La guerra fra Etiopia ed Eritrea

Come la globalizzazione del capitale finanziario affama il continente africano

Dopo oltre un mese di cruenti combattimenti si è conclusa la guerra tra l'Etiopia e l'Eritrea. Lo scorso mese di giugno dopo estenuanti trattative condotte ad Algeri dall'Organizzazione per l'unità africana, i due paesi hanno firmato una pace armata, lasciando però insoluti i motivi del contendere. Migliaia di morti e una cifra imprecisata di profughi (si parla di oltre un milione di eritrei che sono scappati dalle loro abitazioni per sfuggire a morte sicura), è il bilancio di un conflitto che come sempre ha nel capitalismo il suo unico responsabile.

La guerra tra i due paesi del corno d'Africa in apparenza sembra un conflitto d'altri tempi; né etnica, né religiosa, né tribale e senza evidenti motivi economici, la guerra scoppiata tra l'Eritrea e l'Etiopia nella seconda metà degli anni novanta ha trovato nella delimitazione del confine tra i due stati la propria ragion d'essere. Da sempre al centro delle battaglie diplomatiche, la delimitazione dei confini ha occupato la borghesia internazionale nel definire le cartine geografiche. Già nel 1902 il trattato anglo-italo-etiopico precisava dettagliatamente la parte occidentale e centrale della frontiera, dove sono avvenuti gli attuali scontri tra i due paesi, e da allora la diplomazia si è sempre impegnata nel chiarire ed interpretare i confini così come sono stati definiti dal trattato.

Con la conquista dell'indipendenza politica da parte dell'Eritrea, dopo decenni di lotta contro il governo dell'Etiopia, la questione dei confini è tornata prepotentemente alla ribalta diventando l'elemento di scontro tra i due paesi. Ma dietro la diatriba sui confini si nascondono gli interessi economici dei due paesi del corno d'Africa e quelli delle grandi potenze imperialistiche che dal conflitto traggono immensi profitti. Dopo la divisione politica dei due paesi avvenuta nel 1991, con la dichiarazione d'indipendenza da parte dell'Eritrea, i due stati hanno continuato ad utilizzare la stessa moneta e facilitando quindi gli interscambi commerciali tra le due aree. Agli inizi degli anni novanta i due paesi si erano accordati su un regime di libero scambio reciproco e sul libero accesso dell'Etiopia ai porti diventati nel frattempo eritrei. Questo periodo intermedio d'unità economica tra due stati politicamente indipendenti è durato solo qualche anno; infatti nel novembre del 1997 l'Eritrea ha preso la decisione di battere una propria moneta, il nafca, per consolidare la propria libertà nelle transazioni finanziarie con l'estero. La decisione eritrea di rompere l'unità monetaria non solo ha di colpo concretizzato l'esistenza di una frontiera tra il Tigray (una regione dell'Etiopia) e l'Eritrea, ma ha determinato un aumento dei costi per l'Etiopia in quanto si è trovata costretta a pagare in dollari tutte le transazioni con l'Eritrea. Soprattutto le importazioni etiopiche hanno subito un aumento di costi; infatti, grazie all'utilizzo del dollaro statunitense negli scambi commerciali, l'utilizzo dei porti eritrei di Massaua e Assab da parte degli operatori commerciali dell'Etiopia è diventato di colpo più caro. La nascita del nafca, se da un lato ha attribuito all'Eritrea una maggiore libertà internazionale sul piano finanziario, d'altra parte, sempre in virtù dell'utilizzo del dollaro nelle transazioni commerciali, ha determinato un aumento dei costi delle importazioni di prodotti alimentari. Il capitale finanziario internazionale è riuscito a rompere quei legami economici, politici e culturali tra aree che storicamente sono state legate da vincoli quasi naturali. Più del colonialismo ottocentesco è riuscito a fare la globalizzazione finanziaria del capitale, che grazie all'espansione delle monete più forti (leggi dollaro) sull'intero pianeta sta spargendo a piene mani solo fame, miseria e guerre. La guerra tra Etiopia ed Eritrea non sfugge a questa logica; dietro gli scontri tra eserciti straccioni si celano gli interessi del capitale finanziario internazionale, al cui carro sono legate le borghesie dei paesi contendenti.

Gli scontri dei mesi scorsi rappresentano solo l'ultimo capitolo di una guerra che sta dilaniando i due paesi da oltre due anni. Con alterne vicende i due paesi del corno d'Africa si scontrano dagli inizi del 1998, e durante questo periodo hanno trasformato i loro apparati produttivi in vere e proprie economie di guerra. Grazie alla guerra il capitale internazionale trae enormi profitti dalle commesse di armi vendute ai due paesi. Sia l'Etiopia che l'Eritrea da un lato contraggono debiti, dall'altro con le risorse ottenute a prestito acquistato le armi con le quali sostenere il conflitto. Alcuni dati chiariscono la gravità di una situazione che vede la stragrande maggioranza della popolazione morire letteralmente di fame, mentre ci si indebita per acquistare dalle potenze imperialistiche aerei, fucili e bombe. Durate il periodo del conflitto Etiopia ed Eritrea hanno speso un milione di dollari al giorno. Gli acquisti d'armi dei due paesi hanno raggiunto negli ultimi due anni una cifra vicino ai trecento milioni di dollari l'anno, mentre durante lo stesso periodo gli aiuti finanziari ottenuti dall'estero sono stati di 242 milioni di dollari l'anno per l'Etiopia e di 57 milioni per l'Eritrea. Fino allo scorso anno l'afflusso di capitali esteri è stato fronteggiato dall'Etiopia soprattutto con le esportazioni di caffè, il cui prezzo aveva subito un'impennata sopra i due dollari per libbra. Con la caduta del prezzo del caffè sotto la soglia psicologica di un dollaro per libbra, l'Etiopia si è trovata improvvisamente nella condizione di non poter onorare i debiti contratti, ma nonostante il crearsi di questo circolo vizioso la borghesia etiope ha continuato ad armarsi fino ai denti. Nello stesso tempo l'Eritrea ha sfruttato le entrate provenienti dalle attività dei porti di Assab e Massaua per finanziare il proprio riarmo, ma lo scoppio della guerra paralizzando le attività dei due principali porti del paese a fatto venir meno la principale fonte delle entrate eritree. La folle corsa al riarmo dei due paesi ha portato le spese militari vicine al 10% del prodotto interno lordo, mentre migliaia d'uomini e donne soffrono e muoiono quotidianamente di fame.

La guerra nel corno d'Africa è solo una spia della deriva dell'Africa, un continente che i processi di globalizzazione dell'economia mondiale hanno catapultato nella miseria più nera. È la stessa Banca Mondiale ha relazionarci sul malessere africano; in un suo recente rapporto si evidenzia come la maggior parte degli stati africani stia economicamente peggio rispetto agli anni sessanta, gli anni dell'indipendenza politica dalle potenze coloniali. Sempre nel rapporto della Banca Mondiale si può leggere come il reddito di 48 paesi del continente africano è di poco superiore a quello del Belgio; in media l'economia di ciascun paese africano è più piccola di quella di una città di 60 mila abitanti di un paese ricco ed infine l'Africa conta solo per l'1% nell'economia internazionale e per il 2% nel commercio mondiale. Per mantenere costante l'attuale livello di povertà, dato l'aumento della popolazione, le economie degli stati africani dovrebbero crescere ad un ritmo del 5% annuo; nella realtà il prodotto interno lordo sta precipitando vertiginosamente e con esso anche le condizioni di vita di milioni di esseri umani.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.