I fondamenti realistici della concezione materialistica

Attività pratica e conoscenza

La coscienza è un prodotto della evoluzione biologica e dello sviluppo pratico sociale degli individui organicamente viventi. Essa non coincide direttamente con la realtà oggettiva, la quale esiste indipendentemente dalla presenza o meno del soggetto-uomo, rispecchiandosi in esso attraverso i sensi che lo caratterizzano fisicamente e psicologicamente come specie.

L'individuo vivente, con atti sempre più complessi di osservazione e, conseguentemente, di conoscenza, riflette questa realtà in sé, nel suo pensiero concettuale; attraverso la propria attività (che diventa nel tempo processo di lavoro) l'uomo la riproduce per sé, nella forma di una nuova realtà, di una nuova oggettività, raggiungendo con ciò la consapevolezza di un particolare mezzo o strumento da usare, e soprattutto di uno scopo, di un fine da raggiungere.

Noi supponiamo il lavoro in una forma nella quale esso appartenga esclusivamente all'uomo. Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nella idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente.

Egli realizza “un proprio scopo ben conosciuto” unendo agli sforzi fisici “la volontà conforme allo scopo, che si estrinseca come attenzione” (Il Capitale).

In questo processo finalistico, teleologico (1), in cui l'uomo realizza praticamente ciò che nel suo pensiero si è posto come scopo, vi è la riprova del rapporto oggettivamente dialettico esistente fra teoria e prassi. La rappresentazione del fine, che si forma nella mente dell'uomo quando esso comincia a produrre i propri mezzi di vita, orienterà in modo specifico la sua attività pratica, e quindi la sua stessa coscienza.

L'uomo sviluppa ancora una volta se stesso e la propria coscienza attraverso il lavoro nella società (la quale non è un'astrazione da contrapporsi all'individuo), in cooperazione con altri uomini con i quali ha - e non potrebbe non avere - rapporti biologici, fisici e sensibili, e con i quali produce e riproduce la propria vita materiale.

Sul lavoro, sui risultati della sua prassi, si fonda il processo di umanizzazione dell'uomo. E sempre mediante la sua prassi, l'uomo “dimostra la validità oggettiva delle sue idee, dei suoi concetti, del suo sapere, della sua scienza” (Lenin).

Nei risultati pratici via via ottenuti, trovano pertanto conferma e si rafforzano le conoscenze umane, il cui elemento determinante di sviluppo, il loro punto di partenza e di riferimento finale, è costituito dalla prassi e non dalla passiva contemplazione. Questa “esperienza” accumulata dalla umanità nel suo lungo sviluppo storico-sociale, ha dato origine al formarsi dei concetti, delle categorie e delle figure logiche nel pensiero reale. Esatta l'osservazione di Lenin:

la attività pratica umana ha dovuto condurre la coscienza dell'uomo a ripetere miliardi di volte le diverse figure logiche, affinché tali figure potessero assumere il significato di assioma.

Si può osservare in proposito che già Aristotele aveva individuato nel lavoro dell'uomo due componenti: il pensiero (cioè la intenzione, il calcolo-previsione del fine e la ricerca e scelta dei materiali e dei mezzi), e il produrre (la realizzazione dell'opera). Esempio classico: la costruzione di una casa.

Ed Hegel, analizzando il lavoro nelle sue “Lezioni di Jena” (1805/1806) scriveva:

L'attività propria della natura - elasticità della molla, acqua, vento - viene impiegata per fare, nella sua esistenza sensibile, qualcosa di interamente altro da ciò che essa vorrebbe fare [sicché] il suo cieco fare viene trasformato in un fare conforme ad un fine, nel contrario di se stessa...

L'attività pratica finalistica dell'uomo ha il suo fondamento nel mondo oggettivo naturale. Nei suoi appunti filosofici del 1914-1915, Lenin osserva che:

due sono le forme del processo oggettivo: la natura (meccanica e chimica) e l'attività umana ponentesi un fine. Correlazione di queste forme. I fini dell'uomo sembrano dapprima estranei (“altri”) rispetto alla natura. La coscienza dell'uomo, la scienza, rispecchia l'essenza, la sostanza della natura, ma è al tempo stesso un che di esteriore rispetto alla natura (non coincide con essa immediatamente, semplicemente). La tecnica meccanica e chimica serve ai fini dell'uomo appunto perché il suo carattere (essenza) consiste nella sua determinazione da parte delle condizioni esterne (leggi della natura).
[Le leggi del mondo esterno] sono il fondamento dell'attività finalistica umana... [poiché] nella sua attività pratica l'uomo ha dinanzi a sé il mondo oggettivo, dipende da esso, determina per suo tramite la propria attività.
Nella realtà, i fini dell'uomo sono generati dal mondo oggettivo e lo presuppongono: lo trovano come dato, come presente. Ma all'uomo sembra che i suoi fini siano fuori del mondo e da esso indipendenti (libertà).

Il regolamento razionale del ricambio organico dell'uomo con la natura (esattamente il contrario di quanto avviene nella società capitalista) costituisce - per Marx - la base del reale regno della libertà.

Soltanto “al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane, che tuttavia può fiorire soltanto sulle basi di questo regno della necessità”.

Il periodo finale del passo - dal Capitale, libro III° - merita caratteri cubitali: “CONDIZIONE FONDAMENTALE DI TUTTO CIÒ È LA RIDUZIONE DELLA GIORNATA LAVORATIVA”.

Sarà questa la riappropriazione del tempo da parte dell'uomo. Come nei Manoscritti, così anche in Salario, prezzo e profitto Marx scrive:

Il tempo è lo spazio dello sviluppo umano. Un uomo che non dispone di nessun tempo libero, che per tutta la sua vita, all'infuori delle pause puramente fisiche per dormire e per mangiare e così via, è preso dal suo lavoro per il capitalista, è meno di una bestia da soma.

Ed è nel capitalismo che avviene la completa alienazione del tempo considerato ormai solo come tempo di produzione o di consumo delle merci.

Il tempo è tutto, l'uomo non è più niente; è tutt'al più la carcassa del tempo.

Miseria della filosofia

Cose in sé e cose per noi

Sono noti i tentativi, ormai secolari, rivolti a costruire una contrapposizione tra “il pensiero di Engels e quello di Marx, con accuse al primo di materialismo ingenuamente dogmatico o di più rozzo dogmatismo materialistico”.

Ne parla Lenin nel suo “Materialismo ed Empiriocriticismo” a proposito della questione filosofica riguardante la possibilità di una conoscenza del mondo reale da parte del pensiero umano. Problema che Marx (e poi Engels) risolveva materialisticamente e dialetticamente con la confutazione della “cosa in sé inafferrabile” (unfassbaren, inconoscibile o incomprensibile) di Kant, e del mondo ignoto, esistente fuori di noi, di Hume. Quanto a Engels, e a Lenin, “tre importanti conclusioni gnoseologiche” discendevano dalla pratica, e particolarmente dall'esperimento e dall'industria (esempio citato da Engels: l'alizarina, materia colorante della robbia, ricavata non più dalle radici coltivate nei campi, “ma molto più a buon mercato e in modo più semplice dal catrame di carbone”, grazie alle scoperte e applicazioni della chimica organica).

Le tre conclusioni riassunte da Lenin sono:

  1. le cose esistono indipendentemente dalla nostra coscienza, dalle nostra sensazioni, fuori di noi;
  2. non vi è differenza di principio tra il fenomeno e la cosa in sé, ma soltanto fra ciò che è noto e ciò che non è ancora noto;
  3. nella teoria della conoscenza, come in tutti i campi della scienza, occorre ragionare dialetticamente (dall'ignoranza si passa alla conoscenza, alla verifica, alla ulteriore precisazione, eccetera).

Quindi, “fuori di noi e indipendentemente da noi esistono oggetti, cose, corpi; le nostre sensazioni sono immagini del mondo esterno”.

Ebbene, anche ai tempi di Lenin era possibile imbattersi in un Cernov pronto a scoprire “la contraddizione” fra Marx ed Engels, là dove, nella II° Tesi su Feuerbach, il primo non avrebbe affatto affermato “la conoscibilità delle cose in sé e la trascendenza del pensiero”. Tutta colpa della traduzione della parola “Diesseitigkeit”, accusava Cernov: il periodo di Marx (che tradotto letteralmente suona così: “È nella attività pratica che l'uomo deve mostrare il carattere terreno del pensiero”) era stato tradotto, o meglio esposto liberamente da Plekhanov con: “mostrare che il pensiero non si ferma al di qua dei fenomeni”. Contro un simile “analfabetismo critico” insorgeva senza mezzi termini Lenin:

Tutti i materialisti sono per la conoscibilità delle cose in sé; è ignoranza o sconfinata leggerezza sorvolare sulla prima frase della tesi senza rendersi conto che la “verità oggettiva” (ge-genständliche Wahrheit) del pensiero non significa altro che l'esistenza di oggetti (“cose in sé”) veracemente riflessi dal pensiero. [...] Solo i seguaci di Hume e i kantiani fermano 'al di qua dei fenomeni' il pensiero umano. Per tutti i materialisti i 'fenomeni' sono 'cose per noi' o copie degli “stessi oggetti in sé”.

Alla “leggerezza e all'analfabetismo” di certi “socialisti”, Lenin contrapponeva lo scrupolo maggiore dimostrato a volte da scrittori borghesi. Come nel caso di A. Lévy, il quale esaminando l'influenza di Feuerbach su Marx e il contenuto filosofico delle Tesi, scriveva:

Marx ammette da una parte, con tutto il precedente materialismo e con Feuerbach, che alle nostre rappresentazioni della cose corrispondano oggetti reali e distinti fuori di noi. [...] D'altra parte Marx si rammarica che il materialismo abbia lasciato all'idealismo la cura di apprezzare l'importanza delle forze attive [cioè - aggiunge Lenin - della pratica umana]. Secondo Marx, queste forze attive bisogna strapparle all'idealismo per ricondurle nel sistema materialistico; ma, naturalmente, bisogna dare a queste forze quel carattere reale e sensibile che l'idealismo non poteva loro riconoscere. Il pensiero di Marx è dunque il seguente: come alle nostre rappresentazioni corrispondono oggetti reali fuori di noi, così alla nostra attività fenomenica corrisponde una attività reale fuori di noi, un'attività pratica; e tutta l'attività umana acquista in questo modo quella dignità, quella nobiltà che le permette di andare di pari passo con la teoria: l'attività rivoluzionaria acquista da ora in poi un significato metafisico...

Pronto il commento di Lenin:

A. Lévy è un professore. E nessun professore che si rispetti può rinunciare a trattare i materialisti da metafisici. Per i professori idealisti, seguaci di Hume e di Kant, ogni materialismo è “metafisica”, perché dietro al fenomeno (ciò che appare, cosa per noi) vede il reale fuori di noi; [...] per Marx alla “attività fenomenica” dell'umanità corrisponde “una attività delle cose”, cioè la pratica dell'umanità ha un significato non soltanto fenomenico (nel senso che la parola ha per Hume e per Kant), ma obiettivamente reale. [...] L'umanità partecipa dell'assoluto: ciò significa che la conoscenza umana riflette la verità assoluta; che la pratica umana, fornendo la prova della giustezza delle nostre rappresentazioni, conferma in esse ciò che corrisponde alla verità assoluta.

Prosegue A. Lévy:

... Arrivato a questo punto Marx urta naturalmente nelle obiezioni della critica. Egli ha ammesso l'esistenza delle cose in sé, delle quali la nostra teoria è la traduzione umana; ma non può sottrarsi alla consueta obiezione: che cosa dunque vi garantisce la fedeltà della traduzione? Che cosa prova che il pensiero umano vi dia una verità obiettiva? A questa obiezione Marx risponde nella seconda Tesi.

E la pratica la migliore confutazione sia dell'agnosticismo di Hume e di Kant e sia di tutte le altre ubbie (Schrullen) filosofiche. Tanto per Marx che per Engels, il quale ripete:

Il successo delle nostre azioni dimostra l'accordo (Uebereinstimmung, la corrispondenza) delle nostre percezioni con la natura oggettiva delle cose percepite.

Esperienza sensibile

Lo sviluppo della conoscenza, attraverso la comprensione della realtà e la verifica dei risultati acquisiti, non dipende più da schemi ideologici aprioristici e astratti, ma farà da ora in poi riferimento a un metodo specifico di analisi e di connessione dei dati oggettivi, riguardanti sia la natura che la società umana e la storia stessa del pensiero.

L'esperienza, le scienze sperimentali, avrebbero però in sé un valore del tutto relativo e insufficiente senza un adeguato “pensiero” fondato su un procedimento materialistico e dialettico in grado di ricavare e ricostruire “le leggi generali del movimento e dello sviluppo dei processi reali”. (2)

Il riconoscimento della validità della esperienza “sensibile” particolare, diretta, da parte di uno o più individui, non elimina - come scrisse Lenin in “Materialismo ed Empiriocriticismo” - l'opposizione tra materialismo e idealismo nel momento...

in cui passiamo a questioni concrete ben determinate, come la questione dell'esistenza della terra prima dell'uomo, prima di ogni essere sensibile.
Le scienze naturali sostengono positivamente che la terra esisteva in uno stato in cui né l'uomo, né in genere alcun essere vivente, potevano abitarla. La materia organica è un fenomeno più recente, il prodotto di una lunga evoluzione. Pertanto non c'erano materia sensibile, complessi di sensazioni, lo di nessuna specie, legati “indissolubilmente” all'ambiente, giusta la dottrina di Avenarius. La materia è primordiale: il pensiero, la conoscenza, la sensibilità sono prodotti di una evoluzione molto avanzata: questa la teoria materialistica della conoscenza, istintivamente adottata dalle scienze naturali. [...] Il “realismo ingenuo” di ogni uomo sano di mente, che non esca da un manicomio o dalla scuola dei filosofi idealisti, consiste nell'ammettere l'esistenza delle cose, dell'ambiente, del mondo, indipendentemente dalle nostre sensazioni, dalla nostra coscienza, dal nostro lo e dall'uomo in genere. L'esperienza stessa (nel senso umano e non in quello machista del termine), che ha creato in noi la ferma convinzione che esistono, indipendentemente da noi, altri uomini, e non meri complessi delle mie sensazioni di alto, basso, giallo, solido ecc., questa esperienza crea la nostra convinzione che le cose, il mondo, l'ambiente, esistono indipendentemente da noi. Le nostre sensazioni, la nostra coscienza sono soltanto l'immagine del mondo esterno, e s'intende che la rappresentazione non può esistere senza ciò che rappresenta, mentre la cosa rappresentata può esistere indipendentemente da chi se la rappresenta. La convinzione “ingenua” dell'umanità è posta coscientemente dal materialismo a base della sua teoria della conoscenza.
[Dunque] il materialismo ritiene la natura fattore primario, e lo spirito fattore secondario; pone l'essere in primo piano, il pensiero in secondo piano. L'inverso fra l'idealismo. (3)

La elementare precisazione era diretta contro tutta una serie di interpretazioni eclettiche, di versioni ambigue inglobanti in sé spezzoni e varianti “filosofiche” - tutte di natura soggettivistica - del criticismo kantiano, empirismo, agnosticismo, razionalismo, eccetera.

La difesa della concezione materialistica si imponeva a Lenin in presenza di una involuzione a livelli intellettuali e politici che coinvolgeva il fronte socialdemocratico, dopo il riflusso seguito ai moti rivoluzionari del 1905 in Russia, con l'inizio di un revisionismo teorico dalle pericolose conseguenze. Nel campo del pensiero scientifico, il manifestarsi di una crisi del positivismo classico andava a

vantaggio di uno scientismo pratico e formale, tanto più avanzato quanto più permeato di misticismo e idealismo. La tendenza dell'empiriocriticismo (Avenarius, Mach, Poincaré) che con le sue confutazioni del materialismo cominciava a infiltrarsi tra le file dei solcialdemocratici russi, fu prontamente combattuta da Lenin ripristinando innanzitutto i sani fondamenti di una concezione materialistica, la quale non tollera alcuna forma di soggettivismo, relativismo o agnosticismo.

Ancora una volta si trattava di respingere il ritorno, mascherato ma non di meno spinto “intrepidamente sino al fideismo” (4), all'lo, sia come soggetto trascendentale che empirico, o dell'Idea preesistente, sia come prodotto dello spirito e della ragione, che come - in Hegel - “il divenire della realtà”.

Il riflesso delle cose nel pensiero

Scritta nel 1908, “Materialismo ed Empiriocriticismo” fu forse l'opera di Lenin più bistrattata sia dalla canonizzazione speculativa degli “amici” che dalla critica dei nemici. Immancabili le accuse di “equivoca e rozza interpretazione” del materialismo dialettico; di dogmatismo, specie nella questione del “relativismo”, e di “meccanicismo volgare” per la sua “infelice formulazione della conoscenza come riflessione”.

Ma diamo la parola a Lenin:

Nella teoria della conoscenza come in tutti i campi della scienza, occorre ragionare dialetticamente, cioè non presupporre che la nostra coscienza sia bell'e fatta e invariabile, ma esaminare in qual modo dall'ignoranza si passa alla comprensione, in qual modo una conoscenza incompleta, imprecisa diventa più completa e più precisa.

È chiaro, e Lenin si rifà e cita Engels nella confutazione all'agnosticismo (prefazione alla traduzione inglese della “Evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza”), che:

prima di argomentare gli uomini hanno agito. “In principio era l'azione”. E l'attività umana aveva risolto la difficoltà (trovare la fonte e l'originale delle sensazioni) molto tempo prima che l'ingegnosità umana l'avesse inventata. The proof of the pudding is in the eating (la dimostrazione del budino, ovvero la prova, verifica del budino è nel fatto che lo si mangia). Nel momento che facciamo uso di questi oggetti secondo le qualità che in essi percepiamo, sottoponiamo ad una prova infallibile l'esattezza o l'inesattezza delle percezioni dei nostri sensi. Se queste percezioni erano false, anche il nostro giudizio circa l'uso dell'oggetto deve essere falso; di conseguenza il nostro tentativo di usarlo deve fallire. Ma se riusciamo a raggiungere il nostro scopo, se troviamo che l'oggetto corrisponde all'idea che ne abbiamo, che esso serve allo scopo a cui l'abbiamo destinato, questa è la prova positiva che entro questi limiti le nostre percezioni dell'oggetto e delle sue qualità concordano con la realtà fuori di noi...

Gli oggetti esistono fuori di noi e si riflettono nel pensiero. Ovvero - scrive Lenin - “le nostre percezioni e le nostre rappresentazioni sono loro immagini”. La verifica di queste immagini, la discriminazione delle vere e delle false è data dalla pratica. Quindi, dialetticamente, la verità assoluta, obiettiva, deriva dalle verità relative.

Non esiste, per il materialismo dialettico, una linea di separazione insormontabile tra la verità relativa e la verità assoluta... [Anche se] i limiti di approssimazione delle nostre conoscenze alla verità obiettiva, assoluta sono storicamente relativi... [tuttavia] l'esistenza di questa verità è incontestabile, come è incontestabile il fatto che noi ci avviciniamo a essa. I contorni del quadro sono storicamente condizionati, ma è incondizionato il fatto che questo quadro rappresenta un modello obiettivamente esistente.

Tutto questo significa - conclude Lenin - che:

la dialettica, come già spiegava Hegel, comprende in sé gli elementi del relativismo, della negazione, dello scetticismo, ma non si riduce al relativismo. La dialettica materialistica di Marx e di Engels contiene in sé incontestabilmente il relativismo, ma non si riduce a esso, ammette cioè la relatività di tutte le nostre conoscenze, non nel senso della negazione della verità obiettiva, ma nel senso della relatività storica dei limiti dell'approssimazione delle nostre conoscenze a questa verità.

La conoscenza è l'immagine del mondo esterno che si riflette nella mente umana. Questo riflesso, il quale si trasmette nell'uomo attraverso l'esperienza, è chiaramente inteso dal marxismo in termini dialettici, relativi e contradditori, condizionati sia dall'oggetto che dallo stesso soggetto ricevente. Quanto all'attività pratica, che sta alla base del processo di svolgimento e arricchimento dell'esperienza umana, essa va intesa innanzitutto come attività produttiva, nei suoi contenuti e modi storicamente organizzati. Inoltre, la prassi, dalla quale si origina la conoscenza, presuppone il formarsi di determinati rapporti fra gli uomini e con la natura; viene quindi respinta ogni indipendenza e autonomia della coscienza dai rapporti economico-sociali, che si riflettono a loro volta nella testa degli uomini. (5)

Gli uomini si associano fra di loro, organizzano la propria attività materiale, produttiva, secondo lo sviluppo raggiunto dalle forze produttive e in modi che a loro volta determinano l'insieme delle attività umane e i rapporti sociali e politici. Le forme intellettuali (filosofia, religione, arte, eccetera) costituiscono il riflesso ideologico, la presa di coscienza, di quei rapporti e di quelle attività, tutti storicamente dati e pertanto non fissi ma transitori.

(1) “Dalla presa di posizione di Marx nei confronti di Darwin, risulta chiaro - scrive G. Lukacs in Lavoro e teologia - che Marx non ammette l'esistenza di una teleologia [cioè di una conoscenza finalistica del divenire del mondo, dipendente da una volontà suprema - ndr] se non nel lavoro, ovvero nella prassi umana. Dunque in Marx la conoscenza della teleologia del lavoro va ben oltre le posizioni di predecessori anche così importanti come Aristotele o Hegel, già solo per questo fatto, che per lui il lavoro non è una delle molte forme fenomeniche della teleologia in generale: al contrario, il lavoro è l'unico punto in cui si può ontologicamente dimostrare che la posizione di uno scopo (eine teleologische setzung) è un momento reale della effettiva realtà materiale”.
Riguardo a Darwin, e alla scienza evoluzionistica nella sua formulazione, Engels scriveva a Marx:
“Per un certo aspetto la teleologia finora non era stata ancora sgominata e lo si è fatto ora.”
“E Marx, - è ancora Lukacs che commenta - il quale pure ha delle riserve nei confronti del metodo darwiniano, constata che l'opera di Darwin contiene i fondamenti storico-naturali del nostro modo di vedere”.

(2) “Anche Hegel - osservava F. Lassalle nella sua prefazione al Sistema dei diritti acquisiti - non cessa di precisare instancabilmente che la filosofia si identifica con la totalità della esperienza, che esige senza meno l'approfondimento delle scienze sperimentali. [...] I fatti senza pensiero hanno sempre solo un valore relativo, e il pensiero senza fatti ha appunto il significato di una chimera. La filosofia non è e non può essere che la coscienza che le scienze sperimentali prendono di sé.”
Attenzione però - l'osservazione è di Lenin - alle declamazioni della filosofia professorale sull'esperienza, che spesso mascherano e confondono “la vecchia distinzione tra materialismo e idealismo”.

(3) “Per i materialisti lo spirito è un fenomeno della natura, per gli idealisti è la natura un fenomeno dello spirito” (J. Dietzgen, L 'Inconoscibile 1877).

(4) Lenin aveva usato originariamente l'espressione “pretismo” (popovstcina, nel significato di oscurantismo clericale), ma la censura lo costrinse alla sostituzione con “fideismo”.

(5) “La coscienza umana, essendo indissolubilmente ancorata all'essere sociale, ha l'ineliminabile carattere di una risposta” (Lukacs).

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.