Gli "esperti" economici di Rifondazione in aiuto alla soggettività e autonomia del capitalismo italiano

Come governare l'azienda Italia

Quando Rifondazione si avventura nell'esternare il proprio punto di vista sulla situazione economica e sulle prospettive nazionali e internazionali, diventa difficile mascherare la sua totale sudditanza alle logiche capitalistiche. Salvo condannare quelle "brutali del turbocapitalismo", come nel caso dei tagli ingiusti di posti lavoro alla Olivetti Computer, Teksid-Fiat e Telecom.

La colpa - per Rifondazione - è, sì, dei processi di ristrutturazione finanziaria delle imprese, ma si tratterebbe soltanto di scelte sbagliate del capitalismo selvaggio, non scontate e quindi controllabili se solo si desse ascolto agli "antagonisti" parlamentari. Così G. Cremaschi (Liberazione, 19 sett.) scopre che la concorrenza e la competitività, un necessario rafforzamento del capitalismo italiano, potrebbero avere conseguenze sociali meno drammatiche per i "soggetti deboli", seguendo sia l'ipotesi di Romiti per una revisione del patto di stabilità europea, e sia le critiche degli industriali al rigorismo monetario. E la ricetta ricostituente potrebbe essere quella di indicare agli imprenditori in difficoltà "una via di sviluppo fondata su investimenti pubblici qualificati, crescita della qualità dei prodotto, innovazione tecnologica e miglioramento qualitativo dell'organizzazione del lavoro"...

Al di là delle lacrime ipocrite sulla svalutazione del lavoro (legge fondamentale dello sviluppo capitalistico), il grido di dolore nazionalistico di Rc riguarda "il peggioramento del livello medio tecnologico del nostro paese".

Compagni: dobbiamo "recuperare il nostro arretramento economico nei settori più importanti della competizione mondiale". L'Italia perde competitività strategica; produciamo meno automobili di quelle che si comperano; non facciamo una "politica di investimenti strategici" e quindi costringiamo la ricchezza prodotta (dalla classe operaia e intascata dai capitalisti - ndr) a fuggire dal paese perché "trova altrove più facili occasioni di guadagno", quelle che invece noi (?) dovremmo offrirle!

Le opportune politiche a cui accenna Rc, in che cosa dunque consisterebbero? Contro l'ideologia liberista si dovrebbe sostenere quella statalista; per quanto riguarda la condizione della classe operaia (che per Rc non esiste più, si e sciolta nella...cittadinanza), si tratterebbe di un aspetto marginale della questione, comunque subalterno alla "perdita progressiva di soggettività e autonomia economica" del capitalismo italiano. La Patria chiama i suoi generosi figli a contrastare la penetrazione delle grandi multinazionali estere; rischiamo infatti di perdere persino la Fiat, "l'unica grande azienda manifatturiera di dimensioni internazionali rimasta nel nostro paese"...

Per quanti si ostinassero ancora a non capire che razza di strategia politica viene portata avanti da Bertinotti e C,, il nostro articolista precisa ancora: l'Italia sta perdendo posizioni nella distribuzione internazionale dei poteri e delle tecnologie; tagliamo sempre di più per stare nella serie B dei capitalismi europei. Ebbene, se tagli e sacrifici si debbono fare, si facciano per restare nella serie A del capitalismo internazionale, spingendo al massimo la sua concentrazione e centralizzazione. Si dia perciò incremento agli investimenti pubblici: il modello di Rc è l'America, dove lo Stato investe il triplo dell'Italia in rapporto al Pil. Basta perciò con "l'idea superficiale e banale di che cosa è davvero il mercato: tutti i principali paesi capitalistici valorizzano la funzione dello Stato nei settori strategici dell'industria e dei servizi". Vogliamo forse che il nostro capitalismo sia da meno?

Insomma, Rc non vuole distruggere, o quantomeno superare il capitalismo; come i social-opportunisti di ogni tempo, lo vuole migliorare e controllare per renderlo accettabile a tutti i cittadini della moderna società, borghesi e proletari. Ritorno al keynesismo? Tutto va bene, per Rc, la cui unica aspirazione è la mediazione del "rapporto fra pubblico e privato" e non certo la rivoluzione dei rapporti di proprietà. Ed al solito, l'interventismo statale presupporrebbe il controllo dello Stato, borghese, sul capitale, quando la realtà è esattamente al contrario. Per cui ai soggetti deboli della società borghese non rimarrebbe che la speranza elettoralistica di una ammucchiata parlamentare che distribuisca qualche briciole in più del banchetto capitalistico.

A dissipare ogni dubbio, ecco Liberazione (30 nov.) che sbandiera l'alternativa del socialdemocratico Lafontaine come il modello risolutivo: investimenti, produttività e competitività per rispondere alla sfida della mondializzazione capitalista!

Con l'etichetta di economia sociale di mercato si cercherà di tenere a bada i "soggetti deboli", mentre per un "minimo di misure di regolarizzazione dei rapporti economici internazionali" non rimane che unire gli sforzi dell'Europa capitalistica unita verso "l'acquisizione di una posizione di forza sul mercato mondiale"...

Compagni di Rifondazione, ma davvero non vi sentite presi per i fondelli?

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.