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Home ›Pubblica o privata: chi finanzia la previdenza Usa?
Dopo il crollo della Enron, alcuni mesi fa, e nelle cui azioni e obbligazioni si trovavano congelate le pensioni di centinaia di migliaia di operai e impiegati, sono state denunciate perdite dei fondi pubblici per oltre 5 miliardi di dollari e cifre maggiori per quelli privati. Centinaia di milioni di dollari si sono volatizzati per i dipendenti pubblici degli Stati dell'Ohio, New York City, Georgia e dell'Università della California, oltre alle migliaia d'impiegati della stessa Enron.
Il mercato azionario è diventato il feticcio attorno al quale i suoi cinici ed avidi sacerdoti hanno trascinato masse d'ingenui risparmiatori e aspiranti pensionati. Un feticcio che si sgretola con lo sgonfiarsi della bolla speculativa basata sulla finanziarizzazione selvaggia, e dopo aver soddisfatto gli appetiti di amministratori e gestori di fondi pensione, grandi corporations e istituzioni finanziarie, attorno ad un piatto che si aggirava attorno ai 7 mila miliardi di dollari alla fine del dicembre 2000.
Sono 45 milioni i sottoscrittori americani dei conti pensioni individuali legati all'andamento del mercato finanziario, e 40 milioni quelli partecipanti ai fondi a prestazione definita, cioè con futuri assegni proporzionali ai contributi versati. In condizioni di crisi economica e fallimenti industriali, le pensioni diventano a rischio certo. Ne sanno qualcosa le decine di migliaia di metalmeccanici americani che in aggiunta alla deindustrializzazione del settore, nell'Ohio e nella West Virginia, si sono trovati licenziati e con fondi pensione paurosamente ridotti. Decine di migliaia di pensionati hanno perso le loro indennità; altri, con l'interruzione delle contribuzioni, si sono trovati con piani previdenziali quantomeno sottofinanziati.
Medesima situazione in Gran Bretagna a seguito dei crolli azionari: milioni di lavoratori, sottoscrittori dei piani pensionistici a prestazione definita, sono praticamente senza futuro. Il Daily Mail di pochi mesi fa denunciava:
negli ultimi dieci anni un piano aziendale su tre è stato smantellato, per un totale di 58.000. Una intera generazione di pensionati si trova di fronte ad una crisi di liquidità...
Il tutto si riduce, col passar del tempo, ad una colossale truffa che condanna i proletari delle stesse maggiori potenze industriali, oltre che ad un presente incerto, anche ad un futuro senza speranze, da giocarsi, nei migliori dei casi, sulle soglie della povertà e della pura e semplice sopravvivenza. L'impossibilità oggettiva di risolvere la questione restando nelle compatibilità del modo di produzione e distribuzione capitalistico,è confermata dalle proposte di riforme avanzate dai rispettivi governi, di Londra e di Washington, nel tentativo di arginare il panico e di scongiurare i timori di una non improbabile rivolta. Qualche reazione, che potrebbe diventare incontrollabile a lungo andare, comincia qua e là a serpeggiare. Tutte le proposte si riducono, non potrebbe essere altrimenti, a cure peggiori del male. La "prevenzione della crisi di invecchiamento", fallita la strategia pubblica, cerca di avventurarsi in quella (suggerita dalla Banca Mondiale) della privatizzazione, cioè della previdenza data in appalto ad un fornitore commerciale. La pensione pubblica complementare verrebbe abolita, l'età pensionabile elevata a 70 anni e la prestazione pubblica di base dovrebbe essere limitata a "un livello di sopravvivenza". Con la consueta dose di ipocrisia, questa riforma costituirebbe "un forte incentivo sia per risparmiare sia per lavorare"!
(Financial Times)
Ciò che accade in Gran Bretagna e negli Usa si sta ampliando globalmente nella prospettiva di dare sviluppo all'industria dei servizi finanziari. Lavoro usa e getta, pensioni fai da te: prendere o lasciare, secondo la spietata logica del capitale e le sue "soluzioni" con piani e sistemi di previdenza, pubblici o privati, basati su un finanziamento che non può che seguire e al tempo stesso complicare la crisi che attanaglia il capitalismo. Compresa la proposta che, fra altre sofisticate alchimie finanziarie, si baserebbe sulla raccolta delle ingenti somme necessarie per le prestazioni pensionistiche attraverso il ricorso alle stock options. Si tratta di quelle opzioni a prezzo scontato sulle emissioni delle imprese azionarie, che dovrebbero - da premi aziendali a dirigenti e dipendenti meritori, una delle cause dei crolli borsistici americani - diventare per legge un obbligo di emissione per le imprese quotate in Borsa, equivalenti al 10 o 20% dei profitti annuali e destinati ai fondi fiduciari delle varie previdenze.
Senza entrare nei dettagli del funzionamento di questi meccanismi di ipotetici sostegni ai fondi sociali, comunque alimentati dalla speculazione finanziaria e dalle manovre del mercato obbligazionario, è fin troppo evidente la riproposizione di una riscaldata minestra: quella dello sviluppo e del "controllo democratico dell'economia capitalistica". Mai della sua distruzione e del suo superamento. Ci mancherebbe!
"Il prelievo azionario per contribuire al finanziamento di un sostema universale di pensione complementare" è lo slogan che va a completare il quadro illusorio e conservatore di "misure" come la Tobin Tax e il "bilancio partecipativo". Ovvero le armi spuntate con cui, all'interno di "proprie strategie economiche" gestite da fantomatici "comitati regionali e democratici" sono chiamati ad un "incontro proficuo" - non si sa bene per chi e per che cosa - i no-global e i sindacati, autorità locali e nuovi movimenti sociali.
DCBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio 2003
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