Politiche sociali - Sviluppo del terzo settore, occupazione, tagli

Come già detto, il Terzo Settore nasce in un contesto di crisi, crisi del Welfare, ma, sopratutto, crisi del terzo ciclo di accumulazione del capitale (ciclo avviato nel 1945) (1). Non è qui il luogo per affrontare dettagliatamente l’argomento, ma non si potrebbe capire il perchè di tutte le trasformazioni in esame, se non ricollegandole ai cambiamenti economici e sociali indotti dalla crisi del capitalismo, la quale prende le mosse al principio degli anni 1970.

In ogni caso, lo sviluppo del Terzo Settore appare immediatamente non solo come un valido strumento per ridurre la spesa attraverso il meccanismo dell’appalto di tutta una serie di servizi al privato sociale, ma anche come una possibilità di crescita dell’occupazione in un contesto nel quale (anni 1980-1990-2000), a causa delle massicce ristrutturazioni industriali e delle delocalizzazioni, la disoccupazione aveva iniziato a galoppare (Tab. 2).

Anno Disoccupazione
1968 5,7
1969 5,7
1970 5,4
1971 5,4
1972 6,4
1973 6,4
1974 5,4
1975 5,9
1976 6,7
1977 7,2
1978 7,2
1979 7,7
1980 7,6
1981 8,5
1982 9,1
1983 9,9
1984 10,4
1985 10,6
1986 11,1
1987 12
1988 12
1989 12
1990 11,4
1991 10,9
1992 11,5
1993 9,7 (10,2)
1994 10,6 (11,3)
1995 11,2 (12,0)
1996 11,2 (12,2)
1997 11,3
1998 11,3
1999 10,9
2000 10,1
2001 9,1
2002 8,6
2003 8,4
2004 8
2005 7,7
2006 6,8
2007 6,1
2008 6,7
2009 7,8
Tab. 2 - Disoccupazione in Italia dal 1968 al 2009 - Dati Istat da “Demografia” di L.Petrioli (98), Per i dati dopo il 1992 vedi nota, fonte Istat (2)

Nel 1993 la pubblicazione “Libro bianco sulla crescita, la competitività e l’occupazione” di Delors indicava, infatti, nel Terzo Settore uno degli elementi fondamentali per fare crescere l’occupazione in Europa. Ancora Sacconi, nel suo libro bianco del 2009, “La vita buona nella società attiva”, affermava che

Il Terzo Settore costituisce un punto di forza del modello sociale italiano e ancor più rilevanti sono le sue potenzialità … enormi e, in parte non ancora esplorate nella rifondazione del nostro sistema sociale.

Il Terzo Settore come punta di diamante della riorganizzazione del Welfare in Italia, e i numeri gli davano ragione, visto che negli ultimi venti anni si è assistito ad un suo impressionante sviluppo (Tab. 3).

Nel 1999 gli enti del no-profit erano 221.412 (3) ed impiegavano 630.000 lavoratori (dei quali 80.000 precari, ossia collaboratori a progetto e interinali) di questi 130.000 erano impiegati nelle cooperative sociali - non verranno considerati nel resto della ricerca i volontari non retribuiti che, comunque, erano 3,2 milioni.

Tra il 1996 e il 2004 il fatturato del Terzo Settore è cresciuto da 17,4 a 40 miliardi di euro: dal 1,8% al 3% del PIL (dato Ministero Welfare, 2005).

Anno Numero occupati % del totale
1990 400.000 1,8%
1995 580.000 2,6%
2000 753.000 3,6%
Tab. 3 - Occupazione nel Terzo Settore e percentuale sul totale degli occupati in Italia - Rielaborazione vita.it su fonte Istat (2001), Bundesregierung (2001), espace socialeuropéen (2000)

Cooperative sociali

Ci concentriamo sull’analisi delle cooperative sociali perché sono quelle che più si dedicano ai servizi di cura della persona, non è un caso che lo stesso Sacconi, nel documento già citato, affermasse il “ruolo strategico del mondo cooperativo … che si pone quale protagonista dinamico” dello sviluppo.

Secondo i dati Istat nel 2005, gli ultimi disponibili anche se in parte approssimativi, le cooperative sociali erano 7.363, occupavano 244.000 lavoratori, dei quali 90.000 part-time e 33.000 precari (contratto di collaborazione o interinale) e, in proporzione, la maggior parte di questi al Sud, 3/4 erano le donne. La media era di 33 operatori per cooperativa. Le entrate complessive erano pari a 7,4 miliardi di euro, la maggior parte di queste impegnata nel settore socio-sanitario ed educativo (60%), i servizi offerti erano in prevalenza di assistenza domiciliare, mentre l’utenza più comune era costituita dai minori, le cooperative di tipo B (1/3 del totale) si occupavano prevalentemente di inserimento di lavorativo di disabili. La stragrande maggioranza delle cooperative (70%) si erano costituite dopo il 1990.

Sempre nel 2005 le cooperative sociali di tipo A, con i loro 200.000 lavoratori, avevano offerto servizi socio-sanitari ed educativi, attraverso la gestioni di residenze protette, asili nido, centri diurni, comunità, presidi sanitari o prestando assistenza domiciliare, a più di 3,3 milioni di utenti, con una crescita del 40% rispetto al 2003, la maggior parte di questi si trovava in situazione di disagio o fragilità sociale. Ogni operatore seguiva in media 16 utenti, nel 2003 ne seguiva 15 (Tab. 4).

Il 66% delle cooperative si finanziava prevalentemente con entrate provenienti dal pubblico e la quota saliva a 3/4 se si consideravano le sole cooperative sociali che operavano nel settore socio-sanitario ed educativo. Nel complesso il 72% del totale delle entrate delle cooperative sociali nel 2005 (era il 62% nel 1999) proveniva da finanziamenti pubblici, grande parte di questi dal FNPS.

Anno Numero coop. Numero lav. % di precari
1999 4651 122000 7,00%
2003 6159 190000 15,00%
2005 7363 244000 14,00%
Tab. 4 - Rilevazione lavoratori impiegati nelle cooperative sociali - Fonte; Istat, istituzioni nonprofit in Italia, 2001; Primo rapporto CNEL/Istat sull’economia sociale

I tagli

Crisi significa tagli e i tagli vogliono dire: più soldi alle banche e agli imprenditori - per sostenere la loro economia - , meno soldi ai lavoratori dipendenti (taglio del salario diretto, dei posti di lavoro e del salario indiretto: scuola, sanità, servizi sociali - appunto! - , pensioni...). Nello specifico dei servizi alla persona, i dieci principali fondi di finanziamento del Welfare hanno subito tra il 2008 e il 2010 un taglio del 77% (Tab.5).

- 2008 2009 2010 2011 2012 * 2013 *
Fondo Nazionale Politiche Sociali (L.328/00) 698 579 435 273,8 70 44,6
Fondo per le politiche della famiglia (D.L.223/06) 346,5 186,6 185,3 51,5 52,5 31,4
Fondo per le politiche giovanili (D.L. 223/06) 137,4 79,8 94,1 12,8 13,4 10,6
Fondo per le pari opportunità 64,4 30 3,3 17,2 n.d. n.d.
Fondo per l’infanzia e l’adolescenza (L.285/97) 43,9 43,9 40 39,2 39,2 39,2
Fondo per la non autosufficienza (L.296/96) 300 400 400 0 0 0
Fondo per il servizio civile 299,6 171,4 170,3 110,9 113 113
Fondo per l’inclusione degli immigrati (L.296/06) 100 0 0 0 0 0
Fondo per il sostegno agli affitti 205,6 161,8 143,8 32,9 n.d. n.d.
Fondo per i servizi all’infanzia 100 100 0 0 0 0
Totale 2295,4 1752,5 1471,8 538,3 n.d. n.d.
Tab. 5 - Andamento dei 10 principali fondi di finanziamento della spesa sociale in Italia in milioni di euro - Fonte dati ministero economia, elaborazione “La Repubblica” 22/02/’11, * previsioni di spesa tratte dalla legge di stabilità 2011

Ad essere colpito violentemente è il FNPS che, come abbiamo visto, è il fondo specifico per il finanziamento degli interventi di assistenza alla persona e alla famiglia (Tab. 6).

Ma anche numerosi altri fondi, come il fondo per la violenza sulle donne, per il telefono azzurro, per le politiche migratorie etc., sono stati sottoposti ad un attacco durissimo, se non definitivamente azzerati.

Ugualmente è stato tagliato il finanziamento del 5 per mille a sostegno delle organizzazioni no-profit, già prima questo fondo non veniva distribuito interamente all’associazionismo: i fondi da ripartire erano, indipendentemente da quanti ne venissero raccolti, contenuti all’interno di un tetto massimo di 400 milioni di euro, che con il patto di stabilità 2011 è stato abbassato a 100 milioni.

Anno FNPS (L.328/00)
2002 801
2003 992
2004 1031
2005 556
2006 825
2007 788,4
2008 698
2009 579
2010 435
2011 273,8
2012 * 70
2013 * 44,6
Tab. 6 - Andamento del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali in milioni di euro - Fonte: Leggi finanziarie e decreti di riparto FNPS, * previsioni di spesa stabilite dalla legge di stabilità 2011

Se, oggi, il federalismo fiscale prevede che le Regioni trovino in proprio i fondi per sostenere il settore, nei fatti è possibile prevedere come le Regioni più ricche del Nord si troveranno nella condizione di dover ridurre di molto i loro interventi, mentre quelle più povere, prevalentemente al Sud, saranno costrette ad azzerarli o quasi.

Siamo di fronte a una situazione drammatica che vede, già da ora, la sostanziale estinzione delle politiche sociali per mezzo dell’azzeramento dei fondi ad esse destinate, la conseguente riduzione di tutti i servizi territoriali e la loro sostituzione con politiche repressive, istituzionalizzazione (riduzione del soggetto ritenuto malato all’interno di strutture che lo escludono dalla società), crescente pratica della somministrazione di farmaci e psico-farmaci, aumento della povertà, dell’esclusione sociale e della devianza.

La condizione di gravità nella quale si muovono i lavoratori del sociale è pressante: un molto rapido deterioramento del settore è molto più che probabile.

Sarebbe qui necessaria un’analisi delle analoghe politiche governative anti-sociali di altri Stati che, dagli USA alla Germania, dalla Georgia all’Irlanda, dimostrano l’entità internazionale del fenomeno, ma si è costretti, per ragioni di spazio, a limitarsi alla semplice enunciazione del fatto.

(1) Sinteticamente, affermiamo che la vita del capitale è scandita da cicli di accumulazione successivi, all’interno dei quali si alterna una fase di espansione e una fase di crisi, la crisi culmina con l’imbarbarimento sociale e la guerra come sbocco finale. Nella guerra infatti vengono distrutti mezzi di produzione e uomini, ponendo così le premesse per l’avvio di un nuovo ciclo di accumulazione. Se il primo ciclo si è concluso nella prima Guerra Mondiale, il secondo ciclo nella Seconda Guerra Mondiale, il terzo ciclo, avviatosi nel 1945 è tutt’oggi in corso, sebbene dai primi anni settanta abbia intrapreso la sua fase discendente con l’aprirsi della crisi, crisi del terzo ciclo di accumulazione del capitale, appunto. Per approfondimenti vedi l’articolo “Sulla teoria della crisi in generale”, in internazionalisti.it .

(2) I dati tra parentesi e precedenti il 1992 sono rilevati dall’Istat con la vecchia metodologia, dal 1992 la Rilevazione Trimestrali sulla Forza Lavoro (RTFL) cambia metodo, il nuovo metodo si fonda sulle definizioni seguenti: forze di lavoro, occupati e persone in cerca di occupazione; occupati, chi dichiara di avere un’occupazione anche se nella settimana del rilevamento non ha lavorato, chi ha lavorato almeno un’ora nella settimana di riferimento; persone in cerca di occupazione, chi non si dichiara occupato e si dichiarano in cerca di occupazione e ha effettuato almeno un’azione di ricerca di lavoro nei 30 giorni che precedono l’intervista ed è disposto ad accettare un lavoro immediatamente (nell’arco di due settimane). Non forze lavoro, chi ha meno di 15 anni, chi è in cerca di occupazione ma la cui ultima azione di ricerca risale a 2-24 mesi precedenti l’intervista, casalinghe, studenti, pensionati, invalidi, inabili e militari, tutti quelli che, pur non rientrando tra gli occupati, non soddisfano i criteri volti a definire le persone in cerca di occupazione. Tasso di disoccupazione, rapporto tra le persone in cerca di occupazione e il totale delle forze lavoro.

I nuovi criteri hanno abbassato il dato della disoccupazione di circa un punto percentuale. Da notare inoltre che nel 2004 l’Istat è passato dalle RTFL alle Rilevazioni Continue sulla Forza Lavoro e questo ha contribuito ad abbassare ulteriormente la disoccupazione, innalzando l’occupazione (Cfr. le serie storiche nel sito istat.it ).

(3) Per questo dato e i seguenti la fonte è il “Primo rapporto CNEL/ISTAT sull’economia sociale”, giugno 2008.

Comments

Alla ricerca di conferme ufficiali dei dati riportati nella tabella 6 purtroppo scopro che i dati sono sbagliati

... l'articolo ahimé è vecchio, il FNPS con la manovra di agosto SCENDE ANCORA raggiungendo l'incredibile soglia di 218 milioni di euro. (no comment)

Tuttavia non ho trovato conferme delle scandalose previsioni per il 2012 e 2013. Vi ringrazierei molto se poteste darmi qualche suggerimento in più per trovare i dati ufficiali.

fonte

governo.it