Fincantieri: la rabbia e l’organizzazione

Alla fine, a causa della decisione di Fincantieri di chiudere due stabilimenti e lasciare a casa 2500 persone, la rabbia operaia è esplosa: a Genova davanti alla prefettura e a Castellammare di Stabia dentro il municipio… ma quello che è successo era nell’aria da tempo.

Nell’indotto della Fincantieri di Palermo e di Castellammare gli operai licenziati delle ditte satellite avevano infatti denunciato da 2 anni la manovra dell’azienda e così già a giugno dell’anno scorso, in Liguria, Sicilia e Campania, ci sono stati blocchi stradali e manifestazioni di rabbia anche contro i sindacati “assenti e venduti” (parole loro: basta dare un occhiata ai video su youtube).

Gli stessi operai di Castellammare, pur non avendo una visione così netta del sindacato, ma registrandone l’inerzia, pari solo a quella delle istituzioni, circa un anno fa, hanno sfilato in massa per le strade del paese, ricevendo la solidarietà della popolazione e degli operai dell’indotto… La decisione dell’azienda a partecipazione statale di licenziare gli operai e chiudere gli stabilimenti non arriva dunque all’improvviso, anche in tv, ad Annozero, gli operai stabiesi avevano già qualche mese fa denunciato con forza le intenzioni di Fincantieri.

Ora però i licenziamenti sono una realtà e la rabbia non poteva più essere contenuta.

Si affannano, quasi fuori tempo massimo, i vescovi, i sindaci, i sindacati complici e inerti fino ad ora, a rincorrere questa sacrosanta battaglia per il posto di lavoro, tenteranno di deviarla sul binario morto degli ammortizzatori sociali, parleranno di piani industriali da rifare , magari pretenderanno a parole anche il reintegro dei licenziati, ma non sono loro che possono dare fiato a questa lotta.

Non può essere chi è coinvolto fino al midollo dentro il sistema ad aiutare chi, a causa della crisi del sistema, viene messo alla porta. Anzi, alti dirigenti sindacali si sono affrettati a dire che in cambio del mantenimento dei posti di lavoro (e nemmeno tutti), sono più che disponibili e ridiscutere tutto: un altro “modello Marchionne” in arrivo, come eventuale “soluzione finale”?

Sono gli altri operai nella stessa situazione, anche in altri settori, che possono rafforzare il fronte di lotta.

Perché purtroppo gli operai e i proletari licenziati e dilaniati dalla crisi non si contano, anche se non tutti stanno mettendo in campo la forza e la determinazione necessaria a rispondere a questo violentissimo attacco all’occupazione, in atto da anni in tutti i settori, ma che proprio adesso sta raggiungendo, anche in Italia, limiti non più sostenibili pacificamente.

Se la pace sociale si è finalmente rotta, è giunta l’ora di organizzare e indirizzare la giusta rabbia di classe che sta venendo fuori.

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Hanno quindi fatto bene gli operai genovesi e stabiesi a portare la loro collera nei palazzi del potere, ma non è da quei palazzi che uscirà una mano tesa, a meno che la determinazione dimostrata da loro in questi giorni non si consoliderà ancor di più in comitati operai indipendenti dai sindacati - espressione delle assemblee operaie in lotta - che colleghino i lavoratori dell’indotto a quelli dei cantieri e che coinvolgano il resto della classe operaia, rilanciando gli scioperi che fino ad ora sono stati poco più di una pagliacciata, sia contro il piano Marchionne, che contro i licenziamenti.

Quando gli operai e i proletari inizieranno a mettere in campo la loro forza collettiva, allora vescovi, sindaci e sindacati saranno davvero costretti a mediare per conto degli operai (e non dei padroni, come fanno ora). Ma giunti a quel punto, sarà già tempo di sbarazzarci di un sistema feroce e in agonia che ci sfrutta fino al limite delle nostre possibilità fisiche e, in crisi com’è, non è nemmeno in grado di dare continuità a questo sfruttamento.

Gli operai e i proletari di ogni settore, organizzati e collegati tra loro, non hanno bisogno né di sindaci, né di sindacati, né dei vescovi, né dello stato, per difendersi dai licenziamenti oggi, per sbarazzarsi dei padroni domani.

Contro i licenziamenti e le chiusure aziendali, occorrono comitati operai e proletari per stimolare e coordinare le lotta, indipendenti da sindacati e istituzioni. Occorrono le assemblee dei lavoratori - espressioni del reale protagonismo dei lavoratori - come strumenti di gestione delle lotte.

Contro la crisi e il sistema che la genera (il capitalismo mondiale) occorre un’organizzazione di classe rivoluzionaria e internazionale, per non disperdere la rabbia operaia e proletaria.

Toto, 2011-05-31

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.