Bloccate tutto, fermatevi! Solidarizzate nei fatti!

L’unità, la solidarietà e la lotta sono la vostra grande forza!

Quando un lavoratore, incitato da un qualsiasi maggiordomo del padrone, decide di travolgere e uccidere “su comando” un altro lavoratore che lotta – pur non essendo precario o a rischio licenziamento – per quelli che nel linguaggio corrente, ma improprio, vengono chiamati diritti degli altri lavoratori, allora vuol dire che le “ragioni e le regole del mercato” - ossia del capitalismo - prevalgono sulla solidarietà tra lavoratori, prevalgono sulla vita di un uomo, e non – come sostiene qualcuno – sulla “legalità”, che è e resta legalità borghese, legalità dei padroni e dello Stato al loro pieno ed esclusivo servizio, come dimostrato dalle feroci cariche della polizia, in ogni dove, contro chi lotta o anche semplicemente protesta.

Quando un padrone trova sempre uno “schiavo” alleato - per servilismo o per ricatto poco importa – disposto ad obbedire persino ai suoi comandi più feroci, allora non si può stare più zitti.

È allora che occorre, anche solo per un attimo, pensare: “Oggi è toccato a … , domani può toccare a te”.

Breve cronaca

Questa notte alle 23:45 è toccato a Abd Elsalam Ahmed Eldanf, operaio egiziano di 53 anni, padre di 5 figli, operaio della logistica alla Seam (azienda logistica in appalto della GLS, una delle maggiori aziende del settore in Italia) sin dal 2003. Assieme a lui è rimasto ferito un altro lavoratore.

La USB (sindacato cui Ahmed era iscritto) aveva indetto un’assemblea dei lavoratori per discutere del mancato rispetto degli accordi sottoscritti dall’azienda. Dopo l’ennesimo diniego, i lavoratori erano rimasti in presidio davanti ai cancelli e avevano iniziato lo sciopero immediato e il blocco del magazzino.

Ahmed non era un precario né uno che rischiava il licenziamento. Aveva un contratto a tempo indeterminato, Ahmed. Ahmed è morto. Morto.

Eppure ieri sera, come tante altre volte, era lì, fuori dai cancelli del magazzino della GLS di Piacenza, a lottare: lottare contro la precarietà dei suoi colleghi di lavoro e per il rispetto di quegli accordi sottoscritti nel maggio scorso (dopo una lunga mobilitazione di lotta) ma non rispettati dall’azienda; lottare perché i colleghi precari, cui era stata promessa un’assunzione a tempo indeterminato, ottenessero ciò che spettava loro e per cui si erano battuti.

E mentre stava manifestando al fianco dei suoi compagni di lavoro è stato travolto e ucciso da un tir aziendale, il cui autista - un suo stesso collega di lavoro - è poi sfuggito alla rabbia dei lavoratori presenti grazie al fermo da parte della polizia presente sul posto per “motivi di ordine pubblico”. Ahmed è morto sul colpo. La tragedia si è consumata sotto gli occhi degli agenti inermi (immobili) e dei compagni sconvolti che urlavano “Ammazzateci tutti!”.

Secondo i testimoni presenti, colleghi e sindacalisti, “il conducente del camion” sarebbe stato “incitato” a forzare il picchetto da un funzionario dell’azienda. Gli si sarebbe urlato «Parti, vai!» e l’autista ha obbedito all’ordine investendo Ahmed.

Questa la testimonianza e la denuncia di un collega di lavoro e connazionale di Ahmed presente sul posto:

«Il camion è stato invitato a forzare il nostro picchetto dal direttore dell’azienda, che gridava “se c’è qualcuno davanti investilo”» (1).

«Questo camion si è lanciato (contro il picchetto) ad una velocità sostenuta in una stradina piccola e stretta, a 40/50 km orari e ha investito il nostro operaio», ha invece dichiarato Riccardo Germani, sindacalista della USB presente sul posto (2).

Il sindacato USB, cui Ahmed era iscritto, parla esplicitamente di “assassinio padronale”.

Non è la prima volta che un camion forza i picchetti dei facchini della logistica. Solo qualche mese fa è accaduto alla GLS di Milano, soltanto sfiorando la tragedia. E anche quella volta erano stati dirigenti dell’azienda ad istigare i camionisti a farlo.

Il settore logistico è da qualche anno l’unico nel quale i lavoratori abbiano intrapreso coraggiose, serie e continuative lotte di difesa e rivendicazione, con scioperi ad oltranza, picchetti, blocco delle merci e dei magazzini per la loro movimentazione. Lotte generose e determinate, rilanciate proprio da quei lavoratori stranieri, da quegli immigrati utilizzati dai padroni come esercito di riserva per tagliare i “diritti” e abbassare i salari al livello minimo possibile, sfruttando l’arma della loro disperazione e del ricatto: dall’ottenimento del permesso di soggiorno fino al: “fuori abbiamo le file per lavorare, dunque accontentati e sta’ buono e zitto”.

Ma Ahmed non stava né buono né zitto. E così i suoi compagni di lavoro.

Proprio quegli immigrati che ci vengono indicati come la causa dei nostri mali, gli “invasori” delle nostre non più tranquille città, i “concorrenti” al ribasso: proprio loro indicano ai lavoratori tutti la strada da percorrere, quella dell’unità e della mobilitazione più efficace contro gli interessi dei padroni. Proprio loro lottano per i propri “diritti” e per quelli di tutti.

Il camionista, invece, di fronte all'insistenza dei Kapò affinché forzasse il blocco, non ha riconosciuto in chi aveva davanti un suo fratello in lotta e non un avversario da abbattere.

La morte di Ahmed si aggiunge alle altre innumerevoli e tragiche morti sui luoghi di lavoro di cui ormai non si parla nemmeno più. Secondo l’INAIL, nel 2016 sono aumentate del 16% le “morti bianche” e le malattie professionali. Sono almeno 1000 i morti ogni anno per incidenti nei luoghi di lavoro, mentre proprio nei giorni scorsi il governo discuteva coi sindacati di ridurre gli standard di sicurezza ricorrendo all’autocertificazione da parte delle stesse aziende o appaltando a società di certificazione private la gestione della qualità e della sicurezza sul lavoro.

Secondo l’”Osservatorio indipendente morti sul lavoro” di Bologna (3) i morti per infortuni sul lavoro dall’inizio dell’anno al 15 settembre 2016 sono già oltre 940, di cui 459 sui luoghi di lavoro (tutti registrati), i rimanenti sulle strade e in itinere. Sono conteggiate tra tutte le vittime anche i morti in nero e le categorie non assicurate all’INAIL che monitora solo i propri assicurati.

Uno stillicidio silenzioso che ogni anno si consuma a fronte di ritmi di lavoro sempre più stressanti, orari e turni sempre più massacranti, pressoché totale assenza di controlli (con la complicità sindacale) e manutenzione degli impianti (risparmio notevole in termini di costi per le aziende). Uno stillicidio che - se si prendono in considerazione tutte le morti sul lavoro e non solo gli assicurati INAIL (moltissimi morti sul lavoro non erano assicurati all’INAIL lavoravano in nero) - dal 2008 registra addirittura un aumento del 6,5%.

Mancanza di sicurezza, dunque, ma soprattutto di solidarietà, di coscienza, di unità tra i lavoratori. Da parte delle aziende: aumento delle tensioni alimentate da un costante clima di ricatti e ritorsioni, inganni, false promesse e disdette di accordi già stipulati spesso dopo mesi e mesi di mobilitazioni.

Anche per questo lottava Ahmed. Per e con i suoi compagni, e anche per coloro che ancora temono il ricatto del padrone, la sua prepotenza, la sua arroganza.

Padroni contro i lavoratori, e fin qui nulla di nuovo. Comprimere i salari, precarizzare e flessibilizzare il lavoro, aumentare orari e ritmi di lavoro, espellere dai processi lavorativi milioni di lavoratori (condannandoli alla miseria e alla disperazione) creando immensi eserciti di riserva pronti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro subendo ogni possibile ricatto) sono sempre state, per il capitale, strumenti necessari e irrinunciabili per aumentare i loro profitti.

Lavoratori contro lavoratori: qui, invece, il “capolavoro” dei padroni. Un capolavoro che si consuma tutti i giorni, che aizza e alimenta - col suo coro di prezzolati politicanti, populisti e demagoghi, nonché dei loro squallidi e servi organi di informazione - rancore, odio e guerra fra poveri, tra autoctoni e immigrati, secondo il più classico e disgustoso degli stili: “divide et impera”. Un capolavoro che oggi conta il suo ennesimo morto, stavolta direttamente in fabbrica, e direttamente per bocca del padrone.

Un duplice attacco che solo la solidarietà e la lotta unita tra i lavoratori di tutti i comparti può affrontare e contrastare. Ma non basta.

La schiavitù del lavoro salariato, al di là delle diverse modalità, più o meno brutali, nelle quali si sostanzia, resta a fondamento di questo tipo di organizzazione sociale, il capitalismo, in qualsiasi forma esso si presenti: statale o privatistico. Essa garantisce ai profitti dei padroni - da decenni in continua agonia - qualche boccata d’ossigeno, per consentire loro di far fronte alla crisi e alla più selvaggia concorrenza internazionale che ne deriva, e che impone il taglio dei costi (in primis di quello del lavoro).

Questa schiavitù, questo sfruttamento del lavoro sociale ad opera di pochi parassiti detentori dei capitali e dei mezzi di produzione della ricchezza sociale, è intrinseca al capitalismo, ne è una costante, e se peggiora nelle sue fasi di crisi (come l’attuale) non smette mai di sortire i suoi drammatici effetti: quando non sotto i nostri occhi, avviene nelle “periferie” del pianeta in cui esso assume, spesso lontano dai nostri occhi e della nostra consapevolezza, le peggiori e più aberranti forme (lavoro minorile incluso, luoghi di lavoro malsani e insicuri, orari e ritmi disumani).

Intrinseca e perciò ineliminabile se non eliminando il sistema stesso, e sostituendolo con un’organizzazione sociale libera dai parassiti del profitto e in mano ai veri e unici produttori della ricchezza sociale: i lavoratori.

Non possiamo infine non denunciare l’ennesimo vergognoso *squallore dell’informazione di regime*, che certo non ci stupisce, ma ci disgusta nel profondo. È delle ultime ore l’aberrante versione ufficiale del procuratore-capo di Piacenza (un magistrato), che pressoché tutti i telegiornali nazionali stanno veicolando nell’opinione pubblica. Il tentativo è sempre lo stesso: si è trattato di un incidente di manovra “senza alcun dolo”. Con l’assurdo corollario di negare persino che vi fosse, sul posto, una mobilitazione (4). Eccome no: alle 23.45 i lavoratori GLS stavano semplicemente festeggiando dietro i cancelli della loro azienda, giusto per trascorrere un’allegra serata goliardica insieme...

Nell’esprimere vicinanza ai famigliari di Ahmed e ai lavoratori che con lui hanno condotto e condurranno altre lotte, ci auguriamo sempre più vaste e unitarie, preferiamo esprimere la nostra solidarietà concreta e il nostro sostegno nell’unico modo che ci sembra serio e costruttivo, non formale ed inutile: esortando i lavoratori, di qualsiasi latitudine e di qualsiasi comparto lavorativo, non semplicemente a “scendere in piazza”, ma a dimostrare nei fatti la loro solidarietà tra lavoratori bloccando ogni attività lavorativa (perché i padroni soffrono solo quando questo accade, non quando si sfila inermi per strade e piazze).

Esortandoli ad unirsi nelle loro lotte, oggi di necessaria difesa, ma domani di attacco frontale e determinato all’intero sistema di sfruttamento che, in nome e per conto del profitto, genera quotidianamente, e in ogni angolo del pianeta, morte, disperazione, guerra, odio, razzismo, precarietà e disoccupazione, mentre riempie fino a scoppiare le tasche di pochi.

Contro il capitalismo e tutti i suoi maggiordomi e servi!

Contro il lavoro salariato!

Per una società al servizio dei bisogni umani e non del profitto!

(1) Fonte: Repubblica. video.repubblica.it

(2) Fonte: Repubblica. video.repubblica.it

(3) cadutisullavoro.blogspot.it

(4) Ecco la ricostruzione della Procura: «Quando è avvenuto l'incidente non era in atto alcuna manifestazione all'ingresso della Gls», ha precisato il capo della procura di Piacenza Salvatore Cappelleri. «Quando il Tir è uscito dalla ditta, dopo le regolari operazioni di carico, ha effettuato una manovra di svolta a destra. Inoltre escludiamo categoricamente che qualche preposto della Gls abbia incitato l'autista a partire. Davanti ai cancelli in quel momento non vi era alcuna manifestazione di protesta o alcun blocco da parte degli operai, che erano ancora in attesa di conoscere l'esito dell'incontro tra la rappresentanza sindacale e l'azienda. Allo stato attuale delle indagini riteniamo che l'autista non si sia accorto di aver investito l'uomo che è stato visto correre da solo incontro al camion che stava facendo manovra. Per questo si è deciso di rilasciare l'autista che, tra l'altro, è anche risultato negativo ai test di accertamento per le sostanze stupefacenti e l'alcool».>

Ecco infine alcuni video girati sul luogo che documentano quanto accaduto: osservatoriorepressione.info

Venerdì, September 16, 2016