanto esige tempo di lavoro umano. Il piccolo commerciante che lo esegue con i propri mezzi ha una figura sociale parallela a quella dell'artigiano che vende il suo prodotto più caro della materia prima, avendovi aggiunto lavoro e valore (di scambio), ma senza che possa parlarsi di plusvalore. Se anche il commerciante fa le cose in grande, grazie all'opera di schiavi, non vi è plusvalore ma semplice appropriazione di forza lavoro umana (come per quella degli animali domestici). Quando il commerciante impiegherà salariati agli atti del commercio, allora realizzerà plusvalore, ma non nella sfera della circolazione, bensì in quella di una intrapresa organizzata capitalisticamente. Non bisogna confondere col plusvalore, fatto normale generale, fenomeno sempre a segno positivo, i benefici di accaparramento e speculazione che sono fenomeni a doppio segno compensati da una massa eguale di perdite nella sfera di circolazione.

Potremo parlare, ripetiamo, di plusvalore allorchè vi sarà sul mercato il libero lavoratore di fronte al capitalista possessore di mezzi di produzione.

11. Compera della forza - lavoro.

Come viene stabilita la cifra di pagamento della merce forza di lavoro (salario)? Come per ogni altra merce, chi la cerca la paga il minimo possibile ossia corre altrove, se altrove gliela offrono a condizioni migliori; sicchè il prezzo tende a raggiungere un minimo, determinato dal tempo di lavoro necessario a produrre quella merce.

La forza di lavoro è merce anche in questo senso, poichè per produrla il lavoratore deve provvedere al dispendio del proprio organismo, ossia deve procurarsi:

  1. i mezzi di sussistenza personali, come alimenti ed un minimo di soddisfazione di altri bisogni;
  2. i mezzi di sussistenza per la sua famiglia (senza di che si estinguerebbe la classe dei lavoratori);
  3. la educazione professionale, che anche comporta tempo e spese.

Questo minimo è riducibile ad una somma di merci che, richieste ai produttori, e comunque ai possessori, devono essere pagate ad un prezzo determinato dal tempo di lavoro necessario a produrle (giusta la nostra ipotesi fondamentale). Questo prezzo sarà richiesto dal lavoratore per alienare la sua forza lavoro (in condizioni medie, ossia prescindendo da interferenze di ferro meni eccezionali).

Avvenuta così la compra-vendita della forza lavoro, il capitalista divenutone padrone la impiega. (Trascuriamo qui l'altro benefizio di impiegarla prima di averla effettivamente pagata, grazie all'uso di pagare i salari a periodi posticipati).

L'impiego della forza di lavoro, acquistata al giusto prezzo, viene fatto applicandola a materie prime egualmente acquistate a giusto prezzo.

Per comprendere come il giusto prezzo di vendita delle merci finite rimaste a disposizione del capitalista superi la somma dei giusti prezzi pagati (nascita del plus-valore) occorre passare dal campo della circolazione, dove tutto procede in nome della pura equivalenza e della piena libertà, allo studio di quello della produzione, dove invece si scoprono le basi della disequivalenza o plus-valenza e della divisione di classi.

Sezione III - Il plusvalore

12. Caratteristica del lavoro in epoca capitalistica

Ogni processo di lavoro indipendentemente dal tipo di organizzazione sociale consta di tre elementi: attività personale dell'uomo o forza di lavoro; oggetto del lavoro o materia prima (trovata in natura ma sempre con l'aggiunta di un lavoro precedente); mezzo del lavoro o strumenti di produzione. Fin quando siamo in presenza di lavoratori autonomi (artigiani) essi posseggono la propria forza-lavoro, la materia prima, gli strumenti di lavoro. Di conseguenza il risultato del processo lavorativo o prodotto appartiene ad essi.

Nel sistema capitalistico al lavoratore appartiene la sola forza-lavoro; ma egli la vende sicchè ne diviene proprietario il capitalista. A costui appartengono anche materie prime e strumenti di lavoro: di pieno diritto gli appartengono i prodotti.

La trasformazione del denaro in capitale, la formazione del plusvalore appaiono insieme alla separazione del lavoratore dallo strumento di lavoro e dal prodotto del suo lavoro.

13. La nascita del plusvalore

Consideriamo dunque il processo produttivo dal punto di vista del capitalista. Costui va sul mercato e ne ritorna avendo acquistato - al loro giusto prezzo e valore - tanto la materia prima, che gli strumenti di lavoro, che la forza di lavoro.

Applica la forza di lavoro dei suoi operai per mezzo degli strumenti di lavoro alla materia prima e ne riceve una certa somma di prodotti. Ritorna al mercato e li vende.

Preoccupiamoci di esaminare quantitativamente un tale movimento di valore.

Chiamiamo con F il valore della forza lavoro (salari pagati), con S il valore di quella parte degli strumenti produttivi logorata nel gruppo di operazioni che consideriamo, con M il valore delle materie prime impiegate; infine con _P _il valore dei prodotti ricavati.

È chiaro che P contiene integralmente i valori S e M ossia strumenti produttivi e materia prima acquistata al mercato. Secondo la nostra ipotesi fondamentale tali valori dipendono dal tempo di lavoro occorrente a produrre tali strumenti e materie.

Quanto al valore della forza lavoro F esso, come abbiamo visto, è in relazione al tempo di lavoro occorrente per i mezzi di sussistenza dei lavoratori.

Mentre però ogni merce, come le materie e gli strumenti, possiede un valore di scambio in quanto possiede a sua volta un valore d'uso, ma in maniera che i due valori non sono confrontabili, nè comunicabili tra loro (ad es.: posso ridurre il valore di un chilo di zucchero a tre ore di lavoro, ma non posso riferire il suo valore d'uso come alimento ad un tempo di lavoro, ma solo a qualità chimiche, organolettiche ecc. dello zucchero), per la speciale merce forza-lavoro se il valore di scambio o prezzo di mercato deriva come sempre da un tempo di lavoro (necessario ai mezzi di sussistenza come ora detto) anche il valore d'uso si presta ad essere misurato proprio in tempo di lavoro, perchè l'uso di questa merce è proprio il lavoro: uso da parte del capitalista acquirente; lavoro da parte del salariato venditore.

Dovendo poi il valore di P (prodotto) constare del tempo di lavoro necessario a mettere insieme completamente i prodotti considerati, è chiaro che avremo tempo di lavoro per P = tempo di lavoro per M + tempo di lavoro per S + tempo di lavoro effettivo fornito dai salariati.

Una eguaglianza tra tempi di lavoro si traduce in una eguaglianza tra i relativi valori di scambio, ma per la merce forza-lavoro dobbiamo considerare non più il suo valore di scambio (salario), ma quello di uso, riducendosi questo a un tempo di lavoro. Se, per fissare le idee, ogni ora di lavoro corrisponde al valore di 3 lire, e se l'operaio ha lavorato 10 ore, il tempo di lavoro delle materie prime, poichè valgono M lire, sarà M/3; degli strumenti produttivi S/3; del prodotto P/3. La relazione tra tempi di lavoro prima scritta diviene:

P / 3 = M / 3 + S / 3 + 10 (tutto espresso in ore)

Tornando ai valori: P = M + S + 10 * 3 (espresso in lire)

Ciò è quanto ricava il capitalista dalla vendita del prodotto. La cifra M e la cifra S le ha spese integralmente perchè significano valore di scambio ossia prezzi del mercato.

Ma la cifra 10 * 3 non rappresenta il valore di scambio bensì il valore di uso della forza-lavoro (10 ore di lavoro realmente prestato, per 3 lire, rapporto generale per misurare i valori in tempo lavoro).

Che cosa costano al capitalista quelle 10 ore di forza lavoro? Il loro costo l'abbiamo indicato con F che è il loro valore di scambio o il loro prezzo (salario). Ora, dipendendo tal valore dai mezzi di sussistenza e dal tempo da questi assorbito, esso è indipendente dal tempo 10 ore desunto dal consumo e non dalla produzione della forza lavoro. Se un'altra squadra di lavoranti fosse impiegata a procurare cibi, vestiari, ecc. agli operai del capitalista che lavorano 10 ore, è chiaro che basterebbe per ognuno e per ogni giornata un tempo minore di lavoro: poniamo 6 ore. A parte la nuova plusvalenza che ricadrebbe sui lavoranti suddetti se a loro volta salariati, o supponendo questi lavoratori autonomi, il prezzo F sarà determinato da quelle 6 ore moltiplicato 3 lire.

Che il tempo di 6 ore ci sia risultato inferiore di quello di 10 non è una nostra supposizione, ma un fatto desumibile non solo da appositi calcoli seppure laboriosi ma dal dato stesso della esistenza del capitalismo e dei suoi profitti, che noi stiamo solo procurando di ritrovare, partendo dalla nostra ipotesi sul lavoro. Allora la spesa F per forza di lavoro è 6 * 3. La spesa totale risulta

M + S + 6 * 3.

Il ricavato della vendita del prodotto era:

P = M + S + 10 * 3 = (M + S + 6 * 3) + 4 * 3

Abbiamo per il capitalista un benefizio di 4 * 3 = L. 12 che rappresentano il plusvalore nella operazione produttiva considerata.

14. Riepilogo della dimostrazione

Il quesito che ci siamo posti sin dal principio è quello di rappresentare con leggi quantitative i fenomeni della economia presente.

L'esperienza ci fornisce i seguenti dati di fatto:

  1. Abbiamo una economia mercantile, ossia i prodotti di lavoro divengono merci suscettibili di scambio, e lo scambio si fa a mezzo dell'equivalente generale detto moneta;
  2. chi è possessore di danaro può servirsene per accaparrare gli strumenti di produzione e trarre dalla produzione a mezzo di salariati un benefizio o plusvalore (abbiamo una economia anche capitalistica).

Accettando il dato di fatto che la misura del valore di scambio è espressa dalla quantità di moneta che si dà per una merce ossia dal suo prezzo sul mercato, quando ci poniamo nelle condizioni medie, normali e generali, abbiamo enunciata l'ipotesi che tale valore sia proporzionale al tempo di lavoro occorrente a riprodurre quella merce sempre in condizioni medie, normali e generali.

Esaminati analiticamente i fenomeni dello scambio, dal baratto alla introduzione della merce equivalente generale, alla funzione della moneta, eliminate tutte le obbiezioni relative a scambi speciali e a circostanze eccezionali e tutti quegli scarti della media che possono avvenire in più o in meno; abbiamo dimostrato che nel campo circolatorio non hanno luogo altro che scambi tra equivalenti.

Tuttavia per spiegare il fatto che il possessore di danaro diventa possessore di capitale e realizza un beneficio che ha come punti di partenza e di arrivo scambi sul mercato, abbiamo scoperto ed enunciato che ciò si deve all'acquisto di una merce speciale, la forza lavoro la quale, mentre per la sua produzione esige un tempo dato di lavoro, nel suo consumo pone a disposizione un tempo di lavoro maggiore.

Tale merce è pagata di fatto ed in conformità alla nostra ipotesi ad un prezzo (salario) proporzionale al suo tempo di lavoro di produzione (sussistenza). Essa però trasmette al prodotto un tempo di lavoro maggiore e quindi un valore di scambio maggiore, da cui il plusvalore.

Il significato di tutto ciò nel campo sociale è il seguente: fin quando il lavoratore (artigiano) riesce a non separarsi dallo strumento di lavoro e dal prodotto del lavoro e vende questo a suo totale benefizio, ricupera nel valore di scambio di questo l'intero suo tempo di lavoro.

Ma quando, per l'accumulazione di danaro da una parte (di cui per ora non discutiamo le origini: schiavismo, feudalismo terriero, ecc.) e dall'altra per la scoperta di mezzi tecnici che diminuiscono il tempo di lavoro occorrente ad un dato prodotto con l'uso di macchine e il concentramento di molti operai, appare il capitalismo, il prezzo del prodotto dell'artigiano discende: infatti il suo valore di scambio si adegua al minimo tempo di lavoro necessario tecnicamente. Poco importa sul mercato che l'artigiano con procedimenti superati vi abbia impiegato un tempo maggiore.

Supponiamo che i prezzi scendano tanto da non compensare il minimo bisogno dell'artigiano, per es., dovendo questi cedere al prezzo di tre ore di lavoro il prodotto di un lavoro di 12 ore, mentre i suoi mezzi di sussistenza rappresentano 6 ore. All'artigiano non resterà per vivere che vendere la sua forza lavoro, per il suo valore di scambio in 6 ore, lavorando 12 ore per il capitalista che, quadruplicando il rendimento del suo lavoro, è in grado di pagare 6 la forza lavoro che sul mercato non riusciva a tradursi che in 3 ore.

Abbiamo dunque soddisfacentemente spiegato il fenomeno fondamentale dell'economia capitalistica in rapporto anche a quelle che la hanno preceduta, formulando una importante conseguenza della teoria del valore (enunciata la prima volta da Ricardo) nella dottrina del plusvalore (scoperta centrale di Marx) già contenuta nelle tesi: sul mercato si ha scambio tra equivalenti; tutto il profitto del capitale sorge dall'acquisto e dall'impiego della forza-lavoro, e di tale dottrina rimangono da formulare le leggi quantitative.

(1) Tutta questa prima enunciazione della formazione di plusvalore, nell'opera di Marx, è fiancheggiata e ravvivata da una suggestiva descrizione del rapporto tra padrone ed operaio, attraverso una polemica con la economia ufficiale borghese e con i vacui concetti etici e giuridici che stanno a base delle presenti istituzioni, o meglio della apologetica di esse. Marx sottolinea passo per passo quali delle sue constatazioni e dei suoi postulati sono ritenuti pacifici in ammissioni degli economisti comuni, e dove stanno le insidie e i trucchi che li conducono ad evitare le sue rigorose e scientifiche conclusioni, per pregiudizio ed interesse di scuola e di classe.

Nei riferimenti storici Marx con efficacia incomparabile sottolinea le tesi, che ritroveremo in seguito e che sono essenziali nel marxismo, che non in tutte le epoche sociali è esistita la estorsione di plusvalore, in quanto essa manca nelle primitive comunità come nella produzione autonoma individuale e familiare del piccolo artigiano e del piccolo contadino proprietario libero, ossia non soggetto a decime e comandate. Si avvera all'opposto in diverse forme nella schiavitù, nella servitù feudale, nel salariato. Tali capisaldi preparano alla dimostrazione che il fatto del sopralavoro e del sopravalore e quindi dello sfruttamento, non essendo inseparabile da ogni tipo di economia, come il teorico borghese pretende, potrà scomparire nella economia futura.

Nella brillante critica di tipo etico giuridico, in cui l'autore dialetticamente e sottilmente finge di prendere sul serio le norme morali della filosofia borghese e quelle del diritto odierno, riducendole all'assurdo e al ridicolo, è mostrata la perfetta equità legale etica e cristiana di tutto quanto avviene sul mercato, con scambi in cui ciascuno vende al giusto prezzo ciò che gli compete di diritto, ed è infine svelata la “fregatura” coperta nel segreto del processo produttivo. Al fine di porre i materiali per il giudizio sulle sovrastrutture filosofiche religiose morali politiche del mondo capitalistico, è sottolineato in squarci possenti che due sono le condizioni perchè il “gioco” della appropriazione del plusvalore sia possibile ogni volta che il capitalista viene in contatto col lavoratore, e si applichi su scala sempre più vasta nel processo storico. Esse consistono nella libertà del lavoratore, in doppio senso. Esso deve essere libero di alienare la propria forza di lavoro, e perciò deve essere spezzata dal nuovo diritto (per cui tutti i cittadini sono uguali innanzi alla legge) la servitù feudale che legava gli uomini alla terra, e l'ordinamento corporativo che li legava al mestiere e alla bottega; in secondo luogo deve essere liberato da ogni impaccio di possedere per suo conto strumenti di lavoro e piccoli approvvigionamenti di materie prime come quando era artigiano o contadino, e ciò attraverso la espropriazione iniziale dei piccoli produttori da cui è ferocemente nato il capitalismo.

Nel tempo stesso è mostrato che tale processo, per quanto infame, era necessario per condurre alle forme di produzione di maggiore intensità e rendimento imposte dai moderni mezzi tecnici. Ma tutta la acquisizione di questi elementi descrittivi e critici dell'attuale modo di produzione, e della via per cui si è attuato, serve di base alla tesi che i suoi lati attivi, come la applicazione delle scoperte scientifiche e del macchinismo, e il principio del lavoro associato e coordinato di un numero sempre maggiore di produttori, non sono inseparabili dalla- estorsione di plusvalore e dal monopolio dei mezzi di produzione e di scambio da parte dalla classe capitalistica.

Lo studio dell'opera di Marx ed il suo uso come argomento e mezzo di propaganda e di lotta di classe e di partito può farsi dopo avere acquisito la linea centrale della indagine e della deduzione di cui abbiamo cercato di porgere lo schema, sia pure arido, ma chiaro, e seguendo poi lo sviluppo della “narrazione” di Marx, fermandosi a tutte quelle che paiono digressioni ma che sono sintesi e anticipi delle posizioni programmatiche e politiche dei comunisti.

Ciò a smentire la assunzione idiota che il vero “spirito” del marxismo sia una fredda descrizione dei fenomeni economici del mondo sociale di oggi, guardandosi bene da arrischiare previsioni e propositi per rovesciarlo.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.