Corrispondenza - Ai lavoratori delle cucine

In questi mesi, finalmente dopo 10 anni di lavoro nero (presso svariati luoghi di lavoro) ho potuto vantare un contratto a tempo determinato, per il primo mese rinnovato di settimana in settimana, poi sono successivamente passata come dipendente non più dell’agenzia interinale ma della cooperativa di ristorazione per la quale lavoro da ormai 6 mesi. In questa sede non farò il suo nome, per ora, dal momento che il contratto è in scadenza a breve.

Le due strutture nelle quali lavoro ospitano clienti che pagano una parcella quotidiana decisamente alta, si tratta di cliniche d’élite che si occupano di varie tipologie sanitarie e interventi, spesso gli ospiti sono personaggi famosi, il che fa intendere che di certo non si tratta di strutture pubbliche.

Nel mio contratto a tempo determinato sono inquadrata al 7° livello nella voce operaia generica/addetta mensa, questa mansione consiste nel fare il lavapiatti di più basso livello, nelle pulizie e quant’altro, ma questa è solo una delle ben 3 mansioni che mi ritrovo a svolgere. Coerentemente con la sola mansione menzionata, mi ritrovo in busta paga (per fortuna almeno quella puntuale) uno stipendio relativo al 7° livello per un part time di 24 ore settimanali ovvero 700 euro. Le altre due mansioni, che sono trasporto e aiuto cuoco, che farebbero salire il mio livello retributivo, non vengono minimamente menzionate, ma nei fatti vengono svolte quotidianamente, festivi e feriali compresi (paga sempre uguale). Che dire... questa è veramente la meno. Non mi sorprende pensare che la cooperativa di ristorazione per la quale lavoro vinca appalti su appalti, c’è un motivo: basta vedere quanto surplus (plusvalore) fanno sui dipendenti per rendersene conto.

Per il trasporto abbiamo in dotazione un furgone Fiorino che fino a novembre di questo anno aveva le gomme lisce; dovendo fare le consegne del cibo entro un orario prestabilito, se questo non avviene sono “cazziatoni” e richiami da parte dei responsabili. Ovviamente, una volta ritrovatami nella situazione, era impensabile per me svolgere tale mansione con un furgone con le gomme lisce, nonostante le mie due colleghe per ben due anni, e sicuramente sotto la logica del ricatto del licenziamento, avessero accettato tutto, per me era inconcepibile. Allora ho posto il problema, banalmente, nella formula “io non rischio di ammazzarmi o di ammazzare per 600 euro al mese”. Dopo aver posto il problema e dopo aver creato dei disagi nella normale routine (in quanto mi sono rifiutata di fare dei trasporti e altre volte ho impiegato volutamente più di un ora rispetto all’orario previsto), arriva puntuale la mannaia repressiva da parte dell’azienda. La repressione consiste in una quotidianità fatta di rappresaglie su tutto, richiami, interventi del capo area, direttive che dicono “o tu svolgi questa mansione nel tempo prescritto oppure sei fuori”. Dopo ben 2 settimane è arrivato il furgone con le gomme nuove, per me si è trattato di una piccola vittoria, ovviamente ottenuta al prezzo della mia lotta da singola, in quanto nelle altre colleghe non ho riscontrato la ben che minima solidarietà, anzi…

Oltre al nostro demansionamento, che consiste nell’accorpamento di ben 3 mansioni quando ne risulta svolta una, in realtà la vera battaglia è sul piano relazionale umano, nella quotidianità.

Per quelle 4 ore al giorno in cui lavori presso la struttura, sei totalmente ostaggio dei tuoi responsabili, qualunque sia la loro esigenza tu ci devi essere; oltre a questo, quasi quotidianamente vai tranquillo che sfori di quella mezz’ora di straordinari in più che nessuno ti paga .

Inoltre, è consistente anche il lavoro mentale che ti porti a casa: il lavaggio delle divise da lavoro, la coordinazione con le colleghe e via dicendo, insomma si tratta di almeno 5 o 6 ore quindi di una o due ore in più al giorno che non vengono retribuite, ma che sono spese per.. la famosa riproduzione della forza lavoro.

Dopo mesi in cui i tentativi di portarmi ad un livello elevato di stress e ricatto ( in seguito alla lotta per il furgone) sono stati quotidiani, posso dire due cose.

La prima: so benissimo che questo mio caso non è isolato ma uno dei tanti che si sentono in giro, d’altronde, se il mio responsabile avesse una frusta, sono più che sicura che la utilizzerebbe celermente su di noi; la seconda cosa che voglio dire è che nonostante abbia tentato più volte di creare un fronte minimo comune con le mie colleghe (puntualmente risolto nel nulla) questo non significa che non si possa creare comunque anche se in forme meno esplicite. Sarò chiara: in un luogo di lavoro dove ti viene chiesto di accelerare i tempi, di fare l’infame verso i tuoi colleghi, di nominare “chi ha fatto cosa”, la risposta migliore è come negli interrogatori... il silenzio.

Dirò di più: se non dimostri un minimo di combattività (che si traduce nell’autotutela fisica e morale, perché sai che puoi prendere la scossa, tagliarti, ecc) stai facendo il favore più grande che tu possa fare ai tuoi capi, cioè dimostrarti loro schiavo a 360 gradi. E anche in virtù del tuo atteggiamento, pur trattandosi spesso di realtà piccole (10-15 dipendenti), loro si comporteranno di conseguenza.

Non si può morire di lavoro, non possiamo andare ad allungare l’elenco delle vittime di infortuni anche se il ricatto di essere buttarti fuori è forte. Siamo eccedenze, ahimè, ma quello che può dare forza anche nei momenti più cupi è non pensare mai che questo destino sia individuale: siamo una classe in questa condizione, è necessario quindi che ogni compagno o collega che si ritrova in questa situazione non pensi alla sua vicenda come alla sfortuna del singolo che lo affligge, ma inizi a guardarsi intorno, a parlare di quanto gli accade, per quanto umiliante possa essere: solo facendo così scoprirà di non essere solo. Il confronto con chi è nella tua situazione o in una simile, ha come risultato il fatto di capire che c’è un livello umano di dignità oltre il quale non puoi permetterti di scendere, altrimenti ti hanno già comprato..

Nonostante il livello di risposta del proletariato ora sia veramente basso, non molliamo la lotta, non buttiamoci giù, non cadiamo in depressione, cosa che capita a tanti giovani perché credono alla formula del “sei inadeguato, non basti per avere un lavoro”. In un capitalismo che non ti garantisce nemmeno più il “diritto allo sfruttamento”, alziamo la testa, senza paura e lottiamo per sopravvivere, almeno come persone!

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