Condizioni e lotte operaie nel mondo

Corea del Sud

Gli operai della fabbrica Ssangyong di Pyeongtaek, circa 70 km a sud di Seoul, continuano ad occupare gli impianti da più di due mesi. La fabbrica, la quinta nel paese nel settore automobilistico, ha dichiarato bancarotta ed ha avviato il licenziamento di più di 2.600 operai. Un migliaio di loro, sostenuti dalle famiglie, si sono quindi asserragliati negli impianti, rifiutando licenziamenti, precarietà e delocalizzazione. Attualmente sono chiusi nell’impianto di verniciatura e stanno resistendo a tutti gli attacchi di polizia e squadracce paramilitari.

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Senza retorica, si tratta di una lotta davvero eroica. Gli operai hanno dapprima cercato di bloccare gli accessi con pneumatici incendiati, poi hanno risposto alle cariche con mazze di ferro, molotov e bulloni sparati con fionde. All’interno dell’edificio assediato dalla polizia non viene fatto entrare più nessuno: sono bloccati i familiari con cibo e beni di prima necessità assieme al personale medico che dovrebbe soccorrere i lavoratori. Nel frattempo vengono lanciate dai blindati e dagli elicotteri grosse quantità di gas lacrimogeni di natura tossica. Parecchi operai riportano grosse vesciche, escoriazioni, pericolose ferite agli occhi. È stata tagliata anche l’acqua degli impianti antincendio, per cui non c’è alcuna possibilità di sciacquare la pelle.

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Purtroppo la solidarietà degli altri lavoratori si limita ad alcuni episodi sporadici, senza superare le indicazioni dei sindacati, assai limitate e ritardate. Il 16 luglio, seguendo il sindacato KMWU, altri lavoratori hanno finalmente manifestato davanti al municipio della città di Pyeongtaek. Ma la manifestazione era limitata a circa 3 mila persone. Quando poi i lavoratori, in una assemblea organizzata sul posto, hanno deciso di marciare verso la fabbrica, sono stati bloccati dalla polizia che ha subito arrestato una ottantina di persone.

L’appello alla solidarietà dei lavoratori coreani è quanto mai urgente. Solo l’allargamento della lotta e la sua generalizzazione ad altri settori della classe operaia può dare vigore all’iniziativa coraggiosa degli operai della Ssangyong. Meritano tutto il nostro sostegno!

Francia

I lavoratori di diverse aziende in fallimento hanno cominciato a pensare che, privati del posto di lavoro e del salario, ormai hanno ben poco da perdere. Nei mesi scorsi si sono succedute le notizie dei sequestri di padroni e dirigenti di aziende in crisi, per ottenere sussidi e “garanzie”. È successo alla Caterpillar di Grenoble, alla 3M di Pithiviers e alla Sony nelle Landes.

Nei giorni scorsi 366 lavoratori della New Fabris di Chatellerault, nell’ovest della Francia, hanno adottato forme di lotta ancora più drastiche. Hanno dislocato bombole di gas in vari punti della fabbrica e minacciano di far saltare tutto in aria, se Peugeot, Citroen e Renault non verseranno ad ogni dipendente licenziato una indennità di 30 mila euro. Si tratta di un vero e proprio ultimatum, che scadrà alla fine di luglio.

L'azienda, di proprietà italiana, produceva componentistica per automobili. Da giugno è in liquidazione e lascerà qualche centinaio di operai senza lavoro. In una fase di crisi acuta come quella attuale, le possibilità di trovare un nuovo lavoro, per operai che hanno spesso più di cinquant’anni, sono praticamente nulle. La cifra richiesta è la stessa che i gruppi automobilistici ex-clienti hanno già versato ai dipendenti di un’altra fabbrica di componentistica, del gruppo Rencast. Psa e Renault, proprietarie di componenti e macchinari presenti nella fabbrica, il cui valore assommerebbe a 4 milioni di euro, hanno però finora respinto tutte le richieste.

L’esempio è stato seguito subito dai lavoratori della Nortel, nella regione parigina. La filiale francese del produttore canadese di sistemi di comunicazione ha infatti avviato a fine giugno procedura di fallimento. Gli operai in sciopero hanno piazzato decine di bombole di gas e minacciano ora di far saltare la fabbrica. La richiesta è di 100 mila euro per ogni licenziato. Sono previste a fine luglio delle riunioni del consiglio d’amministrazione, che dovrà decidere un piano di tagli occupazionali. I lavoratori ripetono: “Se finisce per noi, finirà per tutti”.

Cina

La notizia della fusione di due gruppi industriali dell’acciaio, la Jianlong Steel Holding Company e il gruppo statale Tonghua Iron e Steel, ha scatenato violente proteste nella provincia nordorientale di Jilin. Circa 30 mila lavoratori, posti di fronte alla prospettiva di ristrutturazioni e licenziamenti, hanno cominciato a dare la caccia ai dirigenti. Il direttore generale della Jianlong, Chen Guojun, è stato letteralmente ammazzato di botte dagli operai, infuriati per vedersi imporre ulteriori pesanti sacrifici da chi vive sul loro sudore. Di fronte al nuovo giro di vite, i più di 300 mila euro intascati l’anno scorso dal direttore sono risultati, comprensibilmente, uno schiaffo agli operai che non ne portano a casa più di 200 al mese. Ma la rabbia non si è affatto esaurita lì: gli operai hanno bloccato le strade della zona, fermando anche una ambulanza inviata per soccorrere il dirigente. Nei successivi scontri con la polizia, alcune auto delle forze dell’ordine sono state distrutte, e un centinaio di persone sono rimaste ferite. Di fronte all’esplosione incontrollata della rabbia operaia, il piano di fusione è stato cancellato, almeno per il momento.

La Cina è attualmente il maggior produttore e consumatore di acciaio del mondo. Da tempo il governo intende procedere ad una complessiva riorganizzazione del settore per abbassare i costi di produzione. Ma questi tentativi hanno finora incontrato la fiera resistenza dei lavoratori. Nell’attuale situazione di grave crisi globale, inoltre, anche le amministrazioni locali e centrali sono preoccupate per le ripercussioni sociali che potrebbero scaturire da ristrutturazioni drastiche.

Per cambiare davvero qualcosa, però, gli operai dovranno indirizzare la loro giusta rabbia verso la radice del problema, per eliminare lo sfruttamento del loro lavoro da parte della minoranza borghese, ossia i padroni, sia in veste statale che privata, che controllano i mezzi di produzione. La difesa di oggi, necessaria, deve servire anche a preparare l’attacco di domani.

Mic, 2009-07-28

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.