Un terzo polo anti-global? Sulla "Lettera aperta al movimento" del Campo Antimperialista

Il Campo Antimperialista è un campeggio estivo che vede riunirsi, ormai da diversi anni, gruppi, collettivi e organizzazioni italiane ed estere che si pongono sul terreno dell'anticapitalismo. Un anticapitalismo inteso in senso oltremodo generico e nominale - dunque frainteso - tanto che nel 2000 i nazional-bolscevichi di Comunitarismo, ossia neofascisti "di sinistra", hanno avuto la possibilità di parteciparvi senza alcun problema.

In realtà, però, a ben guardare, tutto ciò non sorprende affatto. Questo perché fino all'anno scorso era Voce Operaia a promuovere questi Campi, e Voce Operaia, al di là di un richiamo formale all'internazionalismo proletario, ha sempre assunto posizioni antioccidentali e nazionaliste, schierandosi a fianco di tutte quelle nazioni, dalla Serbia alla Palestina 'in fieri', portatrici di interessi contrapposti a quelli dell'imperialismo NATO.

L'antimperialismo di Voce Operaia, insomma, è sempre stato un parteggiare con il fronte borghese più debole, confondendo la solidarietà proletaria internazionale con la difesa delle nazioni aggredite, rimanendo così assolutamente dentro alla logica imperialista stessa.

A maggio Voce Operaia s'è sciolta per indirizzarsi al meglio sulla via del 'Fronte di Liberazione' (sic), "un'organizzazione ampia, inclusiva, democratica, centralista ma pluralista. Una federazione delle forze antagonistiche..." (dalla 'Dichiarazione di scioglimento di Voce Operaia').

Fatte tutte queste necessarie premesse, veniamo al dunque.

Durante il corteo nazionale di Rifondazione comunista svoltosi a Roma sabato 29 settembre, è stato distribuito un volantino recante il seguente titolo: "una Costituente per un movimento politico sociale contro la globalizzazione, il capitalismo e l'imperialismo - Lettera aperta al Movimento". Firmato: "I Promotori, riuniti ad Assisi durante il Campo Antimperialista, agosto 2001", i quali, nella Lettera, dichiarano di voler costituire dentro il movimento un 'terzo polo', alternativo sia a quello 'pacifista' (Agnoletto & Co.) che a quello ribellista (Black Bloc & Co.).

Il movimento in questione è, ovviamente, quello anti-global. Un movimento che viene definito "anticapitalista, più ancora che per il coraggio delle forme di lotta, per la radicalità dei suoi contenuti". Definizione molto discutibile, sia perché 'il coraggio delle forme di lotta' non ha nulla a che vedere con la radicalità politica della lotta stessa, sia perché i molteplici contenuti espressi dal movimento no-global, quando sono anticapitalisti, lo possono essere nelle intenzioni dei più ingenui, ma non certo nei fatti. A meno che non si pensi che la Tobin Tax, il commercio equo-solidale e il boicottaggio delle multinazionali sia oggettivamente anticapitalismo.

Prendendo poi le mosse dalle giornate di Genova, la Lettera aperta avanza diverse critiche al movimento e ai suoi portavoce ufficiali: "...chiediamo conto - a coloro i quali con tanta leggerezza volevano portare 'i corpi' oltre la 'zona rossa' - di questa linea velleitaria che è andata in frantumi dopo i primi lacrimogeni." Una rottura netta con le Tute Bianche, dunque? Oh no, le vie del dialogo sono infinite: "Chiediamo loro, se davvero hanno a cuore l'unità e il futuro del movimento, una sincera autocritica ed una rettifica della linea politica...".

"...è morta a Genova - continua la Lettera - la miscela instabile di minimalismo strategico e massimalismo tattico, e con essa le suggestioni di Imperi senza imperialismi, di società civili senza classi antagoniste, di moltitudini biopolitiche abbandonate alla loro spontaneità". Tutte 'morti' che in effetti ci augureremmo anche noi, ma che purtroppo dubitiamo siano già avvenute, e per di più solo perché a Genova la repressione è stata feroce e la risposta del movimento, coraggiosa ma disordinata. Qui si confondono gli esiti di una lotta con i contenuti politici che la lotta stessa dovrebbe assumere in seguito.

D'altronde, come viene giustamente detto più avanti, "tutta la controversia sulle forme della lotta rischia di diventare una discussione futile se non si inscrive in un progetto di alternativa radicale al capitalismo e all'imperialismo". Che fare, dunque? Secondo la Lettera il movimento dovrebbe unire in forme stabili "i nuovi esclusi del ciclo neoliberista al proletariato precario e flessibile, tentando infine di far scendere in campo il movimento operaio tradizionale".

In sostanza, quindi, bisogna lavorare per far sì che il segmentato fronte proletario riesca finalmente a compattarsi su un terreno di classe. Il che è sacrosanto. Ciò che la Lettera non dice, però, è che per coinvolgere il proletariato nella lotta politica anticapitalista, è assolutamente necessario che il conflitto si sposti dalle piazze ai luoghi di lavoro, alle fabbriche, al territorio, laddove girano gli ingranaggi sociali ed economici del capitale, e laddove la classe rivoluzionaria non è ancora ingannevolmente diluita nel liquido mortale della 'cittadinanza'.

E il comunismo? Niente, neanche un accenno. Neanche una perifrasi. Quale sarebbe dunque l'alternativa alla globalizzazione capitalista che si vuole combattere e distruggere? Come ci si può opporre in modo coerente al sistema che domina il mondo senza dire neanche mezza parola su quella che dovrebbe essere la via d'uscita, la strada da percorrere per costruire una società senza capitalismo?

Per concludere, viste le premesse teoriche molto poco internazionaliste, viste le numerose incertezze nell'analisi e le gravi omissioni che stanno alla base di questo 'terzo polo', riteniamo che difficilmente potrà essere meglio di quelli già esistenti.

GS

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.