Brasile: la vittoria di Lula non è la vittoria del proletariato

Alla fine, Luis Inacio "Lula" da Silva, ex operaio, ex sindacalista, attuale capo del Partito dei Lavoratori (PT), ce l'ha fatta. L'esito delle urne è stato perentorio (oltre il 60% dei voti) infliggendo un netto distacco al suo avversario, che si proponeva come il continuatore del capo dello stato uscente.

La vittoria di Lula ha ovviamente scatenato l'entusiasmo dei suoi sostenitori, dentro e fuori il Brasile, che vedono - o, meglio, credono di vedere - concretizzarsi la possibilità di invertire l'indirizzo delle politiche economico-sociali portate avanti (chi più, chi meno) dai governi di tutto il mondo. Finalmente, il vento di Porto Alegre - la città amministrata dal PT e "capitale" del neoriformismo - ha aperto un varco importante nelle catene che il neoliberismo ha stretto attorno ai popoli latinoamericani e dell'intero pianeta; finalmente - continuano i "lulisti" - si può mettere mano alla costruzione di quell'altro mondo possibile, partendo proprio dal luogo in cui è nato questo slogan.

Che la vittoria di Lula costituisca un avvenimento per certi aspetti storico, è fuori discussione; che possa imprimere una svolta significativa nel rapporto tra capitale e forza-lavoro a favore di quest'ultima, beh, si può tranquillamente escludere in partenza, sia per i contenuti del programma politico del PT, sia per le condizioni economiche del paese sudamericano, e sia, infine, per lo stato attuale dell'economia mondiale, che, come ben sa chi ci legge abitualmente, è intaccata da una crisi strutturale molto profonda.

Tre, dunque, gli elementi (strettamente intrecciati) da prendere in considerazione, per capire fin dove può spingersi e, soprattutto, dove può portare la politica del neo presidente dalle origini proletarie.

Paese dalle enormi risorse naturali, decima economia del pianeta, il Brasile è però anche un paese in cui i contrasti sociali sono tra i più stridenti: accanto a ricchezze immense, i poverissimi e gli affamati si contano a decine di milioni; le baraccopoli si estendono per chilometri, giungendo a sfiorare modernissimi palazzi frutto di una tecnologia avveniristica. Negli ultimi anni, poi, la finanziarizzazione dell'economia, conseguenza della crisi economica mondiale, ha picchiato duro sul Brasile - come su tutta l'America Latina - facendo aumentare enormemente il debito pubblico e spingendo il sistema produttivo sull'orlo del crollo. I prestiti concessi dal Fondo monetario Internazionale, le privatizzazioni massicce costituiscono un'ulteriore, colossale rapina nei confronti del proletariato brasiliano, che si è visto tagliare sistematicamente il salario diretto e indiretto (lo stato sociale) per pagare, appunto, gli interessi sul debito e ridare competitività al capitale "nazionale" schiacciato da una concorrenza internazionale sempre più aspra e da un vicino sempre più minaccioso. Infatti, se il "neoliberismo", la sottomissione agli interessi economici e strategici dell'imperialismo USA hanno arricchito spudoratamente certi settori della borghesia brasiliana, ad altri tutto questo ha procurato grosse difficoltà, se non la rovina vera e propria. L'entrata in vigore (se e quando...) dell'Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), che dovrebbe avvenire nel 2005 - esaspererà ancora di più tali tendenze, facendo del Brasile e dell'America Latina un'enorme riserva di caccia per le scorrerie e i saccheggi del capitalismo yankee. Solo i comparti industriali più arretrati o "maturi", che lavorano in subfornitura (tipo maquiladora) per le compagnie nord americane saranno avvantaggiati, mentre gli altri dovranno fronteggiarne lo strapotere tecnologico e finanziario in una lotta generalmente senza speranza. È superfluo sottolineare che chi ne farà in primo luogo le spese sarà il lavoro dipendente in genere, i cui salari precipiteranno, trascinando con sé anche quelli della classe operaia nordamericana.

Da questo sintetico quadro della realtà brasiliana è facile intuire come Lula abbia coagulato attorno a sé aspirazioni provenienti dagli strati più diversi della società. Contadini senza terra, violentati dalle leggi del capitalismo e dalla prepotenza armata dei grandi proprietari terrieri; operai, impiegati, disoccupati, senza casa delle sconfinate favelas, piccola borghesia che guarda con terrore a ciò che è successo alla sua "sorella" argentina, parte della chiesa cattolica, ma anche, e non da ultimo, un settore non indifferente del padronato, che, tra le altre cose, vede l'ALCA come il fumo negli occhi. Non è un caso se, per la prima volta i grandi mezzi di comunicazione hanno assunto, durante la campagna elettorale, un atteggiamento neutrale, né che il presidente della confindustria brasiliana abbia dichiarato che la vittoria della sinistra "Rappresenta la prova di una raggiunta maturità da parte della società brasiliana e un punto importante nel consolidamento della democrazia" ( rainews24.rai.it ,28-10-02). Infatti, l'ex sindacalista, asceso ai vertici dello stato, ha sempre dichiarato apertamente che il suo non è né vuole essere un programma di "sovversione" sociale, ma, al contrario, punta esplicitamente alla concordia tra le classi, nel rispetto pieno delle compatibilità capitalistiche, dei debiti contratti dai precedenti governi con la finanza internazionale, e, semmai, mira a una collocazione diversa del capitalismo brasiliano, nel tentativo di mutare i rapporti di forza ora a tutto vantaggio del capitale statunitense. Ecco allora l'interesse per un rapporto privilegiato con l'Unione Europea, la Cina, il Sudafrica e con gli altri paesi latino-americani. Favorire gli investimenti "produttivi" del capitale nazionale e internazionale, rinegoziare radicalmente l'ALCA e i termini di scambio con il gigante USA, apertura ai concorrenti dell'imperialismo statunitense e, infine, riforme sociali dirette ad alleviare la miseria di milioni e milioni di persone. Questo, in sostanza, quel mondo "altro" che tanto emoziona i no-global "occidentali". Un programma che impensierisce sì gli USA, ma certamente non perché sia portatore dell'infezione comunista, bensì perché la presa assoluta dell'imperialismo nordamericano sull'America latina verrebbe minacciata e, contemporaneamente, offrirebbe nuove grandi opportunità agli imperialismi rivali. Un eventuale, massiccio uso dell'euro negli scambi economici tra Unione Europea e America Meridionale, che conseguenze avrebbe sul dollaro e quindi su tutta l'economia americana? L'odio anti-yankee, da sempre diffusissimo nelle masse povere del sub continente americano, ora batte anche nel cuore di strati sociali che prima ne erano immuni o quasi; i risultati elettorali - per certi versi clamorosi - di una nuova socialdemocrazia in Ecuador, Bolivia, per non dire di Chavez e, sotto altri aspetti, dell'Argentina, rendono sempre più agitati i sonni della grande borghesia statunitense, che oscilla, nel caso di Lula, tra aperture di credito e nette chiusure.

Sì, l'elezione di Lula è un evento storico, perché potrebbe (il condizionale è più che mai d'obbligo) innescare o accelerare processi di portata mondiale, rendendo ancora più acuti i motivi di scontro tra le grandi potenze (o gruppi) imperialiste.

Invece, fin da ora è certo che i sogni riformatori del proletariato brasiliano si infrangeranno contro i vincoli economici imposti dal rispetto degli impegni assunti con il FMI e la finanza internazionale, contro la necessità di ridare slancio all'economia "nazionale"; questo significa, come minimo, continuare a piegare la schiena e sgobbare duro, ma stavolta con quella pazienza e quella moderazione che padroni e sindacalisti predicano ai proletari del mondo intero: "La CUT e il MST - rispettivamente, il sindacato diretto dal PT e l'organizzazione dei Senza terra, n.d.r. - sanno benissimo qual è l'eredità di Cardoso - il presidente uscente, n.d.r --. Per cui siamo certi che non verranno da noi a esigere la riscossione dei debiti sociali tutti e subito", dice il consigliere economico di Lula (il manifesto,25/10/02). Con buona pace dei trotskysti, annidati ovunque ci sia puzzo di socialdemocrazia, tanto da esserne parte integrante, la borghesia brasiliana ha affidato al PT il compito di somministrare al proletariato abbondanti dosi di anestetico per intontirlo e abbassarne le soglie di resistenza allo sfruttamento; e un presidente "operaio" vero ha certamente più possibilità di farlo che non uno da barzelletta come il "nostro" Berlusconi.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.