La situazione economica: la crisi e le ripercussioni sociali

La situazione economica attuale in Slovenia e Croazia ha un ventaglio di manifestazioni che vanno dalla gravità alla disastrosità vera e propria. Tra i due paesi è certamente la Croazia ad essere nella situazione più critica e vicina al punto di non ritorno. Oltre alla disatrosità in cui versa l'apparato produttivo e alle sconclusionate scelte di politica economica del governo, quello che pesa sulla Croazia è lo stato di guerra prolungato nel tempo con tutto il bagaglio di distruzioni e spreco di risorse che questa comporta.

Abbiamo già osservato che alcuni anni fa il debito totale della Federazione ammontava a circa 20 miliardi di dollari all'incirca così ripartiti:

Debito (mld$) Paese
6,165 Serbia
3,68 Croazia
2,946 Slovenia
2,125 Bosnia Hercegovina
0,97 Macedonia
0,68 Montenegro

Nel debito della Serbia è compreso quello della Vojvodina (1,151 miliardi di dollari) e del Kosovo (0,8 miliardi di dollari). L'impegno del pagamento del debito di certo parteciperà allo strozzamento di quei tentativi di finanziamento delle industrie e delle attività pubbliche che ogni Stato deve portare a termine per rappresentare una entità economica minimamente competitiva o solo presentabile. Quest'anno,ad esempio, la Slovenia deve restituire ad istituzioni paragovernative e a banche straniere la somma di 403 milioni di dollari; del totale, 302 milioni sono il prestito e 101 milioni gli interessi. Il paese, infatti, si è accollato l'onere del pagamento del debito anche del passato quando faceva parte della Federazione. Ci sembra comunque più un'operazione di immagine che una dimostrazione di salute dello Stato Sloveno. L'accollarsi della propria parte di debito, passata e presente, significa anche ricerca di altri prestiti sul mercato internazionale dei capitali, in una situazione in cui alla Slovenia non basta l'export o l'accumulazione interna per frenare il dissanguamento. Metter mano alle riserve in valuta è quanto mai inutile e insufficiente visto che il loro ammontare totale, a maggio, era di 630 milioni di dollari, mentre raggiungeva il miliardo di dollari a settembre.

Sulle cifre prima esposte riguardanti l'entità del debito il governo Sloveno ha ammesso di voler pagare interamente la sua parte, ma ha corretto il tiro rispetto alle aspettative generali, dichiarando di accollarsi la cifra di 1,7 miliardi di dollari ottenuti in prestito dalle proprie imprese.

Sulla possibilità reale di evadere queste pendenze giocheranno una serie di fattori:

  • la politica di ristrutturazioni dell'apparato produttivo e distributivo;
  • la ristrutturazione dello stato sociale e della finanza pubblica più in generale.

Da questi fattori dipenderà il successo nella ricerca di denaro sul mercato finanziario internazionale e la risposta conseguente dell'insieme dell'economia a queste politiche.

Fra i 403 milioni di dollari da pagare entro quest'anno vi sono 90 milioni del Club di Parigi (che alla Slovenia ha prestato in totale 312 milioni di dollari). Anche la Germania è ai primissimi posti fra i creditori della Slovenia. Per quanto riguarda l'Italia, i prestiti a lungo termine ammontano a 45 milioni di dollari, quelli a breve a 66 milioni di dollari.

Ma se la Slovenia deve fare i conti con la propria situazione economica, perché è con l'efficienza della produzione e con la presenza sul mercato con prodotti di qualità a prezzi competitivi che si misura l'efficienza dell'apparato economico, allora questa è proprio messa male: la produzione industriale era scesa ancora nei primi mesi dell'anno dell'11% e se il prodotto nazionale lordo pro-capite prima della guerra era di 4 118 dollari oggi è di 1 080.

In Croazia la situazione non è certamente migliore, laddove in primavera il governo ha congelato i depositi bancari dei cittadini, precisando più in là nel tempo che sarebbero stati trasformati in debito pubblico e che dai vecchi depositi in valuta si sarebbe potuto prelevare periodicamente un contingente di danaro in dinari croati. L'obiettivo per lo Stato croato è quello di finanziare la guerra ed in particolare l'acquisto di armi. Ed è proprio la "necessità" della guerra ad aver provocato in Croazia danni per 20 miliardi di dollari. Sono distrutte un terzo delle strade nazionali, demoliti 49 ponti, il 38% delle ferrovie è inagibile. Un quarto della superficie agricola è inutilizzabile; la produzione agricola è diminuita del 35%. Il sistema elettro-energetico ha perso circa un 1/3 delle capacità produttive e la raffinazione del petrolio è diminuita del 40%. I dati economici parlano chiaro: l'inflazione è del 30% mensile medio; il PNL è costantemente in discesa. Circa 20 000 imprenditori privati hanno cessato la loro attività, mentre nella sola Zagabria 2 000 aziende hanno dichiarato bancarotta. La situazione sul fronte del lavoro è la seguente: 1 300 000 persone sono disoccupate, mentre quelle con lavoro figurano essere 1 200 000.

Quello che risalta però di più agli occhi è che nonostante le dichiarazioni sull'avvenire, fatte dai rispettivi Stati, riguardo l'affare fatto con la separazione dall'ex Federazione, ad una lettura attenta dei dati economici risulta invece che ora la situazione è molto più complessa che nel passato. Ora Slovenia e Croazia hanno perso la maggior parte del mercato ex-jugoslavo e dell'Est Europa. Dal 7,3 nel 1990 ad appena il 2% negli ultimi mesi del 1991 era scesa la vendita di prodotti sloveni nel territorio dell'attuale nuova Federazione Jugoslava (Serbia e Montenegro), mentre gli acquisti sloveni nello stesso periodo erano scesi dal 6,7 ad appena l'1,4%, sempre nella Federazione Serbo-Montenegrina.

A metà luglio 1992, la quota di vendita della Slovenia sui mercati delle ex repubbliche jugoslave è passata al 10% (era al 25% prima della guerra), mentre per le importazioni è passata al 10% (era al 20%. Nei primi sette mesi del 1992, esclusi gli stati dell'ex Federazione, le esportazioni in Slovenia sono aumentate del 2,8% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Le importazioni, invece, hanno subito una diminuzione del 11,9%. Nel mese di luglio 1992 la bilancia commerciale slovena ha registrato un deficit di 484 mila dollari nell'interscambio coll'estero, esclusa l'ex Federazione. L'indice negativo sloveno nell'interscambio con la Croazia ha toccato a luglio i 14235 dollari. Indici positivi si segnalano solo nelle relazioni commerciali con la Bosnia-Hercegovina e con la Macedonia. Lo stesso porto di Koper in Slovenia ha perso con la separazione dalla Federazione, una bella fetta di mercato. A questo proposito, Rudi Dujc, direttore generale del porto dichiara:

Serbia e Voivodina erano clienti per circa un milione di tonnellate di merci. I grandi silos destinati all'esportazione di granaglie sono stati costruiti pure con investimenti serbi. Sono perdite difficili da coprire e certamente non in tempi brevi [!].

Le ragioni di questo crollo dell'interscambio con gli stati dell'ex Federazione vanno ricercate in una serie di motivi:

  • mancanza di fondi dirottati ora sua altre produzioni e distribuzioni (militare ecc.), nonché sul settore pubblico;
  • la forzata serbizzazione di quasi tutte le imprese slovene in Serbia, imprese che avevano colà proprie filiali e società miste. Lo stesso procedimento viene attuato oggi da Croazia e Slovenia nei confronti delle entità dell'ex Federazione;
  • la cronica mancanza di liquidità da parte degli acquirenti serbi. Causa la fortissima inflazione era fortemente diminuito il potere d'acquisto delle popolazioni serbe e montenegrine.

Quindi, di punto in bianco la proprietà slovena era stata estromessa essendo stata acquisita illegalmente da elementi locali. Qualche ditta slovena era riuscita ad aggirare l'ostacolo formando nuove società miste, appoggiandosi anche a ditte che giuridicamente erano tedesche o italiane, mentre il loro capitale era sloveno. Causa i seguenti avvenimenti bellici in Croazia erano paurosamente diminuiti i trasporti di merce. Tale impedimento era stato aggirato passando per l'Ungheria. I camionisti sloveni, però, preferivano non inoltrarsi in territorio serbo paventando di vedersi rubare merce ed automezzi. Nei primi mesi del 1992 l'interscambio era "migliorato". Aggirando una serie di ostacoli politici tra l'industria serba e quella slovena si stava arrivando ad un nuovo tipo di rapporti basati sull'interscambio merce e non più sul pagamento in denaro. Numerose ditte slovene, sia industriali che commerciali, avevano inoltre costituito nei paesi dell'Europa occidentale (anche in Italia, nelle zone confinarie) delle ditte di import-export che operavano sul mercato serbo in qualità di ditte occidentali, ottenendo in valuta pregiata il pagamento delle forniture. In tal modo i prodotti sloveni figuravano esportati in Occidente e non in Serbia. Attualmente, comunque, l'industria slovena in passato prosperante proprio grazie alla vendita dei suoi prodotti sui mercati meridionali dell'ex Jugoslavia, nei quali otteneva prezzi migliori che altrove, non è in grado di trovare nuovi sbocchi alternativi nei mercati d'Occidente, anche perché questi sono saturi. Per fare un ultimo esempio, l'interscambio Italia - Slovenia è stato molto elevato (1,5 miliardi di dollari) nel 1990 quando la piccola repubblica era ancora parte della Federazione Jugoslava. Gli avvenimenti del 1991, a cominciare dalla dichiarazione di indipendenza, hanno fatto crollare gli scambi. Infatti nei primi 10 mesi del 1991 è di 538 milioni di dollari il valore delle esportazioni e di 481 milioni di dollari quello delle importazioni.

Il monopolio dei processi di mediazione commerciale di cui si parla più sopra era ed è tuttora detenuto dalla Ljubljanska Banka, che controlla una serie di ditte di import-export con partecipazioni di maggioranza. Questa banca, deteneva nel 1991 l'87% della massa fiduciaria del paese. Essa ha 22 uffici di rappresentanza all'estero ed una serie di filiali. A Francoforte e a Vienna ha il controllo di maggioranza di 2 banche specializzate nell'import-export; a New York controlla la LBS Bank. La Ljubljanska Banka mantiene contatti con 1230 istituti bancari a livello internazionale; i corrispondenti italiani sono 116, con 29 di essi ha rapporti di conto diretti. All'Italia è destinato il 13% dei pagamenti della banca. Nel vecchio sistema Federale, la Banca di Lubiana era al 3o posto e al 1o per ciò che riguarda l'import-export. Nelle classifiche mondiali essa è al 171o posto, in quelle europee all'82o. Il complesso della banca è formato da una consociazione di banche locali.

Della "corsia preferenziale" dei rapporti imperialismo tedesco - Slovenia e Croazia, nonché dell'interesse vorace del primo nei confronti di questi paesi, abbiamo già accennato. Il rapporto particolarmente confidenziale fra questi stati se da una parte permette alla borghesia slovena e croata di sopravvivere alle tempeste attuali, dall'altra consegna di fatto le suddette borghesie in mano allo straniero. E la borghesia locale questo lo sa: alla invadenza del capitale germanico che di giorno in giorno si fa sempre più pesante, la borghesia locale ha risposto con una legislazione che "dovrebbe" porre il tetto all'ingresso del capitale straniero in Slovenia al 5 per mille del capitale totale investito, anche se ci sono dubbi sull'attuazione della legge e vedremo più avanti i dati in proposito che giustificano le virgolette più sopra.

La stessa Bank Austria con sede a Ljubljana, ha una partecipazione dell'1 per mille sul capitale totale della banca. Ma è certo che quello che conta per il capitale germanico è che l'economia di riferimento sia la propria e le transazioni siano fatte in denaro tedesco, fatto assicurato dalla grossa presenza di risparmio privato degli sloveni in divise austro-tedesche, che elimina in parte la contraddizione di dover sempre aver a che fare con un cambio tallero/marco oscillante e con l'inflazione slovena piuttosto alta. A primavera compresa l'87% degli investimenti in Slovenia erano fatti nell'ordine da: Austria, Germania, Italia. I capitali italiani investiti in Slovenia sono 1/4 di quelli tedeschi ed austriaci insieme. Fiore all'occhiello dell'investimento italiano in Slovenia è una fabbrica di camion a Maribor ad opera dell'Iveco, già prima della dichiarazione d'indipendenza. I capitali esteri investiti in Slovenia ammontano a 700 milioni di dollari. Si calcola che per dare una scrollata in positivo al paese ci vorrebbero almeno altri 2 miliardi di dollari. Alcuni passi si stanno facendo da parte italiana per entrare in Slovenia con delle attività economiche, la fase è ancora circospettiva, i passi sono timidi. A Gorizia in marzo è stato firmato un accordo per una joint-venture di quasi 2 miliardi di lire nel settore alimentare. Contemporaneamente la Fiat ha aperto a Ljubljana un ufficio di rappresentanza. La Slovenia, infatti, è un mercato molto appetibile anche se limitato. La Fiat sta portando avanti una promozione pubblicitaria e di immagine per commercializzare i marchi (Fiat,Alfa Romeo, Lancia) della casa torinese. L'obiettivo è quello di raggiungere quota 3 000 nelle vendite da qui a tre anni, cioè l'8% del mercato sloveno. La concorrenza sarà spietata visto che la maggior parte della penetrazione di macchine è stata portata avanti da tedeschi e giapponesi. Attualmente l'Alfa Romeo è rappresentata, in Slovenia, dalla Cosmos-Autotehna, mentre negli ultimi tempi le Fiat sono state commercializzate dalla triestina Adriaimpex.

Ma la "confidenza" fra queste borghesie ha fatto si che nel Natale 1991 il premier sloveno Peterlè abbia inviato una lettera a Kohl in cui chiedeva 2 500 000 marchi, di cui 1 200 000 per finanziare la copertura valutaria del tallero sloveno. Dall'altra parte gli Austriaci, ricambiando le "confidenze", hanno posto come condizione per la concessione dei propri finanziamenti per la costruzione di un mega impianto idroelettrico, la chiusura della centrale nucleare di Krsko, che fornisce gran parte dell'elettricità necessaria alla Slovenia e in parte alla Croazia. Dietro il paravento della tutela ambientale si crea così un mercato per l'elettricità prodotta coi finanziamenti austriaci.

Gli Austriaci si stanno inserendo in Slovenia con numerose joint - venture cha vanno dalla partecipazione in piccole e medie aziende industriali a quella in aziende commerciali. Lo scorso inverno la banca slovena "A-Banka", i cui azionisti sono alcune grosse aziende slovene, ha aperto le porte alla Federazione delle casse rurali austriache. Il 14 luglio apprendiamo che il sistema delle casse rurali austriache s'è inserito con forza nella realtà bancaria slovena acquistando il 35% del pacchetto azionario della "A-Banka" di Ljubljana. La Raiffeisen Zentralbank di Vienna ha investito per l'acquisto di queste azioni, 13 milioni di marchi tedeschi e tre suoi rappresentanti sono entrati a far parte del consiglio d'amministrazione. Appena la Slovenia si inserirà nelle istituzioni finanziarie internazionali (probabilmente entro fine anno) arriverà un nuovo socio straniero. Si tratta dell'americana "International Finance Corporation" che acquisirà il 15% delle azioni. In tal caso la metà del capitale di questa banca lubianese sarebbe straniero. La "A-Banka" opera in Slovenia già da diversi anni ed è con l'11%, la terza per consistenza sul mercato. Sui mercati internazionali mantiene rapporti di corrispondenza con un migliaio di istituti bancari. In questo modo aumenta notevolmente la presenza finanziaria austriaca sul mercato sloveno. Infatti, già operano a Ljubljana la Creditanstalt e la Austria Bank.

Anche la "Nova Banka" è in trattative per passare il 50% delle proprie azioni all'austriaca "Credidanstalt-Bankverein". L'apporto di 6 o 7 milioni di marchi tedeschi al capitale sociale in realtà non porterebbe a grossi vantaggi interni. Favorirebbe altresì i rapporti coll'estero. L'attuale "Nova Banka" detiene oggi una minima parte del commercio estero della Slovenia; tra il 3 e il 5%. Il nuovo istituto aprirebbe delle filiali con lo scopo di assumere una parte nel controllo dell'intermediazione commerciale e nei pagamenti. Dalla fusione di queste entità finanziarie ne discendono dei "vantaggi", ma solo per i possessori di valuta pregiata, in quanto possono ritirare i propri soldi in qualsiasi filiale della banca in territorio austriaco. Lo stesso avviene per coloro che depositano le loro valute nella "R-banka" sia in Austria che in Italia, visto che in tal senso è stato raggiunto un accordo con la Cassa di Risparmio di Gorizia. Anche la Croazia da parte sua vanta dei rapporti coi tedeschi i quali hanno affidato la costruzione di 4 portacontainer al cantiere di Scoglio Olivi a Pula. Ma non solo: al di là delle acquisizioni portate a termine, le istituzioni del capitale austro-tedesco divengono intermediarie e consigliere del governo croato e delle sue realtà produttive.

Il governo Sloveno bloccò nell'autunno 1991 tutti i conti in valuta dei propri cittadini. Questi conti erano addirittura 800 000 su una popolazione di 2 000 000 di abitanti. Il governo Sloveno (similmente alla strada percorsa dai Croati, ndr.) avrebbe voluto congelare questi depositi (oltre 2 miliardi di dollari) e trasformarli in debito pubblico per finanziare le spese inerenti lo sviluppo economico dello Stato "indipendente". Ma la relativa legge non è mai stata approvata: i risparmiatori sono infatti anche elettori. La Ljubljanska Banka dal canto suo, ha dato inizio a partire dal 1o febbraio 1992 al pagamento di un 1o acconto di 500 marchi tedeschi a persona, mentre un 2o acconto dello stesso valore veniva pagato il 1o marzo.

Nonostante sia la Croazia ad avere la maggior concentrazione industriale di tutta l'ex - Federazione, è la Slovenia ad avere le chance maggiori per un "inserimento" nei salotti buoni della comunità capitalista proprio grazie alla rete di supporto all'intermediazione commerciale costruita durante gli ultimi decenni, rete già florida sotto il periodo titoista. L'inserimento, se per questo intendiamo l'esser parte del sistema imperialista internazionale coi suoi intrecci di interessi e contraddizioni insanabili, c'era già e raggiunse il suo massimo sviluppo proprio nella fase titoista. Ora l'inserimento ha assunto una forma diversa, è cambiata la fase della vita del capitalismo, ma è presente, e la dipendenza di fatto dei 2 stati dall'imperialismo germanico lo sta a dimostrare. Inserimento, infatti, non significa in termini capitalistici una presenza egualitaria, disinteressata e per "il bene comune" delle dipendenze fra i vari paesi.

Secondo la Camera d'Economia Croata, la produzione industriale in Croazia ha subito lo scorso gennaio un incremento del 13,5% rispetto a dicembre. A febbraio il balzo è stato del 22%. Se l'andamento dovesse proseguire, entro la fine dell'anno la produzione si attesterà al 90% rispetto al 1990.

Nei grossi centri industriali della Croazia, però, a maggio la situazione è ancora la seguente rispetto al 1991 sempre a proposito della produzione industriale: Labin -25,2%, Rijeka -12,2%, Pazin -5%. Ed in particolare su Rijeka abbiamo i dati di un anno fa rispetto ai quali fare un confronto: questa città è tra le più industrializzate della Croazia, certamente rappresenta un polo economico rilevante.

Settore Variaz. produz.
metalmeccanico -40,6%
industria navale -34,2%
elettroenergetica -31,1%
industria del petrolio -24,6%
produzione generi alimentari -20,5%
industria della carta -16,5%
produzione mezzi di trasporto +122,3%
materiale edile +70,9%
produzione alcolici ed analcolici +15,6%
Valori della produzione industriale per settore

Se consideriamo il primo semestre del 1992 interamente e lo confrontiamo con il medesimo periodo del 1991, vediamo che la produzione industriale è scesa del 13,4% a Rijeka. Nella medesima città, nello stesso periodo lo standard di vita è sceso del 40,3%.

Per quanto riguarda la situazione delle singole attività industriali o commerciali di Rijeka vediamo che: la cokeria di Buccari ha un passivo di 91 miliardi di dinari croati, 170 miliardi la "Vulkan", 1993 miliardi il cantiere "3 maj", 170 la "Jadrolinija", 341 miliardi la "Croatia Line", 256 miliardi la Cartiera, 243 miliardi il cantiere di Kraljevica, 91 miliardi il "Delta". E se ci addentriamo sui dati della ripercussione sociale di tutto questo sfacelo, apprendiamo che se a fine 1990 a Rijeka lavoravano 70 592 persone a fine 1991 queste sono diventate 59 248. Contemporaneamente i prezzi al minuto sono aumentati rispetto ad un anno fa del 120%! L'anno scorso le importazioni sono salite in Croazia del 6,2%, le esportazioni hanno subito una riduzione del 9,3%. Il deficit dell'interscambio commerciale s'è attestato sugli 1,8 miliardi di dollari. Nei primi 2 mesi di quest'anno la Croazia ha esportato merci per un valore di 488 milioni di dollari (il 38% dell'importo è stato realizzato sui mercati delle ex repubbliche jugoslave); fuori dai confini della ex Federazione sono state vendute merci per un valore di 299 milioni di dollari, cioè il 47% delle esportazioni realizzate nei mesi di gennaio e febbraio 1991. Le importazioni nei primi 2 mesi dell'anno si sono attestate sui 378 milioni di dollari. Nonostante tutto, però, all'inizio dell'estate la situazione in Croazia era ancora la seguente (la più grave di tutto il semestre): produzione inferiore all'anno precedente del 30% con relativa diminuzione delle entrate per lo Stato che invece ne avrebbe tanto bisogno: nel 1990 ogni 100 dinari di guadagno dello Stato 98 erano indirizzati alla spesa pubblica, ora questa cifra ha toccato i 130 dinari ogni 100 guadagnati! L'inflazione lo scorso anno è stata del 349%, la disoccupazione è aumentata del 44,9%, lo stipendio medio mensile è di soli 150 marchi mentre era di 800 poco prima del conflitto. Il governo avrebbe bisogno di un bilancio di 475 miliardi di dinari croati, ma il bilancio attualmente prevede solo 270 miliardi di dinari croati e secondo affermazioni dello stesso governo solo il 65% potrà essere onorato! Tra le entrate erano previsti 100 milioni di dollari delle vendite degli appartamenti sociali mentre ne sono stati realizzati solo 6. Del problema delle privatizzazioni degli alloggi parliamo più oltre evidenziando il fallimento di questa politica. Erano inoltre previsti 130 milioni di dollari in conto aiuti finanziari esteri ma finora non s'è visto un soldo; era stato previsto che la diaspora croata avrebbe acquistato azioni per un valore di 120 milioni di dollari, ma finora siamo ancora lontani da un ingresso massiccio di investitori della diaspora. Le uniche spese che il governo croato onorerà saranno quelle per la difesa e per i sussidi agli sfollati che ormai sono 700 mila, e che ogni mese assorbono 60 milioni di dollari in aiuti, e nel settore delle costruzioni dove sono previste spese per 40 miliardi di dinari croati. La crisi colpisce innanzitutto i servizi di cui usufruiscono principalmente i proletari, come ad esempio il trasporto pubblico. Dal 3 agosto, tanto per fare un esempio, l'azienda municipalizzata per i trasporti pubblici di Pula "Pulapromet" è ricorsa al taglio delle corse meno rimunerative. Taglio che ha interessato una quarantina di linee suburbane, nonché i collegamenti dopo le 21 in città. È questo il modo con cui si cerca di far fronte al disavanzo che ha superato i 30 milioni di dinari. Inoltre, 3 dei 15 meccanici sono in cassa integrazione, mentre 15 autisti sono in ferie forzate in quanto 11 autobus sono fermi mancando i pezzi di ricambio e i soldi per comperarli. Ai conducenti era stata ventilata l'ipotesi di gestire privatamente gli autobus ed i collegamenti. Nessuno di loro ha però accettato perché ai costi attuali non coprirebbero le spese.

Il 16 aprile sono state poste in vendita le prime obbligazioni della Repubblica, il cui importo è di 50 milioni di marchi e comportano un tasso d'interesse annuo del 9,25%. Al momento sembra non abbiano riscosso un gran interesse. D'altronde non potrebbe essere diversamente in un paese dove il governo svaluta costantemente la divisa (del 22% il 5 marzo e del 40% il 18 aprile) e banche di una certa rilevanza come la "Banca Istriana" di Pola ha un buco di 7 milioni e 600 mila dinari croati.

In Slovenia, finora, l'intervento del capitale straniero riguarda l'acquisizione del patrimonio mobiliare/immobiliare locale o le joint-venture con le poche realtà produttive. Nella crisi profonda dell'economia slovena lo Stato ha dovuto prendere degli accorgimenti tanto necessari quanto formali come la svalutazione ripetuta della moneta al fine di riuscire a smerciare i suoi prodotti tanto che dal 8 ottobre 1991 alla fine della primavera 1992 il tallero aveva già perso nei confronti delle altre monete il 70% della valutazione iniziale. Oltre ai già citati problemi economici nazionali e alla dubbia posizione nel contesto internazionale che la Slovenia avrà nell'immediato e breve termine, negli ultimi tempi si è proposta con una certa virulenza la lotta commerciale tra la Slovenia stessa e la Croazia. Tra i due stati non corre buon sangue e al di là del fatto che fra queste due borghesie non abbiamo preferenze, bisogna ammettere che è la Croazia a far la parte del leone in questa diatriba commerciale, soprattutto per mezzo del proprio dichiarato ultra-nazionalismo. È dagli alti livelli che partono le bordate contro gli sloveni, perché è lo stesso Tudjman a dichiarare:

La Slovenia ci ha sfruttato per anni, gli sloveni hanno colonizzato la nostra terra.

La guerra commerciale ha portato all'imposizione protettiva di dazi sulle merci dell'avversario in entrata nel proprio suolo nazionale. I Croati sono arrivati ad imporre il 23,5% sulle merci importate dalla Slovenia. In particolare per le automobili i dazi vanno addirittura dal 26 al 33,5%. Anche nei confronti di Bosnia e Macedonia è stato abolito il dazio preferenziale ed è stato portato, similmente a quello nei confronti della Slovenia, al 23,5%. La perdita di competitività delle produzioni slovene in territorio croato significa per diverse imprese della Slovenia fare i conti con una situazione pesante. Ad esempio per la Radenska che esportava il 40% delle sue acque minerali in Croazia e solo il 5% in Italia ed Austria. Una ditta di costruzioni di Nova Gorica che si vede impossibilitata ad esportare manufatti di cemento e anche a condurre alcuni cantieri, dovrà "per forza di cose" ridurre il proprio personale.

Diverse ditte del settore lattiero-caseario si vedono bloccate le forti esportazioni. Molto forte anche il danno dell'industria chimica e cartaria. Per il previsto calo dei trasporti saranno colpiti l'autotrasporto e le ferrovie. La Slovenia ha risposto quasi immediatamente a queste misure con aumenti dei dazi che vanno dall'1 all'8,5%. Prima dell'imposizione dei dazi da ambedue le parti, grazie alla alta quotazione del tallero gli sloveni facevano la spesa in Croazia. A Zagabria si calcolava in un buon 10% dell'esportazione croata in Slovenia l'incidenza di acquisti di questi "importatori spiccioli". Anche le merci di produzione slovena costavano di meno nei negozi croati e questi si vuotavano con una certa facilità. Dopo le imposizioni di diritti doganali tutto ciò non sarà più possibile. Fra i due paesi sono intervenuti accordi pure riguardo le zone di pesca, rispetto alle acque territoriali dei due paesi. Un accordo è stato siglato sulla quantità di 3 000 tonnellate di azzurro pescabile dietro indennizzo nelle acque territoriali croate. Vi è poi la questione della filiale zagabrese della Ljubljanska Banka che deve ancora 500 milioni di dollari ai risparmiatori croati: a Ljubljana si difendono sostenendo che questi soldi se li sono fregati in precedenza a Belgrado...!

Innumerevoli provocazioni sono state portate a termine dalla Croazia nei confronti della Slovenia, visto come nuovo nemico su cui concentrare l'attenzione interna. Abbordaggi di pescherecci sloveni, ripetuti sconfinamenti aerei dei mig di Zagabria, sconfinamenti di guardie di frontiera croate nell'entroterra capodistriano e arresto di contadini sloveni ignari rilasciati il giorno dopo, nonché militari croati armati che hanno attraversato il confine della Dolenjska e in una trattoria in territorio sloveno hanno terrorizzato i clienti: questi sono alcuni esempi della barbarie a cui si è giunti!

Alla luce di questi fatti vanno viste le mancate ratifiche, o meglio la loro dilazione nel tempo, degli accordi di cooperazione economica fra i due paesi. L'accordo firmato il 2 febbraio 1992 prevede:

  • facilitazioni amministrative e fiscali per lo scambio di merci (con un diritto doganale simbolico dell'1%) e forza lavoro;
  • creazione di zone franche economiche fra i due paesi.

La Slovenia ovviamente non è immobile alle provocazioni e così il Parlamento Sloveno continua a non dare la sua approvazione alla costruzione dell'autostrada Maribor-Zagabria, di interesse vitale per la Croazia. Ma non basta: non verranno accettati cittadini croati negli ospedali sloveni se non per casi urgenti. Motivo? I debiti degli enti assicurativi croati nei confronti della sanità slovena ammontanti a 900 milioni di lire!

Bisogna poi evidenziare le mire slovene inerenti la revisione dei confini con la Croazia; gli sloveni rivendicano pervicacemente l'intero golfo di Piran fino a Punta Salvore, scatenando le ire dei croati con annesse minacce di "tremende condanne"!

La situazione in Croazia precipita

Dopo le elezioni del 2 agosto il governo ha impostato la propria condotta per i prossimi periodi. L'imposta sulle paghe si ridurrà dall'11,5 al 10%. Nelle aree di crisi il balzello si aggirerà tra il 4 e il 6%. Non si pagherà più la tassa sugli stipendi inferiori ai 13 000 dinari croati. Queste modifiche sono possibili grazie all'allargamento della base contributiva. Lo Stato ha introdotto il monopolio su produzione e vendita del tabacco, delle bevande alcoliche e nel settore delle lotterie. L'Esecutivo ha bloccato l'indicizzazione delle paghe nel settore pubblico, mentre in quello privato non ci sono per ora "limitazioni". Per quanto riguarda le privatizzazioni, il governo non è molto soddisfatto di come stanno procedendo, nel senso che le richieste sono poche: al 24 giugno le richieste per la trasformazione della proprietà erano 500. Al 22 settembre l'assenso alla privatizzazione è stato dato a 348 imprese. Di queste, 17 sono state quotate in borsa. Per quanto concerne le privatizzazioni e il processo più generale di ristrutturazione industriale, la borghesia croata è di fronte ad un dilemma e lo rappresenta in ogni momento della sua attività politica; da una parte ci sarebbe l'esigenza di finanziare massicciamente le imprese, dall'altra c'è la realtà oggettiva che porta il governo a frenare la consistenza di un debito pubblico che rischia di non essere pagato da nessuno. Partendo dalla considerazione che l'apparato produttivo croato è attualmente utilizzato solo per il 40% delle potenzialità, si capiscono i "pensieri" che ciò genera nei borghesi, anche considerando tutti gli altri parametri economici principali. Perciò il "Comitato Direttivo della Camera d'Economia" ha presentato al governo un programma in 11 punti per combattere il momento difficile. Tra questi punti, vi sono tutti i tipi di facilitazioni per il capitale ed i capitalisti. E così, mentre al proletariato si bloccano le paghe e queste perdono in potere d'acquisto e si erode salario indiretto, ai capitalisti "andrebbe garantito il capitale iniziale in quanto è preferibile creare disavanzo pubblico che coprire il deficit a spese degli imprenditori ai quali verrebbe negata in questa maniera la possibilità di operare sul mercato e contribuire alla ripresa economica". Tra gli altri punti pure l'eliminazione della locale I.V.A. e delle imposte doganali sull'equipaggiamento e le attrezzature per gli imprenditori. All'indirizzo della "Agenzia per la ristrutturazione e lo sviluppo della Croazia" sono giunte 2 383 richieste da parte di altrettante aziende "sociali". Significa che il 67% delle aziende croate ha presentato un programma di ristrutturazione. Finora dall'Agenzia sono state approvate ristrutturazioni in sole 150 aziende "sociali". Per fare un esempio, a Rijeka, il 65% delle aziende ha redatto [e solo redatto - ndr] i progetti inerenti la privatizzazione o la ristrutturazione inviandoli per tempo alla "Agenzia Statale per lo sviluppo e la ristrutturazione". Le aziende che non lo hanno fatto avranno tra breve dei consigli d'amministrazione (dello Stato, ndr.) a reggere le loro sorti in attesa di un "cambiamento proprietario": in pratica chi se le gira di mano in mano alla fin fine è sempre il... bistrattatissimo Stato! Il costo per il rientro dei profughi è stato calcolato in 200 milioni di dollari, mentre le spese per il rinnovamento del patrimonio edilizio sono valutate sui 6,5 miliardi dollari. Queste saranno delle grosse gatte da pelare per il governo, che intanto prevede un bilancio statale incrementato dell'ordine di 456 miliardi di dinari. Onde ridurre le spese militari che assorbono una grossa fetta delle spese si prevede la smobilitazione di 65 000 soldati. Il 36% delle entrate preventivate del bilancio repubblicano si basa su fonti poco affidabili quali l'aiuto estero, i crediti, la vendita delle obbligazioni. Lo scopo che si proporrà nei prossimi mesi il gabinetto Greguric, onde ovviare a tutti questi problemi, sarà il contenimento della spesa pubblica... (ovviamente).

Intanto le tariffe dei servizi pubblici aumentano costantemente, come pure quelle degli affitti. Per non parlare poi dei generi di prima necessità: in giugno i prezzi dei generi alimentari sono saliti del 21,8%. Mantenere una macchina diventa una chimera per la maggioranza della popolazione croata: se lo stipendio medio è di 25 000 dinari e il pieno di benzina costa 9 200 dinari si capisce che una famiglia o fa il pieno o mangia! Se consideriamo poi che farsi la patente costa oggi 50 000 dinari... non ci sono altri commenti da fare! In compenso però, alle mazzate sui generi di prima necessità corrisponde la diminuzione della locale I.V.A. sui prodotti di lusso, oro, pietre preziose e prodotti di bellezza di un buon 30%.

La violenta crisi economica ed occupazionale sta provocando l'esodo della popolazione verso situazioni migliori: sono 40 gli operai che mensilmente partono dal cantiere di Scoglio Olivi a Pula per trovare sistemazione all'estero. In questo cantiere (ora costituente holding finanziaria) nel 1 990 i dipendenti erano 8 079, nel 1991 si è scesi a 7 350 mentre oggi ve ne sono 6 139. Il calo è stato dovuto ai prepensionamenti e all'esodo economico. Ma non stupisca il termine "holding", perché non per ciò lo scalo polese ha risolto i suoi problemi. Il 13 agosto infatti agli operai non sono stati pagati gli stipendi. Ma il cantiere di Pula non è il solo a soffrire della grave crisi: il vicepresidente del governo croato Jurica Pavelic ha annunciato che la metà dei cantieri navali croati rischia la chiusura causa "il momento congiunturale negativo". Un altro cantiere ad avere seri problemi è il "3 maj" di Rijeka, uno dei maggiori attualmente operanti nel Paese, che assieme all'Ente Portuale è la colonna vertebrale del mondo economico della summenzionata città. Ma mettere il sigillo al "3 maj" significherebbe buttare in strada quasi 5 000 operai con imprevedibili conseguenze sociali per tutta l'area attorno a Rijeka: attorno al cantiere vivono migliaia di sub-fornitori. Il cantiere ha forti debiti, ma le commesse per ora ci sono: richieste sono pervenute e pervengono da Cecoslovacchia, Israele, Germania, Svezia. Cinque navi all'anno sono assicurate. Negli ultimi 2 anni circa 2 000 lavoratori hanno lasciato il cantiere per varie cause:

  • per cercarsi un posto migliore;
  • a causa dei prepensionamenti che hanno riguardato 650 persone;
  • a causa del conflitto che ha fatto fuggire 300 persone di nazionalità serba.

Attualmente dei 4 950 lavoratori del "3 maj", 3 255 sono croati, 684 i serbi, 522 gli jugoslavi, 176 i musulmani ecc. In barba al "faremo tutto da soli" del profeta Tudjman. Ai primi di settembre il cantiere "3 maj" è tra i fondatori della compagnia armatrice "Kvarner Shipping". I soldi però arrivano dall'estero [ovviamente - ndr] con agevolazioni creditizie varie. Il "piano" è quello di permettere per i prossimi anni il consolidamento finanziario del cantiere, per mezzo degli introiti in valuta della società armatrice.

Ma il peggioramento delle condizioni di vita proletarie non si ferma qui. Mandare un figlio a scuola sta diventando proibitivo: si parte dai 10 000 dinari per il corredo scolastico e se si debbono comprare i libri di testo per le elementari arriviamo a 23 000 dinari croati ma per il liceo dovremo salire a 35 000 dinari croati! Veniamo a sapere che molte famiglie non riescono a mandare i loro figli a scuola o che mandano intanto a scuola il più grande dei figli rimandando di uno o più anni l'inserimento scolastico degli altri. Finirà che andranno a scuola solo i ricchi; infatti, nei negozi in cui anni fa si faceva la fila per comprare libri e materiale scolastico vario ora non c'è più nessuna ressa per compere e prenotazioni del materiale didattico! È sicuro che una grossa fetta della popolazione in età scolare rimarrà fuori da ogni rapporto con l'istituzione scolastica. Stesso discorso per gli asili, dove per le masse è impossibile lasciare i propri figli, visto il livello che hanno raggiunto le rette, non solo negli asili privati ma pure in quelli pubblici. Sul problema dei libri scolastici si sono catapultati i Sindacati Autonomi della Croazia, per chiedere al governo di:

intraprendere provvedimenti urgenti volti ad assicurare libri di testo gratuiti per...bambini che versano in condizioni sociali precarie.

L'inasprimento delle condizioni di vita degli operai e degli sfollati, infatti rischia di ricadere poi sulle piazze: i genitori non in grado di pagare i libri di testo hanno minacciato di boicottare l'anno scolastico se non saranno presi dei provvedimenti in loro favore. In qualche modo, comunque, la situazione è via di lenta soluzione: sono stati istituiti dei centri di raccolta di libri usati da ridistribuire ai bambini bisognosi e un conto per finanziare l'acquisto dei libri nuovi è stato attivato dall'assistenza sociale.

Per fare alcuni esempi sulle ripercussioni sociali della crisi economica: a Rijeka sono 2 700 le persone che ricevono il sussidio sociale minimo di 8 170 dinari, di queste 2 700 persone, 1 500 sono donne in possesso della licenza media. A Rijeka, ci sono 18 601 iscritti alle liste di collocamento e 75 000 lavoratori. A Zagabria, gli iscritti sono 61 121, mentre a Pula i medesimi sono 10 214 dei quali il 68,2% donne. Negli altri comuni della regione, confrontandoci col 1991, è stato registrato un aumento dei disoccupati soprattutto a Veglia, del 78%, e Cres - Losinij col 75% in più. In relazione al 1991 la disoccupazione in Istria ha avuto un incremento del 9,8%. Questo a metà settembre. A Opatija, ma il dato può valere pure per Rijeka e l'Istria in genere, un nucleo familiare di 4 persone spende, oggi, in media per alimenti e prodotti igienici circa 77 mila dinari. Questo importo è il doppio rispetto all'inizio dell'estate.

Lo sfascio di Rijeka è rappresentato anche dal deficit pauroso a cui sono giuntele due maggiori aziende comunali della città che rischia di bloccare il futuro dell'attività delle medesime: Autotrolej (trasporti pubblici) e "Acquedotto e canalizzazione" hanno accumulato un deficit di 115 milioni e 518 mila dinari. Le vendite al minuto in Croazia nel mese di agosto sono state in termini reali, ripuliti dall'inflazione, inferiori del 49,8% rispetto ad un anno fa. Contemporaneamente le giacenze di merce nei negozi sono aumentate del 222,4% rispetto allo stesso mese dell'anno scorso. Evidentemente la diminuzione del potere d'acquisto reale dei salari e l'incertezza complessiva nel futuro economico e politico si sono riflettuti sul mercato.

Negli ultimi mesi l'inflazione mensile in Croazia è stata la seguente:

Mese Inflazione
Maggio 24,4%
Giugno 15,1%
Luglio 23,5%
Agosto 21,0%

Dal luglio 1991 al luglio 1992 il totale dell'inflazione è stato del 569,5%. Inoltre nel luglio 1992 la produzione industriale in Croazia è diminuita del 28,7% rispetto al luglio 1991 e del 41,2% rispetto al luglio 1990. Nello stesso periodo la produzione di materie prime è scesa del 29,9%, quella della merce per il largo consumo del 26,7%. Un chiaro calo della produzione viene denunciato da tutti i rami dell'industria. Al primo posto la metalmeccanica con una flessione del 38,4% seguita dall'industria chimica col 35,8% e da quella della carta col 34,5% in meno. La navalmeccanica registra un calo dell'8,4%, l'industria del tabacco del 4,3%.

Nei primi sette mesi del 1992, la Croazia ha esportato merci per un valore totale di 2 974 miliardi di dollari, cioè il 31,9% in più rispetto allo stesso periodo del 1991. Nel medesimo periodo le importazioni hanno toccato il livello di 2939 miliardi di dollari, con un incremento dell'11,6% rispetto al medesimo periodo dell'anno scorso.

Anche il settore del turismo ha subito le ripercussioni generali della crisi. Se nel 1990 l'impresa turistico alberghiera "Istraturist" occupava 1 500 lavoratori fissi ed altrettanti stagionali, oggi le cifre si sono modificate verso il peggio: 960 sono i lavoratori fissi e 35 quelli stagionali! Anche il turismo, quindi, contribuisce di fatto alla distruzione di posti di lavoro e quindi di mezzi di sussistenza per la classe lavoratrice. Questa distruzione di posti di lavoro è causata dalla mancanza di turisti: quest' anno sono decisamente pochini. Reggono solo alcuni centri istriani particolarmente lontani dal conflitto e con strutture turistico-alberghiere specializzate, come Porec o Rovinj. La clientela dunque è scarsa ed è pure povera, cioè con poca "disponibilità alla spesa": la maggioranza, infatti, degli attuali turisti proviene dall'est europeo.

Per quanto riguarda il potere d'acquisto reale dei salari, nel maggio 1992 esso era inferiore, rispetto al maggio 1991, del 46,1%. Al giugno 1992, l'occupazione nel settore produttivo era calata dello 0,8% rispetto al maggio dello stesso anno e del 12,9% rispetto al giugno 1991. Negli altri settori dell'economia, la flessione dell'occupazione è stata, rispetto a maggio, dello 0,6% e rispetto al giugno 1991, dell'11,8%.

Secondo dati del Servizio di Ragioneria Sociale Repubblicano, alla fine di maggio in Croazia erano 430 le aziende sotto procedimento fallimentare. Il crack sta interessando i settori dell'industria manifatturiera, edilizia, dell'industria mineraria e del commercio. Nei primi 5 mesi dell'anno ultimata la liquidazione nei confronti di 52 ditte. Le insolvenze ammontano a 17,7 miliardi di dinari croati.

Qual'è l'attuale situazione dei conti bancari bloccati dal governo, di cui sopra abbiamo accennato? Dal primo agosto i possessori dei conti bancari possono ritirare 100 marchi al mese nel controvalore in dinari croati solo se sono ultra sessantenni con pensioni infime o studenti regolarmente iscritti. Alla "Adria Banka" di Rijeka si possono prelevare solo gli interessi maturati nei primi sei mesi dell'anno nel controvalore in dinari, ma nessuno può fare prelevamenti dell'ordine sopra esposto. Per tutti i versamenti in dinari, relativi ai vecchi depositi, le banche attingono ai fondi stanziati all'uopo dal Governo: non pagano un soldo di tasca propria.

Episodi di lotta di classe si sono avuti anche durante i mesi estivi in Croazia, sebbene le mobilitazioni non fossero generali (a parte una volta) e i livelli di scontro non di difficile gestione per il governo. Uno sciopero generale per tutta la Croazia era stato proclamato unitariamente da tutte le centrali sindacali verso la fine di luglio: la logica del dialogo e del patteggiamento però ha prevalso, tanto che il 27 luglio i sindacati e i datori di lavoro hanno firmato "la pace" e lo sciopero non c'è stato. Le paghe minime sono state aumentate a 19 000 dinari, recuperando solo in parte il potere d'acquisto dei salari! Buona prova, invece, di volontà e capacità di sciopero da parte dei ferrovieri croati. Lo sciopero del 10 agosto ha avuto un buon successo, riuscendo i ferrovieri a bloccare tutto il traffico treni in Gorski Kotar e nel fiumano. Anche a Pula l'adesione è stata completa. Tutto ciò nonostante le pressioni dei dirigenti delle ferrovie al fine di contrastare lo sciopero, e la stesura da parte dell'ente ferroviario, di liste coi nomi degli scioperanti, con evidenti intenti punitivi. L'agitazione aveva come scopo l'aumento dei salari. Altri scioperi: dal 11 al 18 agosto c'è stato lo sciopero dei pescatori dipendenti di società armatrici nella città di Rovinj. Lo sciopero era in opposizione al decreto governativo di bloccare le retribuzioni al livello di aprile. Gli scioperanti sono stati sconfitti dall'isolamento e dai rapporti di forza particolarmente svantaggiosi.

Il 28 luglio abbiamo avuto lo sciopero degli operai del cantiere di Scoglio Olivi a Pula per il rinnovo contrattuale. Non sono mancate in questa occasione parole di critica nei confronti del Sindacato accusato di essersi mosso tardi quando già buona parte degli operai erano in ferie! Ricordiamo, inoltre, che in Croazia sono state raccolte alla fine di marzo 340 000 firme su una mozione sindacale contro la caduta del tenore di vita, contro l'inflazione, contro la disoccupazione, sulla normativa per la riconversione della "proprietà sociale". Per bloccare la petizione sono state fatte molte minacce (soprattutto nelle fabbriche con manodopera femminile) e il governo ha fatto massiccio ricorso alla TV di Stato.

In Slovenia il futuro dei lavoratori è molto precario

Nella sola zona costiera (nel capodistriano) ci sono 3 000 nuovi cassintegrati! Sempre nel capodistriano, il 1o semestre 1992 si è chiuso con un calo della produzione dell'11,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Un po' meno peggio del solito è il traffico portuale, in crescita del 10% grazie alle merci in transito per l'Ungheria, l'Austria e la Cecoslovacchia. I prezzi al dettaglio sono risultati maggiorati, rispetto al mese precedente del 5,9%, i generi di prima necessità hanno fatto riscontrare un'inflazione del 4,4%, i prodotti industriali del 2,5%. L'inflazione media è scesa dal 12,6% del primo trimestre al 5,8% del secondo. Crescono mensilmente le ditte con i conti bancari bloccati. A tutto giugno risultavano 36 le imprese con conti correnti congelati per più di 5 giorni, mentre erano 20 nel dicembre scorso. Nel capodistriano sono 27 le imprese in liquidazione (18 private, 2 miste e 7 statali) per un totale di 4150 lavoratori sulla strada.

Nei comuni costieri sloveni (Izola, Koper, Sezana) il numero delle ditte in liquidazione è passato da 44 in giugno a 50 in luglio. Nell'estate 1992 i disoccupati sono il 16% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. E mentre una parte della popolazione sprofonda nella miseria e nella precarietà, quella restante parte che ha mantenuto il lavoro "migliora" relativamente la propria posizione economica: in luglio lo stipendio medio è stato di 600 marchi, contro i 100-150 della Croazia. Ancora: 120 aziende del capodistriano hanno un bilancio semestrale in passivo, per un totale 1 310 milioni di talleri. La crisi più grossa la accusa il settore dell'auto: la "Group Tomos" ha visto ridursi il numero degli operai da 2 600 agli attuali 800 in pochi anni. Dopo un prolungato sciopero operaio, questa estate, alla "Tomos" la situazione non è molto diversa: si prevede un taglio di circa la metà dei dipendenti (!), mentre le paghe di luglio non sono ancora state pagate interamente. Verso settembre è stato deciso che la "Tomos" sarà inglobata alla "Cimos", fabbrica che produce automobili e pezzi di ricambio in cooperazione con la Citroen. La "Cimos", infatti, è l'unica realtà industriale della zona ad essere in attivo, a non aver licenziato nessun dipendente e ad erogare un salario medio di 34 000 talleri mensili.

Ma non sono solo gli operai ad avere problemi di sostentamento, ma pure i poliziotti che tramite il loro sindacato hanno fatto pervenire al governo sentite proteste per "errori" nel conteggio delle paghe. Ripetuti scioperi hanno inscenato i vigili del fuoco di Koper (l'ultimo è del 29 luglio) per questioni salariali, scorrettezze del governo, e questioni normative e di sicurezza. Chiedono inoltre il corretto pagamento degli straordinari che sembra il governo si sia "dimenticato" di pagare! Anche i pensionati "scioperano". Come i pensionati sloveni che hanno manifestato l'11 agosto a Koper per l'equiparazione fra pensioni slovene e croate: sono infatti 4 000 i pensionati sloveni che percepiscono pensioni croate e a causa del cambio sfavorevole fra tallero sloveno e dinaro croato fanno la fame. Devono vivere con pensioni tra i 4 000 e i 7 000 talleri mensili: con quelle cifre nemmeno si mangia in Slovenia!

La crisi è forte: a Lipica, centro turistico della Slovenia nonché richiamo per gli appassionati di equitazione, le perdite si aggirano sui 45 milioni di talleri (700 milioni di lire). Si spera negli "aiuti" del governo che dovrebbe mandare 90 milioni di talleri al centro turistico, ma già la direzione del centro prevede che si dovranno tagliare posti di lavoro e vendere i cavalli (i famosi lipizzani) in mancanza di una vera inversione di rotta. Ad agosto, comunque l'inflazione faceva registrare a luglio un aumento del "solo" 2% (72,3% dall'inizio dell'anno) ed in agosto del 1,4% mensile, frutto delle severe politiche di "contenimento" del governo a spese del proletariato e caduta libera della domanda interna: l'associazione dei commercianti della Slovenia rileva in una nota del 13 agosto 1992 che le vendite di merci al dettaglio sono diminuite nell'ultimo anno del 23,6%, mentre per quelle all'ingrosso il calo è del 43,5%.

La situazione rimane grave; in tutta la Slovenia sono 413 le aziende che rischiano la chiusura per insolvenza. Si profila un duro inverno per i lavoratori sloveni: la chiusura di queste aziende significherebbe la disoccupazione per 26 000 lavoratori! Al 1o di ottobre scade la moratoria per i procedimenti fallimentari, subito dopo inizieranno i licenziamenti. Contemporaneamente, il governo di Ljubljana, ha bandito un concorso col quale mette a disposizione crediti per 3 miliardi di talleri destinati ad interventi in quelle aziende che sono sull'orlo del fallimento ma che hanno possibilità di risanarsi autonomamente ottenendo crediti a breve scadenza.

Una certa trasformazione nell'assetto proprietario delle aziende è avvenuto da dopo l'indipendenza anche se gli esiti economici sono ancora molto oscuri. Al luglio 1992, l'80% delle imprese era ancora statale. In un anno le ditte private sono aumentate del 90%. Queste aziende, però, occupano solo il 2,7% della forza lavoro complessiva.

Tornando alla zona costiera, sappiamo che più o meno la metà delle aziende in odore di fallimento ha già proceduto alla privatizzazione in base alle leggi vigenti. In sostanza le imprese, spesso grazie a giochi speculativi, sono diventate società per azioni private che riassorbiranno parte dei lavoratori diminuendo il peso sociale della disoccupazione. Niente di buono, oltre che sul fronte della disoccupazione, anche su quello del trattamento salariale. Il governo di "centrosinistra" guidato da Drnovsek il 7 agosto si è opposto all'aumento delle paghe minime a 24 000 talleri. All'inizio di maggio, a pochi giorni dal suo insediamento, il governo Drnovsek aumentò del 38% gli stipendi nel settore pubblico. Ne beneficiarono oltre 100 000 dipendenti. L'opposizione democristiana, "anticomunista", gridò allo scandalo. L'aumento di paga degli statali ha però comportato una serie di difficoltà al bilancio statale.

In questi ultimi mesi gli stipendi in tutti i settori sono aumentati. Lo stipendio medio netto in Slovenia è stato, nel mese di maggio, di 30 364 talleri (circa 450 000 lire). Ma mentre lo stipendio medio nei settori produttivi è stato di soli 28 239 talleri, quello nei settori non produttivi è stato di ben 39 110 talleri (circa 600 000 lire). Ovviamente vi sono degli sbalzi notevoli tra una categoria e l'altra. Gli stipendi più bassi (sui 24 000 talleri) sono quelli nel settore dell'edilizia e dell'artigianato, quelli più alti (sui 45 000 talleri) in certe mansioni degli organismi statali. Negli ultimi 2 anni è aumentato di molto il numero degli impiegati statali. Ai ministeri di Ljubljana mese dopo mese aumenta il numero dei funzionari, aumentano le spese per la burocrazia ed in special modo per le forze armate.

Proprio per contenere il bilancio statale, il governo ha dovuto tagliare le paghe ai pubblici dipendenti. Operai del settore privato e/o pubblico ed impiegati che volenti o nolenti devono sottostare al volere del padrone pubblico o privato che sia, mentre lo Stato e certi imprenditori privati fanno affari insieme con l'intermediazione di certi ministri in un intreccio che ricorda molto da vicino "Tangentopoli". Alla fine di luglio Romana Logar, rappresentante della dirigenza della Corte dei Conti slovena annuncia la scoperta di numerose irregolarità registrate nelle finanze dei ministeri sloveni. Queste irregolarità (innanzitutto libri contabili tenuti in violazione delle norme vigenti) sono state riscontrate nei ministeri del turismo e del commercio, nella direzione repubblicana e nell'amministrazione strade della Slovenia. La Corte dei Conti ha scoperto che in quest'ultimo organismo statale, nel 1991 non ha chiuso l'anno con un bilancio in attivo di 5 miliardi e 300 milioni di lire come da libri contabili, bensì in rosso. Inoltre, anticipi e mutui non venivano compensati da tassi d'interesse. Venivano di fatto favorite le "lobby delle strade". Il ministero del commercio, invece, raccoglieva su un conto speciale fondi derivanti dal "prometni davek" (una sorta di I.V.A.). Questi fondi, 375 milioni di lire sono stati poi offerti a titolo di credito a breve scadenza e senza interessi. C'è poi lo scandalo Slovin, dove le grandi perdite erano causate da una serie di affari mal realizzati. Ciò che veniva operato era il trasferimento a singole ditte di fondi del bilancio statale.

Ma per risollevare le "sorti della nazione" non basterà l'agriturismo, come si auspicava nel 1990 anno "boom" del turismo di quel tipo nella Slovenia. Infatti anche in quel settore si è registrato un calo delle presenze rispetto al 1990, del 40-50%! Dall'inizio dell'estate il valore del tallero sloveno (ancora sotto forma di buono) nei confronti delle monete convertibili è diminuito del 15% circa. Il 23 giugno di quest'anno per un marco occorrevano 49,9 talleri, al 20 agosto ce ne volevano 57,1. È risultato essere questo il cambio registrato dai cambiavalute di Ljubljana che non hanno più alcuna restrizione ufficiale. La Banca di Slovenia, infatti, d'accordo col governo lascia libero il mercato dei cambi.

Ad agosto il governo Sloveno lancia l'ennesimo allarme: la Slovenia vanta 307 milioni di dollari di crediti "difficilmente ricuperabili". Inoltre, pur registrandosi dati positivi nell'export, la base produttiva è in via di riduzione, così come la produzione industriale strettamente intesa. L'Istituto Centrale di Statistica Sloveno ci informa che la produzione industriale nel primo semestre di quest'anno rispetto al medesimo periodo dell'anno scorso è calata del 14,3%.

Nei vecchi stabilimenti statali non s'investe più, anche in attesa della legge sulle privatizzazioni che il parlamento non è in grado di approvare. Gli unici investimenti in impianti produttivi vengono fatti da piccoli imprenditori privati ma sono poca cosa rispetto alle necessità che ci sarebbero. Non c'è dunque importazione di macchinario industriale. Sempre secondo l'Istituto di Statistica, nel primo semestre di quest'anno la Slovenia ha incrementato le esportazioni del 45,5% e le importazioni del 9,8%. Nello stesso periodo sono stati esportati prodotti e servizi per 2,78 miliardi di dollari e ne sono stati importati per 2,44 miliardi di dollari, il saldo in attivo è di 340 milioni di dollari. In particolare, sono aumentate le esportazioni verso la Francia, la Germania (+8,7% in estate), l'Austria, da dove la Slovenia ha importato meno. Diminuite, invece, sia le esportazioni che le importazioni verso l'Italia anche se in estate ci sono stati dei piccoli segnali di miglioramento con un +1,6%. Positiva anche la bilancia dei pagamenti con l'estero del solo mese di giugno, quando le esportazioni sono state dell'ordine di quasi mezzo miliardo di dollari. Da rilevare che un sesto degli scambi commerciali riguarda la Croazia, paese verso il quale Lubiana ha esportato, sempre nel primo semestre dell'anno, prodotti per 444 milioni di dollari e ne ha importati per 390.

L'85% delle importazioni (non tenendo conto dell'ex Jugoslavia) ha riguardato attrezzature, materie prime o semilavorati mentre solo poco più del 15% è andato per l'importazione di beni di largo consumo. Per quanto riguarda la restituzione dei crediti fatti dalla Slovenia, la situazione non è rosea ed è comunque in lenta evoluzione. Si tratta per lo più di crediti relativi ad opere pubbliche o impianti industriali costruiti da ditte slovene all'estero, specie nei paesi del Terzo Mondo. Notevole il debito dell'Iraq, che ammonta a 156 milioni di dollari da restituire a 37 aziende slovene. Qui non si tiene però conto del danno sofferto da ditte slovene per le merci ordinate e non consegnate a causa dell'embargo e della guerra del Golfo. Sarà complesso recuperare questi crediti anche perché molti affari sono stati conseguiti tramite ditte jugoslave con sede a Belgrado. Vi sono poi 172 milioni di dollari che devono essere restituiti a 29 ditte slovene dall'ex esercito della Federazione. Anche queste cifre finiranno poi col rappresentare merce di scambio alle trattative (quando ci saranno) fra i rappresentanti dell'ex "patria degli slavi del sud", sia nella divisione del patrimonio che nella ripartizione dei debiti e dei crediti.

All'inizio di agosto il governo Drnovsek ha trasmesso al parlamento un progetto di legge che prevede l'acquisizione governativa dei crediti delle società verso l'Iraq e verso l'ex Federazione. Lo Stato Sloveno intende acquistare, ad un valore del 70%, questi crediti, interessi compresi, emettendo obbligazioni, valutandole in Ecu, e pagandole, coi dovuti interessi, nell'arco di 7 anni.

Per avere un'idea chiara su alcuni parametri economici che danno il polso della situazione, sentiamo l'Istituto di Statistica Sloveno. A giugno, i prezzi al dettaglio sono aumentati a Maribor del 6,8%, a Ljubljana del 5,7% e a Novo Mesto del 6,2%. Se si considerano gli aumenti dall'inizio dell'anno, l'inflazione a Koper ha raggiunto il 68,7%, a Novo Mesto il 74,5% e a Ljubljana il 63,5%. Facendo riferimento ai prezzi al dettaglio di un anno fa, a Koper l'incremento è stato del 210%. Comparando i dati del 1991 con quelli del 1990 apprendiamo che il pil pro capite è stato nel 1991 di 6328 dollari, cioè 2888 dollari in meno dell'anno precedente. Il pil del 1991 è stato di 12,7 miliardi di dollari. La "ricchezza" dei "cittadini" diminuisce, il potere d'acquisto dei salari è in caduta libera, la crisi in pratica pesa interamente sulle classi più povere ma si spendono forti somme per l'acquisto di armi sofisticate. Cosa del resto fatta clandestinamente già nei mesi immediatamente precedenti il conflitto con l'armata federale. Non si tratta di armi pesanti ma di una sofisticata difesa antiaerea e, sembra, di elicotteri al posto di aerei, visto il ristretto spazio aereo della Slovenia.

Come se non bastasse, problemi ci sono anche per la costruzione o ricostruzione della rete stradale. I fondi del bilancio 1992 destinati alla costruzione di nuove strade ed all'ammodernamento di quelle preesistenti sono finiti [chi scrive ha viaggiato parecchie volte su strade ed autostrade della Slovenia e può assicurare che fanno piuttosto schifo - ndr]. Per questo motivo il governo ha dato ordine di interrompere i lavori fino a data da destinarsi. "Ferie" in più per gli operai, dunque. Sono stati immediatamente interrotti i lavori sul tratto della costruenda autostrada che dal confine con l'Austria porta a Ljubljana e in una trentina di cantieri sparsi sul territorio sloveno, alcuni dei quali anche nel Capodistriano e in altre località vicine al confine coll'Italia. Tardano ad arrivare i finanziamenti dall'estero. Sono fermi i lavori sulle bretelle di Osimo verso il confine coll'Italia. Non si è ricorsi ad un prestito già accordato di 108 milioni di marchi tedeschi. Non sono ancora state prese in considerazione le offerte di gruppi finanziari canadesi ed arabi per il completamento dell'autostrada da Koper a Lendava. Tutto tace sui progetti dell'autostrada da Sentilj (a sud di Graz) in direzione di Zagabria.

Ma gli sloveni, il "popolo" sloveno da anche prova di essere contro gli atteggiamenti guerrafondai del governo. La popolazione di Koper, Piran ed Izola si oppone alla volontà del governo di trasformare il piccolo litorale sloveno in una enorme base militare per la Marina di quel paese. Sono giunte infatti diverse petizioni degli abitanti di questi comuni al ministro della difesa sloveno Janez Jansa al fine di chiedere la revisione di questi progetti. Vi sono stati poi durante l'estate alcuni episodi di lotta di classe importanti. I ferrovieri della Slovenia hanno scioperato dal 18 al 20 luglio (a Koper dal 17 al 20) ottenendo dal governo l'aumento dei salari come da tempo doveva essere già attuato. Un altro settore con grossi problemi è quello della pesca. Le cause sono da ricercare da una parte nella crisi economica generale e dall'altra ai disaccordi fra Slovenia e Croazia sui confini delle acque territoriali e sulle quantità di pesce catturabile. La situazione dei pescatori sloveni è difficile. Esistono due categorie di pescatori: quelli privati e i dipendenti della società "Delamaris". La miseria riguarda da vicino entrambe le categorie. I pescatori (sia privati che dipendenti, accomunati dalla miseria) hanno dato vita ad un movimento di protesta creando un comitato di sciopero incaricato di dialogare col governo. Riassumiamo i punti della lotta:

  1. si chiede che il governo della Slovenia continui a pagare i contributi per la previdenza sociale e garantisca il salario minimo ai pescatori rimasti senza lavoro;
  2. i pescatori chiedono un rimborso dei danni derivati dai mancati guadagni vista la sospensione dell'attività;
  3. si chiede l'elaborazione d'un programma per il risanamento del settore ittico (della pesca e della trasformazione del pesce);
  4. i pescatori chiedono una nuova legge sulla pesca alla cui definizione contribuire personalmente;
  5. infine chiedono di trattare direttamente col governo o con i competenti ministeri incaricati del caso.

Dopo una serie di tira e molla col governo e una mancata protesta dei pescatori a Ljubljana che forse avrebbe segnato una svolta, l'unica cosa sicura ottenuta dal governo è che i contributi previdenziali e pensionistici verranno pagati anche in futuro. I pescatori hanno rifiutato i punti di vista del governo impegnato a trovare delle soluzioni: è stata smontata punto per punto la teoria governativa di una possibile riconversione nella maricoltura e nella pesca dell'azzurro (in entrambe i casi le spese risulterebbero elevate e la contropartita incerta) e sull'accordo croato-sloveno nell'ambito del piccolo traffico di frontiera (pura illusione) e della possibilità occupazionale nell'industria conserviera già coll'acqua alla gola.

Tutto ciò nonostante l'attività politica che definire destabilizzante (o meglio stabilizzante da un punto di vista borghese) sarebbe un eufemismo. L'attività degli estremisti di destra sloveni è il solito diversivo alla lotta di classe e rappresenta comunque l'armamento come "ultima ratio" per difendersi da eventuali movimenti della classe operaia. Stiamo qui evidentemente parlando del Partito Nazionale Sloveno e del suo comandante, Zmago Jelincic. Il leader ultranazionalista era già balzato agli onori della cronaca la scorsa primavera per un'aggressione razzista a colpi di pistola contro bosniaci musulmani a Trzic (14/4). A fine agosto apprendiamo che vengono scoperti in alcuni appartamenti "sospetti" di Ljubljana, Maribor Kranj e Celje, grossi quantitativi di armi ed esplosivi. Immediatamente Jelincic viene arrestato a Kocevje, proprio mentre stava per dare il solenne inizio al primo congresso del suo partito. Insieme a lui sono stati interrogati e sottoposti ad accertamenti altri 18 membri della formazione politica. Le accuse sono gravissime: si parla di un piano per un attentato a Milan Kucan a Janez Drnovsek e a Igor Bavcar. Jelincic, comunque, è stato lasciato giocare alla guerra finora e l'arresto è quantomeno...sospetto. Ricordiamo che Jelincic con un gruppetto di uomini (una specie di esercito privato) riuscì, durante il brevissimo periodo di "guerra" in Slovenia nel giugno 1991 a strappare alcuni carri armati e una quantità imprecisata di armi e munizioni all'ex armata federale. Il Partito di Jelincic conta ufficialmente solo 2 000 membri, ma ha un numero "piuttosto alto" di simpatizzanti come afferma la Presidenza Repubblicana. Il leader della "Nacionalna Stranka" in carcere c'è rimasto pochissimo e così un mese dopo ha potuto avviare questo "benedetto" congresso del partito.

La presa delle ideologie di destra sarà certamente facilitata dall'approfondirsi della crisi economica, nel senso che gli insuccessi economici saranno trasformati immediatamente in fallimenti dei partiti al governo, da quelle forze di destra all'opposizione pronte ad accusare i governanti di tradimento e di pensare prima allo straniero che agli sloveni. A leggere le "lettere al direttore" sui quotidiani che si stampano in Slovenia si direbbe che il 90% degli sloveni manifestano una profonda insoddisfazione per il continuo afflusso di profughi dalla Bosnia. A leggere bene le firme apposte sotto quelle lettere, però, si appura che le stesse persone le inviano a tutti i giornali. Il contenuto delle lettere è in molti casi razzista. È comprensibile che si crei un certo malcontento in un paese dove i fallimenti dell'economia borghese sono così lapalissiani anche se il "popolo" non li riconosce come tali. Tanti disoccupati e poche prospettive annebbiano la vista a chiunque: se poi i sussidi di disoccupazione sono inferiori ai 22 000 talleri mensili che vengono spesi per ogni profugo, l'annebbiamento della vista si può trasformare in odio cieco. È su queste basi materiali, innestate in un contesto di ignoranza e chiusura mentale che si costruisce il consenso a certe politiche della destra estrema. Oltre alle sopra citate attività dei fascisti sloveni, c'è stato dell'altro. A Ljubljana di fronte al monumento al poeta France Preseren, gruppetti di persone hanno espresso la loro protesta su questi temi con cartelli e discorsi. Per ora si tratta di poca cosa...per ora!

Tendenze e prospettive

In Slovenia e Croazia è innescata la bomba ad orologeria della lotta di classe causata dal grande malessere sociale. Borghesia e piccola borghesia già si muovono nella difesa dei loro privilegi e nella riorganizzazione dei rapporti di proprietà intercapitalistici. Il loro attacco nei confronti del proletariato si fa spietato. Per ora gli operai sono disorientati, i partiti di "borghesucci" che li rappresentano non fanno altro che aumentare la confusione. È tutt'altro che scontato, però, che la lotta di classe del proletariato come classe autonoma si manifesti nel breve o nel medio periodo esprimendosi in un movimento di massa almeno sui primari bisogni economici. Questa, però, è comunque la tendenza ed è pure la nostra speranza. Obiettivamente, il movimento della classe è attualmente ritardato oltre che dall'indottrinamento ideologico da almeno 3 fattori di natura economica:

  1. Dalla permanenza di consistenti erogazioni di salario indiretto nei due paesi. Sono aree che lo Stato non riesce o non vuole controllare, sapendo che così facendo perderebbe fette di consenso di cui invece oggi ha bisogno.
  2. Queste regioni sono di industrializzazione relativamente recente. Qui è ancora diffusa la figura del proletario che integra il salario di fabbrica con la coltivazione di piccoli appezzamenti di terreno per l'autoconsumo e/o la vendita.
    Vi è un universo incontrollato di piccolo commercio di prodotti artigianali, agricoli ecc., che per quanto miserabile rappresenta uno sfogo sociale notevole. In questo modo è garantita una integrazione di reddito e il pericolo della fame è momentaneamente scongiurato.
  3. In questo contesto si inserisce la crisi del ciclo capitalista che qui ha prodotto la diffusione del doppio o triplo lavoro non solo salariato ma soprattutto nel commercio, nella piccola proprietà commerciale: d'altronde pure nelle metropoli imperialiste il fenomeno si è manifestato similmente. Quindi ci sono operai che fanno pure i tassisti e in certi periodi dell'anno aiutano il sostentamento generale col commercio, dato che il governo applica ancora delle tassazioni molto contenute in questo settore di "piccola imprenditoria", al fine di "svilupparlo".

Con queste premesse quindi è naturale che ci sia un ritardo nella coscienza di classe del proletariato, proprio nella misura in cui trova ancora una soluzione ai suoi problemi economici nella economia capitalista, praticandola personalmente...

La nuova legislazione sulle proprietà e sulla denazionalizzazione non sappiamo ancora in che misura e in quanto tempo attuerà la concentrazione del capitale "in poche mani" e alla espropriazione delle masse. Sappiamo comunque che oltre allo Stato che diventerà un nuovo capitalista collettivo accentratore gli attori della nuova appropriazione a spese dei proletari saranno i detentori di cospicui capitali in valuta della diaspora e i vecchi manager arricchiti oggi riciclati. La maggioranza della popolazione rimarrà fuori. È nostra intenzione tenerci aggiornati su questo punto per capire, dati alla mano, dove vanno queste economie, la loro posizione nello scacchiere continentale e i rapporti fra le classi che ne conseguiranno.

Da un punto di vista più strettamente ideologico, tutti gli sforzi della borghesia sono, rispettivamente, verso la creazione del mito della "slovenicità" e della "croaticità", intese come identificazione nazionale e separatezza dalle altre "realtà etniche". Piccole differenze linguistiche divengono così grosse differenze "originarie" o altro. Emblematico è il caso croato: il governo di quel paese sta portando all'esasperazione tutte le differenze linguistiche e perfino della scrittura fra il precedente linguaggio serbocroato e la "specificità" della lingua croata, nei termini, in certi segni diacritici delle parole (ad esempio sulla lettera d). Così ora i calendari e i giornali sono scritti... "in croato", e allora Januar diventa Sviecanj, April diventa Travanj e Maj diventa Svibanj...

La popolazione intanto non sa più qual è il croato da parlare...

Un fattore determinante della creazione di una struttura ideologica adatta allo scontro, alla guerra, all'odio e all'intolleranza è rappresentato dai mezzi di informazione. Essi hanno portato avanti una tremenda manipolazione delle menti, delle concezioni e più in generale dell'immaginario collettivo del "popolo" nella direzione d'un ultra-militarismo e di un conservatorismo ancora più estremo.

Tutto è stato posto al servizio di questa guerra, compresa la musica e le arti. Anche il lato religioso è stato potenziato: dai soldati che portavano crocefissi al Parlamento che ha proposto la proibizione dell'aborto, all'insegnamento della religione nelle scuole (prima inesistente). Anche i preti si sono "potenziati": il parroco di Pazin ha esposto in chiesa (il 26 marzo) la bandiera croata e ha cambiato così i versi di una lode alla Madonna da "Regina dei Cristiani" a "Regina dei Croati".

Tutti questi processi portano alla creazione di "reticolati" ideologici attorno alle varie "entità nazionali" che sarà molto complicato abbattere.