Il progresso capitalista e il saggio di profitto

Capita di leggere (raramente…) qualche scritto sul progresso tecnico-scientifico che, nella società borghese, fa i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Si “risparmierebbe” così lavoro vivo, il cui costo è mal sopportato dal capitale, e lo si sfrutterebbe meglio con l’alta meccanizzazine. Ma questo “progresso”, nel modo di produzione capitalistico e nella sfera economico-sociale borghese, ci porta verso il baratro. I proletari diventano in massa degli “esuberi”, quando invece – per la “crescita” del capitalismo – dovrebbero tutti non solo produrre cataste di merci di ogni tipo e acquistarle per consentire alla classe borghese di “realizzare” il plusvalore in esse contenuto!

Gli scritti sopra nominati, sono dunque mantenuti nei limiti di una critica agli effetti, ma non certo alle cause. Perché allora tralasciare l’osservazione, persino elementare, riguardo a quella vendita di merci la quale è certamente un imperativo per il capitale che barcolla allorché si producono merci diminuendo l’impiego di forza-lavoro umana e quindi anche di consumatori? Visti i rapporti di produzione e distribuzione dominanti, gli scenari si oscurano.

Con la terza rivoluzione industriale, si sono sconvolti i comparti delle comunicazioni e dell’informatica; anche il lavoro intellettuale viene sussunto dalle macchine. Persino il cosiddetto lavoro “di concetto” (impiegatizio, amministrativo, ecc), è destinato a ridurre di decine di milioni nel mondo i dipendenti pubblici, soppiantati dal “digitale” che si diffonde nei servizi ripetitivi, impiegatizi e di supporto, nelle vendite, ecc.

A questo punto, per chi vanta un richiamo al marxismo, si tratterebbe di accendere i fari su una questione fondamentale per il futuro del capitalismo, alla base del diffuso marasma: la tendenziale legge della caduta del saggio medio di profitto (s. di p.). I suoi effetti si fanno dirompenti e inarrestabili. Soprattutto con quell’aumento esponenziale della composizione organica del capitale, il quale è costretto ad investimenti in direzione del capitale costante (macchine, energia, materie prime), “risparmiando” quanto più possibile in capitale variabile. Conseguentemente, anche le estrazioni di plusvalore subiscono un calo con la diminuzione dei dipendenti poiché è solo il vivo lavoro che fornisce plusvalore al capitale. (1)

C’è poi chi sostiene la tesi che valuterebbe l’incremento del plusvalore (quello relativo, ottenuto con l’incremento della produttività del lavoro, cioè macchine e innovazioni tecnologiche) un motivo in grado di operare in termini antagonistici alla caduta del s. di p.. Non precisando che l’aumento del plusvalore relativo richiede più capitale costante; ne consegue che quando la maggiore produttività diventa patrimonio di tutti i capitalisti, ci si trovi di fronte non più ad una “causa antagonista” bensì ad un motivo della caduta tendenziale del s. di p. La legge viene annullata solo temporaneamente ma quella controtendenza finisce col trasformarsi nel suo contrario. Oltre alla modifica della composizione organica del capitale, aumentano gli “esuberi” fra i lavoratori, diminuisce sia la possibilità di estrarre altro plusvalore sia quella di avere acquirenti per le merci prodotte.

Sia chiaro che il sottoconsumo non è la causa della crisi né il rimedio potrebbe essere quello del ricorso a politiche redistributive che, fra l’altro, nessuno sa spiegare come si potrebbero applicare nel rispetto delle dominanti leggi del capitale. Gira e rigira, si torna a quella che è la causa fondamentale della crisi;

Il tasso di profitto cade non perché il lavoro diventa meno ivo ma perché diventa più produttivo.

Marx

E’ un incubo per il capitale. L’accumulazione entra in crisi; aumentano gli effetti negativi per chi è impiegato nei processi di lavoro e nella loro organizzazione; i cicli di produzione diventano sempre più flessibili, scorporabili e sottoposti ad ogni genere di intermediazioni, mentre la produzione e il movimento delle merci subiscono la massima velocizzazione, imponendo la intensificazione di turni e ritmi di lavoro. Nello stesso tempo, si inferocisce la concorrenza tra capitali all’inseguimento di un minor costo di produzione delle merci.

Il fenomeno va interpretato dialetticamente e il rapporto tra il s. di p. e il s. di plusvalore può essere momentaneamente discorde: dipende però sempre dalla composizione organica del capitale, la quale – per ottenere maggior plusvalore relativo – subisce forti aumenti mentre si riduce la parte salariale. La minor spesa in salari è per il capitale una necessità che però va ad aggravare la “solvibilità” dei mercati, ossia il potere d’acquisto di un proletariato che ingrossa le fila degli eserciti di disoccupati. Anche se si possono ora produrre valori d’uso in tempi minori, un vasto numero di proletari non può appropriarsene, e quei prodotti, in quanto merci invendute, ingolfano i mercati e bloccano gli ingranaggi del sistema.

Non è certo una novità, che il progresso tecnico e scientifico (dominando il capitalismo) anziché sconfiggere la povertà la diffonde. Mentre aumenterebbero le condizioni per godere di maggior tempo libero, una parte del proletariato è costretta ad aumentare (se fa comodo al capitale) gli orari di lavoro, mentre un’altra parte resta in strada. Ci verrebbe offerta a questo punto “una lettura più attenta del fenomeno”, rilevando “le contraddizioni insite nel processo di accumulazione del capitale”, ma invano ci si aspetterebbe un accenno alla causa di fondo del tutto. Ed è proprio per combattere la caduta del s. di p., che il capitale si consuma nella vana ricerca di continui aumenti della produttività del lavoro con nuove macchine e avanzate tecnologie. Fino ai robot, sempre più efficienti, con una costante riduzione del numero degli operai occupati. Ma se si riduce il lavoro vivo, da chi si estorce plusvalore?

Quanto al “surrogato” di uno sviluppo della “industria della finanza”, producendo non merci ma moneta sognando una autovalorizzazione del denaro, ecco che alla fine i risultati impongono il ritorno al nodo mortale della crisi: con la diminuzione del lavoro vivo per la produzione di merci, la valorizzazione del capitale si inceppa. L’antagonismo fra le forze produttive e i rapporti sociali esistenti sta diventando macroscopico, con l’esplosione della potenziale contraddizione fra lavoro salariato e macchine automatizzate.

Uno dei “saggi” che abbiamo letto (Il proletariato e la rivoluzione comunista nell’epoca dei robot – “Sinistra in rete”) si conclude col rammarico che – nonostante la crisi e gli attacchi della borghesia contro il mondo del lavoro – “non c’è traccia significativa di un movimento che la contrasti con una certa efficacia”. Il disorientamento della classe operaia è enorme, evidente specie dopo il crollo dell’Urss.

Siamo consapevoli delle drammatiche condizioni in cui ancora versa il movimento proletario; per questo non abbandoniamo il faticoso, quotidiano impegno – teorico e pratico – che, nonostante tutto, non ci ha mai fatto stare con le mani in mano, pontificando sul passato e sottomettendo “corpo e psiche” alla dittatura del capitale e delle sue ideologie mistificanti. Quando poi si pretende di meglio criticarlo (come nell’articolo citato), trascurando le conseguenze che la robotizzazione (diffondendosi globalmente…) ha sulla caduta del saggio di profitto, beh, allora si rafforza in noi il sospetto che questa forma di “sviluppo delle forze produttive” sia ritenuta – come fanno gli economisti borghesi – “la più importante delle controtendenze”...

E per finire, siamo altresì convinti che quella della “ripresa della lotta di classe” non sia affatto una “mitica” speranza. A condizione, sempre, che ci si “rimbocchi le maniche”.

DC

(1) Nell’aprile del 2014 ad Amsterdam, durante una Critique Conference, si è osservata nel periodo 1997/2008 una caduta del s. di p. (nei paesi industrializzati) del 12% mentre la crescita della composizione organica del capitale è stata del 22%. Dal 1963 al 2008, il s. di p. negli Usa è diminuito del 21%; la composizione organica del capitale è cresciuta del 51% e il saggio del plusvalore del 5%. ( M. Roberts, “Marx’s law of the tendency of the rate of profit to fall and theory of crises: does it fit the facts?”)

Giovedì, January 10, 2019