Il dollaro in continua discesa - E il sistema monetario internazionale va in fibrillazione

Negli ultimi dodici mesi il sistema monetario internazionale è in fibrillazione per la continua discesa del dollaro.

Dopo aver schiacciato per anni le altre valute, la moneta statunitense ha iniziato una repentina discesa che non sembra destinata a fermarsi; anzi secondo gli analisti nel corso del 2003 il dollaro è destinato a svalutarsi ulteriormente. Su quali siano i fattori economici e finanziari che spingono in basso il valore del dollaro, gli economisti borghesi sono, come spesso accade, alquanto imprecisi e colgono solo gli aspetti superficiali del fenomeno, sottovalutando che le dinamiche monetarie rappresentano solo un aspetto dei mutamenti in corso nei rapporti interimperialistici tra le aree più sviluppate al mondo.

Partiamo da un semplice dato: il rapporto tra il dollaro e l'euro negli ultimi 24 mesi si è completamente capovolto. Agli inizi del 2001 per acquistare un euro erano sufficienti 0,81 dollari, mentre agli inizi di questo mese per acquistare un euro occorrono ben 1,08 dollari. Siamo in presenza di una svalutazione del dollaro di oltre il 20% che non trova una sua giustificazione nella migliore congiuntura dell'economia reale dei paesi dell'euro. Anzi, in questi ultimi due anni, l'economia europea ha subito un fortissimo rallentamento, tanto che paesi come l'Italia nel periodo considerato hanno avuto una crescita del prodotto interno lordo prossima allo zero. Poco meglio hanno fatto Germania e Francia che, grazie all'euro svalutato, hanno sopperito alla contrazione del mercato interno incrementando le esportazioni di merci verso i paesi asiatici e il mercato statunitense. Sfruttando la debolezza dell'euro i due più importanti paesi dell'Unione europea sono riusciti a galleggiare oltre la linea della recessione, facendo registrare un incremento annuo del Pil superiore all'uno percento.

Sull'altra sponda dell'Atlantico, l'economia americana, in linea con quella europea, ha subito negli ultimi due anni una brusca frenata. I tragici eventi dell'undici settembre 2001, nonostante la martellante propaganda borghese indichi in tali fatti l'origine della crisi dell'economia mondiale, sono estranei al crollo della new economy e allo scoppio della bolla speculativa che ha visto sgonfiarsi come un palloncino l'indice Nasdaq della borsa di New York. La crisi economica del capitalismo ha origini ben diverse, trovando i propri meccanismi nelle contraddizioni del modo di produzione capitalistico. Rispetto al vecchio continente gli Stati Uniti in questi ultimi mesi hanno avuto una congiuntura economica più dinamica tanto che la crescita del prodotto interno lordo è stato nel corso del 2002 del 2%, ben al di sopra della media dei paesi europei. Le motivazioni della discesa del dollaro non vanno quindi cercate in una migliore situazione dell'economia europea, ma nelle contraddizioni che si sono accumulate in questi ultimi anni nel cuore dell'imperialismo statunitense e nelle sue forme di dominio.

Per capire l'attuale discesa del dollaro bisogna prima di ogni cosa comprendere le dinamiche che hanno portato la moneta americana a rivalutarsi negli ultimi anni nei confronti delle altre monete. Oltre ad essere la moneta più importante del sistema monetario internazionale, quella maggiormente utilizzata negli scambi internazionali e come riserva di valuta dalle varie banche centrali, il dollaro negli ultimi anni si era apprezzato rispetto alle altre valute soprattutto grazie alla enorme massa di capitali straneri che affluivano sul mercato borsistico di New York. La crescita esponenziale dell'indice Dow Jones e del Nasdaq alla fine degli anni novanta, avvenuta in buona parte anche grazie all'afflusso di capitali esteri, ha avuto come conseguenza una rivalutazione del dollaro su tutte le altre monete. I grandi investitori internazionali, europei ed asiatici, hanno investito sul mercato statunitense i propri capitali per acquistare azioni di imprese americane e per collocarli sui titoli a reddito fisso, come per esempio i buoni del tesoro. Le devastanti crisi economico-finanziarie che hanno colpito il Messico, il Brasile le cosiddette tigri asiatiche, la Russia, la Turchia e per ultima l'Argentina, hanno in un certo qual modo alimentato il flusso di capitali verso gli Stati Uniti. La solidità dell'economia statunitense e il fatto di costituire per gli investitori internazionali il posto più sicuro dove collocare i propri investimenti in periodi di crisi delle varie borse mondiali hanno alimentato il flusso di capitali dall'estero, malgrado tassi d'interesse più bassi che altrove. Oltre a sostenere il corso del dollaro, il flusso di capitali dall'estero è servito in questo periodo a compensare l'enorme indebitamento dell'economia americana. Il solo deficit commerciale statunitense supera i 450 miliardi di dollari l'anno, mentre dopo alcuni anni di sostanziale pareggio anche il deficit federale negli ultimi 20 mesi grazie ai programmi di riarmo e al sostegno dello stato ai settori dell'economia maggiormente legati all'industria bellica è riapparso in tutta la sua drammaticità.

La presenza del doppio deficit commerciale e federale non rappresenta una novità assoluta per la recente storia economica degli Stati Uniti (già ai tempi di Reagan i due deficit coesistevano) ma nell'attuale contesto internazionale la loro presenza può rappresentare una miscela esplosiva tale da far precipitare l'economia americana in una spirale di crisi senza precedenti. Il dollaro si svaluta principalmente perché si sono esauriti i meccanismi che lo avevano rivalutato in precedenza. I capitali provenienti dall'estero non arrivano più, non si riesce quindi a pareggiare i conti con l'impressionante deficit commerciale e federale e di conseguenza il dollaro scende. Gli effetti della svalutazione del dollaro sull'economia reale statunitense in linea teorica potrebbero essere positive, in quanto dovrebbero rendere le merci statunitensi più competitive sui mercati internazionali. Ma se andiamo ad osservare nei dettagli le dinamiche del dollaro rispetto alle monete dei paesi che maggiormente esportano verso gli Stati Uniti (vedi soprattutto la Cina divenuta uno dei maggiori esportatori verso gli USA), possiamo vedere che il biglietto verde non si è svalutato più di tanto. È nei confronti dell'euro che il dollaro, invece, si è indebolito, ma da un punto di vista commerciale ciò non rappresenta un grosso vantaggio per gli Stati Uniti, mentre per alcuni paesi europei le esportazioni sono destinate a ridursi. L'ultimo dato diffuso agli inizi di febbraio indica che in Germania, proprio in virtù della rivalutazione dell'euro, gli ordinativi dall'estero sono diminuiti nel mese di gennaio rispetto a dicembre del 8,7%; se consideriamo che sono state le esportazioni a trainare di quel poco l'economia europea, possiamo prevedere che la crescita del Pil nel corso del 2003, sarà prossimo allo zero

L'attuale svalutazione del dollaro presenta delle novità rispetto a quelle del passato. È una svalutazione che non nasce da una scelta delle autorità monetarie statunitensi, o almeno non solo da questa, ma è stata determinata dal massiccio spostamento di capitali dal mercato americano verso quello europeo. Una svalutazione, insomma, più subita che voluta, che serve pochissimo per rilanciare l'economica reale e che rischia di ridurre ulteriormente il dominio del dollaro sui mercati valutari internazionali. La presenza dell'euro è un fatto di straordinaria importanza da un punto di vista dei rapporti interimperialistici; se in passato l'unico punto di riferimento nei periodi di crisi era rappresentato dal dollaro, ora gli investitori internazionali intravedono nella nuova moneta europea uno strumento alternativo al dollaro che offre le stesse garanzie in termini di sicurezza degli investimenti. Se un paese come la Cina, che possiede le maggiori riserve di valuta al mondo, ha deciso di vendere dollari per sostituirli con l'euro, diversificando le proprie riserve monetarie, significa che siamo in presenza di un fatto nuovo che avrà delle ricadute importanti su scala mondiale.

Per valutare infine la diversità dell'attuale crisi del dollaro rispetto a quelle del passato possiamo osservare la forbice che si è creata in questo ultimo periodo con il prezzo del petrolio. Se in passato il prezzo del petrolio saliva, per il fatto che tale prezzo si esprime in dollari, anche la moneta statunitense s'apprezzava rispetto alle altre monete. Ora, nonostante la minaccia di una guerra (altro elemento che in passato faceva apprezzare il dollaro), mentre il prezzo del petrolio tende a salire il dollaro si svaluta a tutto vantaggio dell'euro. È un segnale del cambiamento dei tempi che evidenzia il pericolo che corre la quota della rendita finanziaria appannaggio degli Stati Uniti, di contrarsi sempre più e dunque della necessità per loro di giocare fino in fondo la carta della guerra. Ieri l'Afghanistan, oggi l'Iraq; ma basterà?

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.