Politiche sociali - Il quadro legislativo

Dopo la prima grande dilatazione del settore, si è resa non più procrastinabile una sua regolamentazione, sopratutto in materia di titoli di accesso ai servizi, regolamentazione degli enti, meccanismo di finanziamento (gare, appalti, fondi ai quali attingere), standard nazionali dei Servizi erogati.

Vengono ora passate in rassegna le principali leggi che regolano il settore:

  • L. 49/87, “Nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo”, (in materia di Organizzazioni Non Governative).
  • L. 218/90, “Disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico”, (in materia di Fondazioni). Molte di queste si dedicano a finanziare privatamente progetti socio-assistenziali.
  • L. 266/91, “Legge quadro sul volontariato”.
  • L. 381/91, “Disciplina delle cooperative sociali”, che ha avuto il compito di normare il funzionamento delle coop. sociali, le quali “hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della Comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse - agricole, commerciali, industriali e di servizi - finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate”. Le cooperative si distinguono quindi in tipo A, le quali includono l’offerta di servizi socio-assistenziali, socio-sanitari ed educativi in maniera diretta, o attraverso la stipula di convenzioni con gli enti locali, e quelle di tipo B, le quali non hanno limitazioni alle attività che possono svolgere, salvo che devono impiegare, in quota pari ad almeno il 30% dei propri lavoratori, persone svantaggiate (invalidi fisici, psichici e sensoriali, ex degenti di istituti psichiatrici, tossicodipendenti, alcolisti, minori in situazioni di difficoltà familiare, condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione).
  • L. 383/00, “Disciplina delle associazioni di promozione sociale” ha invece il compito di definire le normative che regolano il variegato mondo dell’associazionismo sociale.

Normati gli enti che avrebbero dovuto dare luogo all’ambiente di sfruttamento dei lavoratori del sociale, rimaneva da emanare una legge che inquadrasse il settore nel suo complesso, anche perché questo era ancora, fondamentalmente, disciplinato dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972, la cosiddetta "Legge Crispi". Venne così emanata la L. 328/00.

L’ingresso del Terzo Settore nella vita economica del Paese è stato definitivamente sancito il 25 ottobre 2001, quando i rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato (Emendamento alla L.936/86) entrarono a pieno titolo nel Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL).

Altre leggi che ebbero una certa importanza sono state la L.155/06 sulla “Disciplina dell’impresa sociale” e la L.460/97 sul “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”.

La Legge 8 novembre 2000, n. 328

Si tratta della “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", ovvero la legge più importante che inquadra i meccanismi di funzionamento e finanziamento delle politiche sociali in Italia.

Scopo della legge è promuovere interventi sociali, assistenziali, educativi e socio-sanitari rivolti alle persone e alle famiglie in difficoltà. Gli obiettivi sono la qualità della vita, la prevenzione, la riduzione e l'eliminazione delle disabilità e del disagio personale e familiare. Sono molti i servizi previsti e sarebbe lungo citarli tutti, basti sapere che vanno dagli interventi a sostegno della maternità responsabile agli interventi volti a prevenire la devianza minorile, dal sostegno alle famiglie con disabili alle comunità protette per minori, dal sostegno alle famiglie di recente immigrazione all’assistenza domiciliare ad anziani e non auto sufficienti. Sarebbe interessante entrare nello specifico delle metodologie e percorsi previsti e del come, in larga parte, siano rimasti lettera morta. Vi si accennerà in seguito.

Per finanziare questo insieme complesso e articolato di interventi viene istituito - aggregando e ampliando i finanziamenti settoriali esistenti - il Fondo Nazionale per le Politiche e gli interventi Sociali (FNPS), il cui volume viene di anno in anno stabilito in sede di definizione della Legge Finanziaria (oggi Legge di Stabilità) e, attraverso un Decreto di Riparto, successivamente diviso tra le 20 Regioni d’Italia.

Per realizzare i servizi sociali in modo unitario e integrato i vari livelli istituzionali, con il coinvolgimento del Terzo settore, provvedono alla programmazione degli interventi e delle risorse.

Lo Stato ha il compito di: fissare un Piano Sociale Nazionale che indichi uniformi Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), stabilire i requisiti che devono avere le comunità-famiglia e i servizi residenziali, nonché i profili professionali nel campo sociale, ripartire le risorse del FNPS e controllare l'andamento della Riforma.

Le Regioni dovranno: programmare e coordinare gli interventi sociali, spingere verso l'integrazione degli interventi sanitari, sociali, formativi e di inserimento lavorativo, stabilire i criteri di accreditamento e vigilare sulle strutture e i servizi sia pubblici che privati, costituire un albo dei soggetti autorizzati a svolgere le funzioni indicate dalla normativa, stabilire la qualità delle prestazioni, determinare i livelli di partecipazione alla spesa da parte degli utenti, finanziare e programmare la formazione degli operatori.

Dai Comuni dipende: la determinazione dei parametri per la valutazione delle condizioni di accesso ai servizi, l'autorizzazione, l'accreditamento e la vigilanza sui servizi sociali e sulle strutture residenziali e semi-residenziali pubbliche e private, la garanzia del diritto dei cittadini a partecipare al controllo di qualità dei servizi. I Comuni sono gli organi amministrativi che gestiscono e coordinano le iniziative per realizzare il "sistema locale della rete di servizi sociali", per questo devono coinvolgere e cooperare con le strutture sanitarie, con gli altri enti locali, con i cittadini e con le associazioni del Terzo Settore.

Nella pratica i Sindaci, riuniti nella Conferenza dei Sindaci, predispongono i Piani di Zona contenenti le azioni, gli obiettivi e le priorità degli interventi comunali, oltre alla Carta dei Servizi che illustra le opportunità sociali disponibili e le modalità per accedervi. La Regione, una volta recepito il Piano di Zona, ne verifica la compatibilità con gli obiettivi definiti nel Piano Sociale Regionale e ne vaglia il finanziamento sulla base della quota del FNPS stabilito per la Regione medesima e degli altri fondi eventualmente disponibili.

E’ evidente che questa "scollatura" tra chi detiene le risorse finanziarie (lo Stato), chi decide (le Regioni), chi amministra (i Comuni) e chi agisce sul territorio (il Terzo Settore), favorisce non solo una lievitazione dell’apparato burocratico/clientelare, ma ben si presta ad alimentare un indecente scarico di responsabilità tra i differenti livelli quando il meccanismo si inceppa.

In ogni caso tutto quanto descritto in questa parte - ossia la grande maggioranza dei servizi sociali/assistenziari/sanitari italiani - è finanziato attraverso il FNPS, in misura minore dagli altri fondi nazionali disponibili, il resto con l’integrazione di quanto le Regioni sono in grado di reperire per via autonoma (federalismo fiscale).

Il principio di sussidiarietà

Introdotto con la riforma del Titolo V della Costituzione, art 118, il principio di sussidiarietà può essere sintetizzato con il motto “non tutto il pubblico è Stato”. Per la sussidiarietà verticale lo Stato centrale, nell’ottica della valorizzazione delle autonomie locali e, quindi, del suo disimpegno, ripartisce le competenze verso gli enti più prossimi al cittadino (Regioni, Provincie, Città Metropolitane, Comuni); per la sussidiarietà orizzontale i cittadini e le “formazioni sociali intermedie” (Terzo Settore) sono coinvolti nella definizione e nella produzione degli interventi programmati.

Nei fatti la Pubblica Amministrazione mantiene compiti di coordinamento, controllo e garanzia dei livelli minimi, mentre i servizi sono erogati attraverso fondi pubblici specifici (vedi più sotto i 10 fondi principali) per mezzo di gare d’appalto nelle quali i soggetti del privato sociale si aggiudicano la gestione dei vari servizi.

Va sottolineato che, anche in linea con i principi del federalismo fiscale, il privato sociale è di fatto invitato a trovare sul mercato finanziamenti. Il fine è quello di ridurre la spesa pubblica in materia e favorire il “sussidio” economico del privato rispetto al pubblico (lo stesso principio si ha, per esempio, nella scuola, dove la L. 62/00 riconosce la valenza pubblica del servizio svolto dalle scuole private paritarie connotandole come “istituzioni scolastiche pubbliche non statali” e prevedendone il finanziamento pubblico, reso possibile dalla riforma del Titolo V, attraverso le Regioni).