Berlusconi-Previti, giustizia su misura

Tempo fa, sul Corsera, Galli Della Loggia faceva notare che "per lungo tempo, in Italia, la corruzione economica e politica non fu perseguita semplicemente perché la stragrande maggioranza dell'ordine giudiziario si sentiva culturalmente, socialmente e politicamente omogenea a coloro che avrebbe dovuto perseguire". Era, per così dire, di destra e veniva attaccata dalla sinistra. Rivoltando la frittata, è quello che oggi sostengono Berlusconi e il suo entourage, inveendo contro le cosiddette toghe rosse, di provenienza sessantottina. Quel sessantotto piccolo borghese che allevò e successivamente fornì personale politico e amministrativo ad entrambi gli attuali poli istituzionali.

A fronte del corto circuito che sarebbe esploso fra giustizia e politica (con la magistratura che, secondo alcuni, reagì alle sopraffazioni e allo strapotere dei politici), lo stesso opinionista si richiamava alla "ovvia storicità della istituzione giudiziaria", avanzando il legittimo sospetto che i giudici (anch'essi, in fondo, creature umane e non eroici Cavalieri della Tavola Rotonda...) possano aver obbedito a "condizionamenti esteriori che prescindevano del tutto dalla verità. Condizionamenti di ceto, di opinioni e di equilibri politici, e di formazione".

Lo spettacolo offertoci oggi, dopo la "persecutoria" sentenza contro Previti, è certamente tra i più squallidi. Il basso profilo degli attori, di ruolo o improvvisati, segue un copione che da decenni si replica fra accordi sottobanco e patti più o meno occulti. Si pensava che la dialettica politica tra le fazioni borghesi in Italia, paralizzata dalla guerra fredda fra Est ed Ovest, avrebbe forse potuto risvegliarsi con il crollo dell'Urss. In effetti, settori della magistratura si prestarono per favorire un cambio della guardia nel personale politico, giunto ai limiti estremi della corruzione e quindi della inefficienza. Una situazione che i poteri forti della borghesia (Confindustria e Banche) non sopportavano più, e che intralciava i loro interessi particolari e quelli del capitalismo in generale. Il vecchio e logoro apparato politico e amministrativo andava cambiato per "risanare" l'Azienda Italia. Ma nel cambio si inserì un personaggio, Berlusconi, sul quale la maggior parte della borghesia non aveva puntato le sue carte. Il ribaltone aprì poi le porte del governo all'Ulivo, ma alla fine la borghesia ritornò sui propri passi e anche il "popolo" richiamò il Principe a Palazzo.

In tutta la faccenda, l'autonomia della magistratura, tirata in ballo da destra e da sinistra fra bande in lotta... fraterna, diventa il feticcio che copre il reale potere e l'assoluto dominio del capitale e della classe borghese. Al di là delle apparenze invocate, tutto è consentito e alla fine legalizzato negli scontri tra fazioni impegnate sul terreno degli intrighi e degli intrallazzi affaristici, dove si svolgono giochi tutti interni al sistema borghese e sempre e in definitiva contro il comune nemico, il proletariato.

Lo Stato, che si atteggia ad ente sopra le parti e le classi, avalla nei fatti la tesi della impunibilità dei suoi servitori nelle loro funzioni pubbliche, e, a questo punto, anche private.

Fra i cortigiani, saliti sul carro del Principe (non per... affari, ma per... ideali!), anche un Bossi, con i suoi "patrioti padani", spara oggi a zero su toghe e Preture ed incita a "cacciare i magistrati politicizzati, quelli che si sono comportati da malviventi su istigazione di certi personaggi di sinistra che nelle istituzioni e nel governo istigavano in modo consapevole la repressione delle idee". (Corsera) Dopo la personale grazia concessagli da Berlusconi (definito "mafioso" e... altro), il capo delle camicie verdi vuole assicurarsi un futuro tranquillo. Altrimenti, dice, "se vengo processato per le mie idee da un Papalia di turno, ho la matematica certezza di essere mandato alla forca ancora prima di potermi difendere". Meglio mandarci altri (in nome della democrazia, s'intende, e della "legittima maggioranza parlamentare"), come quei "cittadini" che, fuori dalle consorterie del potere e delle sue opposizioni istituzionali, magari sostengono teorie e critiche che non possono certamente trovare simpatia in alcuna parte della magistratura e della giustizia borghese. "Cittadini" che non possono (né vogliono di certo) contare su briciole di "carità costituzionale e di patria", ben conoscendo, per antica esperienza, le imparzialità, gli arbitrii e le persecuzioni riservate alle loro "idee politiche" di stampo... bolscevico. Le istituzioni da salvaguardare, chiamate in causa da destra a sinistra, sono la facciata di un contenitore al cui interno è d'obbligo legiferare, amministrare e vigilare (o reprimere) in funzione degli interessi e delle necessità del capitale. E in questo, gli uni e gli altri sanno fare il loro dovere.

Ora che anche la sentenza del processo Sme/Ariosto incombe, Berlusconi perde la pazienza e tuona: cosa c'entrano i magistrati non eletti dal popolo che, invece, a me ha dato il potere? E contrappone a quello dei giudici il suo teorema, fiutando i possibili sgambetti di una borghesia che, in fondo, se solo potesse contare sull'altra alternativa politica, litigiosamente assente, sarebbe pronta per aprire le porte ad una più sicura gestione del suo potere di classe, che così rischia una eccessiva personalizzazione. Non solo di facciata ma anche di interessi e affari privati. Come commentava il voltabretelle Ferrara ai tempi di Craxi, il tutto andrebbe "archiviato con un po' d'equilibrio e senso della misura", affinché la barca non corra veramente il pericolo di affondare. Si riaprano i giochi (e non solo fra maggioranza e opposizione), e se non l'immunità parlamentare per tutti, si salvi almeno il premier con la proposta Maccanico. Ma se Previti, facendo suo il motto del premier, decidesse di "reagire per tempo"? Il sacco è vuoto o ancora pieno?

dc

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.