Andreotti e il finto processo del secolo

Accanto ai misteri delle stragi da piazza Fontana alla stazione di Bologna e a quelli sui vari tentativi di colpi di stato da De Lorenzo alla Rosa dei Venti troneggia ora la sentenza su Giulio Andreotti

La domanda pertinente non è: come mai, nonostante i riscontri storici, la comprovata connivenza con Ciancimino e Salvo Lima, l'universalmente risaputo operante patto scellerato tra la mafia e quella parte delle Democrazia cristiana che faceva capo ad Andreotti, la scomparsa del dossier di Moro nel quale denunciava il suo ex compagno di partito, le testimonianze di ben trentasei pentiti tra i quali don Masino Buscetta, il grande Giulio non sia stato condannato. Ma come mai, nel lontano 1993 abbia potuto essere incriminato per fatti così gravi e infamanti. Il capovolgimento della domanda non è un esercizio di pura retorica. Che la sentenza dovesse scagionare Andreotti era scritto nel grande libro delle ipocrisie borghesi. Condannarlo avrebbe significato non solo mettere in discussione quarant'anni di vita capitalistica italiana, mettere a nudo il servilismo di una intera classe politica nei confronti della Cia e dei governi americani, i crimini che in nome di uno strumentale anti comunismo sono stati commessi, ma soprattutto avrebbe messo in difficoltà uomini e partiti di cui la borghesia italiana potrebbe ancora bisogno. Lo stesso Buscetta ne era cosciente. Sul finire degli anni ottanta, quando rilasciò a E. Biagi una intervista sulla mafia e sulle connessioni con il livello politico, alla domanda: come mai non facesse i nomi, la sua risposta fu chiara e illuminante. Se facessi i nomi dei terminali politici della mafia, sarei preso per pazzo, nella migliore delle ipotesi, verrei ucciso nella peggiore ma anche più probabile delle eventualità. In più aggiunse che quello stato e quel governo, proprio per le sue strette aderenze con la mafia non poteva, nemmeno se lo avesse voluto, accettare le sue denunce. Si illuse che qualcosa potesse cambiare dopo la strage di Capaci e fece i nomi, anzi il nome di Andreotti, ma commise un grave errore di valutazione.

In compenso rese ufficiale ciò che tutti sapevano ma che non potevano denunciare, il patto scellerato tra mafia e politica, sempre esistito, reso uffciale con lo sbarco in Sicilia degli americani sul finire della seconda guerra mondiale (Luky Luciano, Vito Genovese, Genco Russo ecc. al seguito del capo della Oss Poletti, diventati poi sindaci e prefetti delle maggiori città siciliane nelle file della Dc) e tuttora operante. Al dunque il patto scellerato è consistito nel mutuo soccorso tra gli interessi economico delinquenziali della mafia e quelli elettorali della Dc. I referenti politici, ai vertici delle istituzioni, dovevano fare sì che la mafia fosse messa nelle condizioni di agire sul terreno della criminalità nel perseguimento dei suoi enormi interessi economici e finanziari. Polizia e Carbinieri, nei settori che potevano essere toccati da quel mondo politico, di solito i più alti, non si davano molto da fare per arrestari i mafiosi, i latitanti erano tali solo di nome, nei fatti conducevano una vita assolutamente normale. Una parte della magistratura si incaricave di annullare i processi contro la mafia per veri o presunti vizi di forma. Leggi permissive o penalizzamti che però non venivano applicate in caso di prosessi contro Cosa Nostra faceva il rsto. In compenso la mafia, grazie al suo potere intimidatorio e di ricatto nei confronti di una larga parte della popolazione, produceva voti elettorali per la propria interfaccia politica.

Non è detto che debba per forza essere sempre così, con tale organico rapporto, ma in una struttura economica, nella quale la ricchezza sociale viene legalmente prodotta attraverso lo sfruttamento della forza lavoro, e illegale è solo ciò che viene estorto con la forza a sfruttamento avvenuto, è molto facile che tra le due forme di appropriazione del plus valore ci possano essere degli accordi o patti scellerati come quelli in corso. L'importante è che il secondo settore di appropriazione violenta di plus valore non sovrasti o minacci il primo, e che la legalità del primo non soffochi il secondo. Se questo avviene ci sono buone prospettive che il sodalizio continui, abbia magari qualche momento di crisi, ma gli affari sono affari e su questo terreno ogni accordo è possibile.

Se è successo che nel 93 il presunto terminale politico della mafia, Andreotti, sia caduto sotto processo per collusione con la mala vita organizzata, tralasciamo al momento le occuse di essere il mandente degli omicidi Pecorelli e Dalla Chiesa, è perché il mondo politico italiano ha vissuto una fase, durata lo spazio di un mattino, in cui certi equilibri internazionali ed interni sono stati messi in discussione. La fine della guerra fredda ha completamente modificato i vecchi rapporti tra la Dc e gli Usa. Il nemico numero uno non era più il Pci, la stessa Cia e i governi americani si sono dedicati al poblema del greggio e della rendita petrolifera non fornendo più come prima garanzie e coperture politiche per le nefandezze e le stragi di stato. La futura, pesantissima, stagione delle politiche dei sacrifici non poteva vedere ancora la potere, perlomeno ufficialmente, quella stessa classe politiche che governava da quasi cinquant'anni. Qualcuno ha ritenuto giunto il momento di presentare il conto al Psi di Craxi e alla Dc di Andreotti scambiando l'eccezzionalità della situazione per una nuava fase storica, non valutando che la crepa leggermente apertasi si sarebbe richiusa velocemente trosformando gli accusatori in accusati e le gli accusati in vittime della tracotanza di una certa Magistrautura. I cosiddetti poteri forti sono stati al gioco fin che c'era da eliminare una classe politica eccessivamente compromessa ed esposta con le torbide vicende di un passato ancora troppo recente, poi ha fatto quadrato sui presunti eccessi giudiziari. In più con un quadro plitico che vede al governo come all'opposizione le metastasi della vecchia Dc, quando in circilazione ci sono ancora personaggi politici come Cossiga e tutti i numeri due e tre dei vecchi bos democristiani, da Mastella a Buttiglione, da Casini alla Bindi, per non parlare di Berlusconi che da sempre ha legato le sue fortune di imprenditore all'altro inquisito eccellente Bettino Craxi, come si poteva pensare che questo processo potesse avere una fine diversa. Andreotti è stato assolto perché doveva essere assolto, perché così facendo tutto sarebbe rimasto come prima, nascosto, coperto per almeno un paio di generazioni, poi si vedrà, ma a quel punto sarà archeologia politica buona solo per i curiosi di vecchie cronache. Mutuando l'episodio giuridico dagli eufemismi calcistici, se il rigore c'è quando l'arbitro fischia, in questo caso l'arbitro non ha concesso il rigore perché non poteva e non doveva fischiare. E nella teca dei trofei della borghesia italiana, accanto ai misteri delle stragi da piazza Fontana alla stazione di Bologna, a quelli relativi ai colpi di stato dal piano di De Lorenzo alla Rosa dei Venti, può troneggiare la sentenza su Giulio Andreotti.

fabio damen

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.