Sul pacchetto-clima europeo: possiamo crepare tutti, purché il profitto non sia toccato

Legare il cane con la salsiccia.

Con questa colorita espressione si potrebbe qualificare la pantomima della banda Berlusconi rispetto al cosiddetto “pacchetto clima”, in discussione tra i paesi dell'Unione Europea, che dovrebbe essere approvato il prossimo dicembre.

Sulla scia del protocollo di Kioto sull'ambiente - l'aspirina per la polmonite - l'UE ha infatti elaborato un serie di misure dirette a contrastare - dice - i cambiamenti climatici originati dall'ormai famigerato effetto-serra, sintetizzabili nella formula 20-20-20-20. In breve, entro il 2020 i paesi aderenti dovrebbero ridurre di un 20% le emissioni di CO2, aumentare l'efficienza energetica (macchinari, autoveicoli, elettrodomestici, ecc.) del 20% e ricavare il 20% dell'energia prodotta dalle fonti energetiche rinnovabili non inquinanti.

Il problema, come al solito, è che misure di tal genere implicano trasformazioni significative prima di tutto nel settore produttivo e, a seguire, in tanti altri ambiti della vita quotidiana, dai trasporti ai consumi, perché tutto ha bisogno di energia per essere prodotto o per essere messo in movimento.

Finora, è risaputo, gli idrocarburi e il carbone fanno la parte del leone, ma è altrettanto noto che, procedendo su questa strada, entro pochi decenni le condizioni ambientali in cui viviamo potrebbero essere irrimediabilmente sconvolte, con conseguenze catastrofiche per gli essere viventi.

Tutto ciò è scontato, meno che per i disinformati, gli ottusi - numerosi, per esempio, tra i fanatici religiosi di ogni parrocchia - e gli interessati, cioè per quei settori del capitale che dovrebbero sostenere costi elevati nella riconversione del loro apparato tecnologico e, va da sé, per le imprese legate alla produzione tradizionale di energia, nucleare incluso.

In generale, più il sistema produttivo è avanzato, minori sono le difficoltà per il suo ammodernamento “ecologistico” (sempre nel quadro del mondo borghese, ovvio). Naturalmente, è una regola di massima, con le dovute e numerose eccezioni, dato che, per esempio, la Germania, pur essendo addirittura in anticipo su alcuni obiettivi europei, preme perché a certi settori chiave della sua industria, altamente inquinanti, (acciaio, chimica di base, ecc.) sia concessa una dilazione ossia la possibilità di spostare più in là nel tempo l'adeguamento ai parametri del “pacchetto”.

Ma la Germania non è sola, a puntare i piedi ci sono, per esempio, i paesi dell'ex blocco sovietico - che chiedono comprensione per la loro arretratezza - e, manco a dirlo, il governo italiano che, su mandato degli indu striali, si è lanciato in un'isterica campagna di attacchi e ricatti nei confronti dell'Unione Europea.

Il motivo è il medesimo avanzato da altri settori nazionali del capitalismo europeo, cioè che i costi comprometterebbero la competitività del rispettivo sistema-paese, a vantaggio di concorrenti meno o per niente interessati alle problematiche ambientali, quali, manco a dirlo, la Cina nonché gli USA.

Berlusconi ha aperto le danze secondo il suo stile, minacciando veti (non previsti dai regolamenti di Bruxelles) e, a ruota, la sua ineffabile corte ha fatto a gara su chi le spara più grosse: Matteoli che addirittura propone di buttare nel cestino il protocollo di Kioto (già fatto, per altro, visto che in Italia le emissioni di CO2 sono aumentate, invece di diminuire), Brunetta che straparla di “follia” nel caso in cui l'Italia dovesse essere costretta ad adottare il “pacchetto”, per finire col ministro (della distruzione) dell'ambiente Prestigiacomo (ultimo segmento della salsiccia di cui sopra) che offre il suo petto ai fucili dell'ambientalismo (?) europeo: l'imprenditoria italica stia tranquilla, le misure anti-inquinamento dovranno passare sul suo cadavere (o quasi).

Tanto eroismo anti-ecologista forse si spiega con l'appartenenza della ministra a una famiglia di industriali con interessi nel settore chimico, il che, per un ministro dell'ambiente, è un buon punto di partenza...

Insomma, il furore anti-ambientalista del governo italiano è tale che persino Sarkozy passa per un estremista alla Greenpeace. I berluscones - istigati dalla Marcegaglia - contestano le cifre della UE relative ai costi necessari per attuare le eventuali direttive europee, affermando che le spese per l'Italia sarebbero anche del 100% superiori a quelle indicate da Bruxelles; peccato, però, che diano solo i numeri, senza mai offrire un quadro dettagliato e circostanziato di tali cifre.

Dietro a tutta 'sta squallida cagnara borghese dai risvolti criminali (considerati i disastri che può contribuire ad affrettare; senza contare l'epidemia di tumori in atto, legata all'inquinamento) c'è semplicemente che in Italia le imprese interessate alle tecnologie ambientaliste sono poco sviluppate e/o poco numerose, che ancora questo settore non è abbastanza redditizio e ha bisogno di forti aiuti statali.

Il capitalismo italiano non vuole affatto sganciarsi dal “concerto europeo”, ma estorcere quanto più possibile deroghe alle leggi comunitarie in tema di finanziamenti diretti alle imprese.

Questo vale, ovviamente, anche per altre borghesie dei “27”, ma in misura particolare per quella italiana che, in barba al liberismo sbandierato un giorno sì e l'altro anche, è sempre stata abituata ad avere dallo stato di tutto e di più.

Al contrario, una parte dei capitali europei, al momento meglio attrezzati dei diretti concorrenti americani, intravvede nell'ambiente un colossale affare, meglio, un affare di portata storica; da qui, il difficile compito di mediazione che tocca alla commissione europea.

Una cosa è però certa: ancora una volta, i costi di questo imbroglio verranno scaricati sulle spalle di chi da sempre è costretto a pagare in termini di maggior sfruttamento, degradazione delle condizioni di vita, avvelenamento ambientale. (1)

cb

(1) PS. Ad articolo concluso, pare che sia stato costituito, tra le Confindustrie europee, un fronte comune per chiedere deroghe e “comprensioni” varie a Bruxelles: vedi Il Sole24 ore dell'8-11-2008. Forse è meno difficile prevedere chi, a dicembre, avrà, in ultima analisi, partita vinta.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.