Vietnam: dall'esaltazione all'indifferenza di un mito della sinistra borghese

Ultimi scampoli di socialismo reale

A 25 anni dalla fine del conflitto in Vietnam poca cosa è rimasta del mito che aveva esaltato la sinistra ufficiale e quella extraparlamentare. Mentre a ricordare con ironia le vecchie illusioni e a bacchettare l'intellighenzia occidentale del tempo ci sta pensando in questi giorni la stampa borghese. Facendo una facile equazione: crollo del blocco sovietico uguale fine del comunismo. Inoltre additando i pochi residui del socialismo reale come Cina e Vietnam che per sopravvivere hanno dovuto aprire all'economia di mercato, il gioco è fatto: il capitalismo è l'unico sistema in grado di produrre ricchezza e democrazia, tutto il resto è pura fantasia e drammatico inganno.

Ed è vero che è stato un inganno, ma un inganno che ha fatto comodo alla borghesia internazionale e che ha completamente disarmato sul piano della coscienza il proletariato. Infatti, chi allora denunciava, come noi, che quanto era uscito dallo stalinismo prima e dal maoismo dopo, non era altro che capitalismo di stato spacciato per socialismo, veniva insultato e minacciato. Tanti di quei signori che ieri facevano i finti rivoluzionari si sono accomodati oggi in posti di prestigio ben remunerati, e in molti casi sono passati alla destra reazionaria facendo proprio un anticomunismo viscerale.

Il Vietnam allora rientrava nei giochi della guerra fredda tra Usa e Urss, le due super potenze si spartivano il mondo appoggiando: i primi i regimi dittatoriali vigenti, e i secondi i movimenti di liberazione nazionale spesso in fase d'affrancamento dal vecchio colonialismo occidentale. Nell'aprile del 1975 l'esercito del Nord, sostenuto dai sovietici, occupava Saigon e così si concludeva vittoriosamente la sanguinosissima guerra contro gli Stati Uniti che erano schierati con il Sud. Il modello socioeconomico che ne derivò fu la brutta copia di quello dell'Unione Sovietica, con l'attuazione della collettivizzazione della terra e dell'industria e il controllo della vita civile attraverso la dittatura del partito comunista vietnamita.

Dopo dieci anni di fallimenti, il regime fu costretto a cambiare, tra l'altro in coincidenza con il peggioramento della situazione in Urss che da li a poco l'avrebbe portata alla capitolazione. Così nel 1986 il Vietnam effettuò la svolta e prese a modello di riferimento la Cina per avviare un "socialismo di mercato". Per compensare la perdita del precedente blocco di appartenenza (il Comecon che assorbiva l'85 per cento delle esportazioni) fu varato un programma di privatizzazioni, in seguito la proprietà privata sarà consacrata dalla nuova Costituzione del 1992. Il mercato interno fu aperto agli investimenti stranieri e nel 1994 gli Usa tolsero l'embargo. Era il momento del boom economico con livelli di crescita del 10 per cento l'anno, mentre la speculazione internazionale era scatenata nei paesi dell'Asia e realizzava grandi affari. Poi nel 1997 fu il crollo dei titoli borsistici dell'area, i capitali se ne andarono e anche la crescita economica si sgonfiò sino a un più modesto 4 per cento attuale.

La conclusione è che il Vietnam resta uno dei paesi più poveri al mondo, malgrado il proletariato sia stato offerto come agnello sacrificale al capitale internazionale dalla borghesia "rossa", date le sue caratteristiche di grande sfruttabilità in cambio di salari da fame. A distanza di tanti anni da una guerra tremenda che vide milioni di proletari vietnamiti morti questo è il risultato. I nuovi ricchi appartengono quasi tutti alla nomenclatura di partito sia nel settore pubblico sia in quello privato e la corruzione nella burocrazia statale è dilagante.

Il nocciolo della questione in realtà è che si trattò di un conflitto nazionalista e imperialista allo stesso tempo. Dove si affrontarono le borghesie locali per la supremazia interna e contemporaneamente i grandi imperialismi per la spartizione del mondo. Le circostanze storiche ponendo Mosca dalla parte di coloro che per affermarsi dovevano rompere con il vecchio ordine, cioè con i vari fronti di liberazione nazionali, la facevano passare agli occhi dell'opinione pubblica come momento di una strategia più generale di progresso, in contrapposizione alla cricca di Washington che appoggiava le più reazionarie dittature militari. Innumerevoli esempi dimostrano che alla prova dei fatti, dittatori o guerriglia poco cambia, lo scopo per chiunque debba gestire i rapporti di produzione capitalistici è di garantire, anche con la più dura repressione, il dominio e lo sfruttamento della forza lavoro da parte del capitale.

Tutto ciò che è appartenuto al campo sovietico, la borghesia lo ha spacciato per comunismo, tesi avvalorata dal fatto che gli ex stalinisti oggi abiurano le loro origini e i pochi regimi rimasti che da quel medesimo passato provengono. Il socialismo reale, comprese tutte le sue molteplici scorie politiche prodotte, va annoverato di diritto nel grande contenitore della socialdemocrazia, in quanto espressione di uno dei modi di essere del capitale per perpetuare la schiavitù del lavoro salariato.

Ai rivoluzionari il compito di ricucire il filo rosso della prospettiva comunista, capace di sottrarre la classe operaia dall'attuale sconcertante passività, cui la sinistra borghese e le menzogne del presunto socialismo da caserma ha contribuito in modo decisivo.

Cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.