A Genova l'ennesimo disastro frutto della logica del profitto

Si profilano per la tragedia di Genova i contorni di una pregressa disputa politica tra i no-Gronda, capitanati da M5S, e chi invece voleva la realizzazione della variante. Da un lato viene negata la criticità del viadotto e la necessità di un nuovo collegamento, dall'altra risulta problematica l'ammissione della pericolosità con la conseguente chiusura del ponte e il blocco delle merci senza che prima venga realizzata una valida alternativa.

Il tiramolla intorno alle poltrone sulla variante si è protratto fino alla tragedia con il definitivo crollo il 14 agosto del ponte "Morandi", a Genova, che ha causato finora la morte accertata di 43 persone compresi tre bimbi. Gli esponenti di entrambe i fronti, pro e anti “Gronda”, appartenenti a tutti gli schieramenti politici, figure del tutto secondarie rispetto agli interessi comuni, che però della difesa di questi si fanno portatori assumendone la delega a suon di voti e incarichi ben remunerati, sono causa diretta del disastro, mentre cause indirette restano le logiche di profitto alla base di un sistema di relazioni sociali che con il "buon senso" e la razionalità ha poco da spartire.

Le società legate alla gestione del tratto autostradale A10 coinvolto nel disastro, con un gioco di “scatole cinesi” conducono, attraverso le controllate, ad una serie di investitori sia nazionali che internazionali, fino al gruppo Benetton che ne decide le strategie. L'accordo siglato con lo stato nel 2007, i cui estremi costituiscono segreto di stato, che, considerati i presupposti resi noti a mezzo stampa secondo cui il gestore beneficerebbe di una penale di 20mld di euro anche in caso di grave inadempienza, costituisce un contratto capestro, anche detto “patto leonino”, perché sbilanciato verso una delle parti che se ne avvantaggia in maniera fraudolenta.

L'accordo segretato, in quanto evidentemente vergognoso anche per una società infida e decadente come quella borghese, indica fedelmente quanto gretta e avida sia la dirigenza del capitale.

L’accertamento delle responsabilità, altrimenti noto come “scarica barile”, inizia immediatamente, ancora prima della conta delle vittime, ed è affidato ai “giornaloni”, tutti con in “pancia” quote azionarie di gruppi industriali e finanziari italiani ed esteri, nessuno escluso, unità di misura certa del tipo di informazione a cui il proletariato ha accesso, dove occasionalmente qualche lotta intestina alla classe dominante lascia intravedere piccole porzioni dei reali retroscena.

Tutto è deciso mediaticamente su tv e stampa: indagini, sviluppo delle prove, individuazione del colpevole e sanzione finale, che “soddisfa pienamente” le parti in causa e rimette a posto le coscienze... borghesi: strumenti di “distrazione di massa” della classe dominante in ogni frangente!

Subito di fronte alle telecamere, “in tempo reale”, l’immediata individuazione dei colpevoli con Di Maio che punta il dito sui Benetton e minaccia una a dir poco risibile sanzione di ben... 150 milioni di euro! Giustizia è fatta, anzi “giustizialismo” è fatto! Non molto peggio riesce l’omologo padano, ma al peggio si sa “non c’è mai fine” e l’impegno è tanto..., “pizzicato” a contribuire alla causa privatizzazioni in generale, ma di autostrade in particolare, con il voto speso dalla lega per la “salva Benetton”, nel 2008 insieme alla coalizione di governo con F.I.. Che dire di Toninelli, neo ministro alle infrastrutture, che incarica i tecnici di Autostrade di periziare il crollo come se controllato e controllore fossero ruoli sovrapponibili o intercambiabili?

In questo contesto che solo eufemisticamente si può definire omertoso e mistificatore, il proletariato paga un tributo altissimo in termini di vite allo sfruttamento borghese, compresi i milletrecento lavoratori che mediamente ogni anno sono vittime di incidenti sul posto di lavoro sempre per problemi legati alla sicurezza. Nella vicenda del ponte Morandi le responsabilità non hanno colore politico e sono condivise tra tutti i governi che si sono succeduti dal momento della concessione ad Autostrade.

Per ciò che concerne la nazionalizzazione delle autostrade, auspicata dal ministro Toninelli, e più in generale delle infrastrutture e dei mezzi di produzione da parte di certa sedicente sinistra “radicale” o addirittura “rivoluzionaria”, anch’essa comunque in cerca di “visibilità”, siamo di fronte all’ennesima scappatoia offerta alla borghesia per il mantenimento del dominio ottenuta con un cambio di maschera e non proprio una evoluzione in senso socialista, che consegni -per decreto- nelle mai del proletariato armato, la gestione dei mezzi di produzione. Nessun cambio di paradigma sociale, verrebbero mantenute le categorie del capitale e deciso il prezzo -in denaro- di acquisto della manodopera e di vendita dei beni, la cui differenza è… profitto! Il proletariato non può semplicemente impossessarsi della macchina statale e dirigerla, deve abbatterla!

Sono parte integrante al conflitto di classe gli “effetti collaterali” di un sistema sociale individualista il cui carattere sociale della produzione è ridotto a miserabile strumento di estrazione del profitto, e non stimolo collettivo al progresso secondo quanto sostenuto da alcuni sinistri “filosofi” di sistema (farsi sfruttare fino all’esaurimento per una paga da fame costituirebbe il virtuoso “impulso” sociale). Il continuo susseguirsi di queste tragedie fuori e dentro il mondo del lavoro senza distinzioni, conseguenza dei vincoli di investimento, non può essere fermato se non si abbatte il capitalismo e la divisione in classi della società assolvendo così lo scopo sociale e non di mero profitto dei prodotti del lavoro di noi tutti.

GK
Domenica, August 26, 2018