Le lotte dei lavoratori iraniani

La repressione è il vero volto del regime degli ayatollah - Riportavamo, sul numero di febbraio, un resoconto delle lotte dei lavoratori dei trasporti in Iran. I nostri compagni inglesi nell’ultimo numero di Revolutionary Perspectives approfondiscono l’analisi di esse. Di seguito ne pubblichiamo la traduzione.

Dopo l’articolo apparso su Battaglia n. 2/2006 abbiamo ottenuto ulteriori informazioni. Ci sono 17.000 autisti nella grande Teheran che guadagnano circa 200x al mese in un paese dove la soglia di povertà è fissata a 270$ mensili. Hanno iniziato la loro campagna richiedendo al Consiglio islamico un aumento salariale, è stato loro promesso una comprensivo adeguament-

o ma, dopo anni di attesa, non è successo nulla e così hanno iniziato ad organizzare un sit-in in un deposito lo scorso ottobre. Immediatamente la “comprensione” del regime islamico si è trasformata in intimidazione. I lavoratori individuati come partecipanti ai sit-in ricevevano a casa telefonate minatorie, insinuando che loro fossero pedine dello “straniero” (accusa sempre pronta contro chiunque si batta per i propri interessi contro i propri padroni NdT), oppure del Tudeh (il vecchio partito comunista iraniano che non esiste più). Nulla è stato fatto per individuarne la causa nei miserabili salari guadagnati per i lunghissimi orari di lavoro sostenuti nelle spaventosamente inquinate strade di Teheran.

In ogni caso i lavoratori non hanno mollato. In circa 5000 si sono organizzati nel sindacato dei lavoratori dei trasporti di Teheran proclamando uno sciopero per il 28 gennaio. A quel punto la repressione del regime è aumentata. Un riconosciuto leader degli autisti, Mansour Ossanlu, è stato arrestato e rinchiuso nel famoso carcere di Evin. È stato questo episodio che ha portato alle proteste descritte nell’articolo di Bc prima citato e a cui hanno fatto seguito numerosi arresti. All’alba del 26 gennaio, giusto due giorni prima della sciopero, la polizia segreta (Savem) ha fatto una retata contro molti dei capi dello sciopero. Arrivando a casa di Yaghub Salimi, e non trovandolo, hanno picchiato la moglie e la giovane figlia prima di trascinarle in prigione (il Manifesto 25/2/06).

Lo sciopero è comunque andato avanti. C’è stato un blocco totale in tutti i depositi poichè anche quelli che non avevano aderito al sindacato sono usciti fuori. Si evince dalle cronache che ci sono state espressioni di solidarietà da parte di altri lavoratori ma ad ora non ne conosciamo i particolari. Il regime islamico non ha esitato ad arrestare centinaia di lavoratori (da 600 a 1000) denunciandoli come strumenti di praticamente tutti i possibili oppositori del regime e tacendo sempere sul fatto che fossero stati spinti alla lotta dalle loro condizioni economiche.

L’islam politico significa sfruttamento capitalista

In ogni caso quello che hanno dimostrato con la loro lotta va molto al di là delle loro necessità immediate. Hanno dimostrato che il capitalismo, qualunque sia la forma politica che si impone su di noi, rimane capitalismo. In quanto tale è obbligato a spingere in basso il prezzo della forza-lavoro così che la classe dominante, sia individualmente che collettivamente, possa appropriarsi della ricchezza che produciamo. Diversamente dagli studenti che protestarono a Teheran nel 1999 i lavoratori dei trasporti non avevano armi politiche da affilare. Ora le hanno. Il mito che una repubblica islamica è lontana dalla divisione in classi, dalla lotta di classe e da tutti i problemi del capitalismo, è stato smascherato. Ahmadinejad è stato eletto lo scorso anno su di una piattaforma populista per rimediare la situazione critica di quei mostazafin (espropriati) che stavano perfino peggio che sotto lo Shah (vedi sul numero precedente della rivista inglese: Iran - the next target for US imperialism?). Sebbene la disoccupazione ufficiale sia solamente del 13% questa è largamente sottostimata. Non vengono conteggiate le donne, per esempio, ed in termini europei sarebbe oltre il 30%. Ma la repressione dei lavoratori dei trasporti di Teheran non ha semplicemente smascherato il mito di Ahmedinejad “il presidente del popolo”, ha anche smascherato la rivendicazione dell’Islam politico di essere alternativo al capitalismo ed al socialismo. La “società organica” dove non ci sono classi ma dove i ricchi donano volontariamente il 10% delle loro ricchezze ai poveri è un mito. La società islamica è basata sullo stesso modo di produzione dell’occidente o di qualsiasi altro luogo del pianeta. La sua esistenza dipende dal selvaggio sfruttamento del lavoro di milioni di esseri umani.

Gli scioperi a Teheran hanno anche dimostrato che la Repubblica islamica priva i lavoratori persino dei più elementari diritti umani che il capitalismo solitamente concede alla classe lavoratrice. Quegli assurdi personaggi che vivono in occidente e si dicono socialisti, che non riconoscono che gli islamici, in tutto il mondo, non sono anti-imperialisti ma, al massimo, semplicemente anti-americani, dovrebbero prendere nota. Voi vi state schierando con i nemici della classe operaia e la classe operaia un giorno si prenderà la sua rivincita contro quelli che oggi sono i suoi più brutali sfruttatori. Il nostro nemico è, ovunque, il modo di produzione capitalista. Che indossi la giacca e la cravatta o un cappello da mullah, è sempre e solo capitalismo.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.