La protesta "G20 Meltdown" - Una dimostrazione o un diversivo?

Noi non siamo solo testimoni di un tracollo finanziario. Siamo nella morsa di una crisi dell’intero sistema capitalista, in realtà iniziata nel 1971. Oggi stiamo vivendo lo scoppio della bolla speculativa basata sul capitale fittizio. E a finire in rovina saranno i creatori di ricchezza reale - i lavoratori salariati di tutto il mondo.

L’irrazionalità del capitalismo è messa completamente a nudo. Giusto per fare un esempio, negli Stati Uniti ci sono 4 milioni di case vuote, ma centinaia di migliaia di persone vivono in “tendopoli” o in parcheggi per roulotte.

Non è una sorpresa che molti vogliano esprimere la loro rabbia. Ancor meno è una sorpresa che questa rabbia si focalizzi contro la riunione del G20, ossia dei 25 più potenti leader, a Londra.

Tuttavia, se messe a confronto con la crisi che non sono in grado di risolvere, queste proteste probabilmente diventeranno un gradito diversivo per Brown, Obama, Merkel e Co. Piuttosto che essere qualcosa da temere, le proteste sposteranno l’attenzione lontano dai contrasti tra le grandi potenze e dalla fallita cooperazione per impedire il peggioramento della crisi. Al più, le proteste saranno un indice del livello di “agitazione sociali” che in pratica tutti i politici del mondo si stanno preparando ad affrontare man mano che la situazione economica diventa più grave. Ma mentre vengono cacciati partiti e sostituiti vari governi - a partire dalla Lituania, l’Ungheria e la Repubblica Ceca, fino al Madagascar - come conseguenza diretta della crisi economica, finora non è stata posta una alternativa al capitalismo stesso. Nelle metropoli del capitale, lo stato non solo è perfettamente intatto, ma è ancora indicato come l’ultima speranza di salvezza.

Il capitalismo non è riformabile

Infatti gli organizzatori di questa settimana di mobilitazione auspicano proprio che lo stato capitalista si faccia portatore di una soluzione alla crisi. Per loro si tratta di una occasione per esercitare pressione sul G20 (o semplicemente su Gordon Brown) per la creazione di qualcosa che allievi la situazione. I sindacati, a fianco di organizzazioni di beneficenza e vari attivisti contro la povertà, sono in prima linea per chiedere con la marcia del 28 marzo che il G20 “metta davanti le persone”, uno slogan riformista particolarmente mieloso, che tradisce la completa incapacità di comprendere l’enormità della crisi, e che senza dubbio sarà preso per buono dalla maggior parte dei lavoratori, quando passerà in tv.

Gli organizzatori delle proteste del 1o aprile non sono intenzionati a essere bocche mielose. Sul cosiddetto “giorno dei pazzi della finanza”, stanno concentrando sforzi congiunti il rinnovato movimento “no global”, quello di “reclama le strade”, sedicenti anarchici e attivisti dell’ambientalismo, per una apparente protesta contro il capitalismo stesso. Salvo che, come sempre, hanno solo una visione ristretta di quello che è il capitalismo. Se il sito del G20 Meltdown non usa tante parole per fugare l’idea di “baroni immersi nel fumo di sigaro, con cappelli a cilindro e un sacco di soldi”, l’attacco contro il mondo sregolato del libero mercato di capitalisti “evasori fiscali, che si abbuffano di bonus e ci privano delle pensioni” esprime la stessa idea. Dietro a tutti gli annunci radicali c’è da sospettare il desiderio che un capitalismo “regolato” riformi se stesso in qualcosa di più umanitario. Come interpretare altrimenti un “anti-capitalismo” che non si concentra sulla necessità di abolire il lavoro salariato, il cui sfruttamento è la fonte di tutta la ricchezza capitalista?

E come ulteriore frammentazione dell’opposizione, la marcia contro la guerra in Afghanistan della coalizione Stop the War si svolgerà in un giorno diverso. Come se la guerra imperialista possa essere trattata separatamente dalla crisi capitalista. Questo non fa che confermare la natura frammentaria della “agitazione sociale”, che non rappresenta ancora alcun pericolo per il capitalismo (anche se il partito laburista di Gordon Brown è preoccupato “per la sua pelle”, dal punto di vista elettorale).

C’è una alternativa

Il fatto è che questa crisi di proporzioni gigantesche, che non si è generata semplicemente a causa di avidi finanzieri e sistemi bancari incontrollati (anche se questi parassiti meritano di perdere tutto e di più), è lungi dall’essere conclusa. Nessun “allentamento dei cordoni” da parte del governo o l’acquisto di asset tossici possono risolvere la crisi, perché la crisi non riguarda la mancanza di “liquidità”, ma il rallentamento e la paralisi dell’accumulazione a causa della caduta del saggio del profitto. Non è un caso che vengano tracciati dei paralleli tra la situazione di oggi e gli anni della Grande Depressione prima della Seconda Guerra Mondiale. Il futuro per il capitalismo è veramente così desolante. L’unico modo per garantire un futuro più luminoso è quello di porre fine al capitalismo nel suo complesso, non solo ad alcuni dei suoi aspetti più stridenti.

Questo può essere fatto solo dalla classe operaia: la classe il cui lavoro è l’unica fonte di reale valore e la base dei profitti capitalisti. Tanto per iniziare, una importante dimostrazione dovrebbe essere accompagnata da scioperi nel giorno effettivo del meeting G20 (non qualche sabato precedente). I 600 mila che si sono appena aggiunti alle stime sulla disoccupazione potrebbero essere un esercito, che si unisce a quello attuale. Ma anche questo sarebbe solo un primo passo. Abolire il capitalismo non può essere fatto senza un chiaro programma anti-capitalista, che mira ad abolire il denaro e il lavoro salariato assieme ai capitalisti e i loro profitti. Un movimento basato attorno a tale programma internazionale sarebbe una vera e propria arma puntata al cuore del capitalismo. Questo è ben lungi dalla protesta contro il G20, ma è la logica che deve guidare la costruzione di un efficace movimento contro la crisi epocale a cui nessun politico al mondo può trovare una soluzione. Questo è ciò che stiamo cercando di costruire. Sentiamo voi ora.

_-- CWO, sez. inglese del BIPR

26 marzo 2009_

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.