L'altra resistenza, l'altra apposizione

Recensioni - Comunisti dissidenti dal 1943 al 1951

Nonostante il libro di Maurizio Lampronti edito dalla A. Lalli Editori, questa pagina di storia, sulla quale è calato l'interessato silenzio della storiografia ufficiale, attende ancora di essere portata alla luce. L'autore, benché si ripromettesse di...

andare più a fondo, di rompere l'omertà, dedicando molta cura alla ricerca di materiale politico prodotto dalle organizzazioni marxiste a sinistra del P.C.I. durante questa fase di lotta e dopo la liberazione, nell'intento di offrire un'immagine viva e reale, cercando soprattutto di riportare, attraverso citazioni dirette, quelle che furono le ipotesi politiche su cui queste organizzazioni si mossero...

... raramente raggiunge lo scopo e più spesso si limita a proporre, al di fuori di qualunque tentativo di sistematizzazione nell'ambito degli eventi storici del periodo in questione, delle schede informative sulle diverse formazioni politiche che operarono, alla sinistra del P.C.I., negli anni dal 1943 al 1951. Ne viene fuori un censimento senz'altro interessante e ricco, ma non una storia.

La storia dei numerosissimi movimenti politici che ebbero vita in quel periodo non può essere avulsa dall'esame critico della situazione in cui quei movimenti e formazioni si mossero, né può prescindere dall'esame delle questioni che travagliarono il movimento comunista in quel periodo in relazione ai processi di degenerazione che si erano svolti in Russia all'indomani della rivoluzione d'Ottobre. Quella che oggi può apparire una eclettica fioritura, forse eccessiva, di gruppi, partiti, partitini è la riprova dello scompiglio e della confusione regnante in quel periodo nell'intero movimento comunista ancora oscillante tra il polo russo e la necessità di darsi strumenti politici nuovi capaci di esprimere, nell'attualità degli eventi, la continuità storica e pratica del marxismo rivoluzionario, ridotto, per mano dello stalinismo e dei suoi epigoni, a dogma, a religione che non ammette, al di fuori della verità rivelata dal santone di turno, né dubbi, né critiche. Ed è proprio l'assenza di questo quadro di riferimento che fa sì che questo libro raramente riesce a dare chiari i termini del dibattito allora in corso fra le diverse formazioni e quindi delle vicende che le interessarono.

Scissioni, scioglimenti di formazioni politiche, anche con grande seguito, nascite nuove appaiono più come l'agitarsi schizoide di questo o quel personaggio che il risultato obiettivo dei giganteschi problemi che la sconfitta della rivoluzione d'ottobre e il quadro mutato dei rapporti imperialistici avevano posto sul terreno. Ed è così che l'autore, di fronte alla esperienza della nostra corrente, alla puntualità delle analisi che essa produsse, non trova altra spiegazione ai risultati mancati che i soliti luoghi comuni, le solite critiche sprezzanti di incapacità a scendere dal mondo della teoria a quello della prassi.

Il P.C.Internazionalista, allora come in tutta la sua esperienza storica, brillava per le sue limpide vedute teoriche, ma non riusciva ad unire alla lucidità dell'analisi una adeguata prassi. Il suo comportamento nella polemica con il P.C.I. è certo indicativo di ciò che fu ed è tuttora il suo principale limite: l'incapacità, puramente intellettuale, di porsi sul piano concreto delle esigenze del proletariato.

Capacità invece che, per l'autore, non mancò ad altre formazioni come, ad esempio, il Fronte Proletario Rivoluzionario costituitosi a Milano tra il 1943 ed il 1944.

Il Fronte, giustamente, nell'epoca clandestina, non vuole discutere la tattica sovietica dato che il proletariato non può non considerare la posizione dell'URSS.

Ma questo silenzio poteva star bene solo ad una formazione che ancora nel 1943 considerava l'URSS:

il più solido baluardo della rivoluzione proletaria e la cui sconfitta significherebbe una lunga eclissi nel movimento rivoluzionario in Europa.

... e che, quindi, non esita a lanciarsi nella lotta partigiana con il convincimento che potesse trattarsi di lotta rivoluzionaria...

ma ci guardiamo bene dall'identificare la nostra causa con la loro [gli eserciti alleati - ndr] e la rivoluzione proletaria con la democrazia borghese. Perciò partecipiamo anche noi con tutto l'ardore alla lotta comune, la quale, però, non è lotta nazionale, ma lotta di classe internazionale.

Per noi che collocavamo l'URSS sullo stesso piano degli anglosassoni, la partecipazione alla guerra partigiana era, questo sì, astrattismo intellettuale poiché non era, è non è dato, al proletariato mondiale, nella fase storica di dominio del capitalismo monopolistico, raggiungere i suoi obiettivi ponendosi al carro di una qualunque centrale imperialistica. La lotta di classe, la lotta rivoluzionaria è per definizione antimperialistica e può avere una sua autonomia solo sul terreno del disfattismo di classe che non è astrazione teorica, ma è prassi viva di opposizione espressa dal proletariato in ogni attimo della sua vita sociale. Ed era questa la nostra prassi, quella dell'intervento attivo nella classe e fra la classe affinché si liberasse della mistificazione russa e del partito che in Italia la rappresentava, il P.C.I.

Siamo stati esenti da errori? Siamo stati perfetti? No, certamente. Errori ne abbiamo commessi a dozzine ed oggi, che il tempo ha decantato molte cose, indichiamo fra i primi quello di una insufficiente chiarificazione fra le due anime che diedero vita al partito: quella più vicina a Bordiga e l'altra di cui noi rappresentiamo la continuazione. Ma, anche qui, non si tratta di confrontare analisi e posizioni sulla scorta di cedimenti sentimentali o, peggio, a colpi di citazioni dei sacri testi, quanto di porle in relazione agli eventi reali ed alle modificazioni che essi determinano nei rapporti di dominio della borghesia sul proletariato. Senza questo quadro obiettivo di riferimento tutti hanno ragione, tutti sono nel giusto. Si può o non si può partecipare alla Resistenza, si può o non si può discutere della tattica dell'URSS; ognuno avrà mille motivi validi per fare l'una o l'altra cosa, ma nessuna farà mai una rivoluzione socialista perché essa stessa sarà l'araba fenicia di cui tutti parlano, ma nessuno sa dove sia.

Era possibile allora chiarire natura e ruolo dell'URSS? Certamente sì, se si mettevano da parte i colori delle bandiere e si andava ad affondare l'analisi critica nei rapporti di produzione vigenti in Russia.

Dalla loro analisi scientifica si poteva dedurre che "il baluardo" era già pervenuto al capitalismo ed all'imperialismo e quindi stabilire tattica e strategia adeguata, ma in assenza di una simile analisi si poteva solo partecipare alla guerra, ed è quello che hanno fatto tanti, per rimanervi stritolati. Quanto sangue proletario regalato al nemico, quante energie sprecate! Colpa del nostro astrattismo o di ben altro? Su, via un po' di serietà, in fondo la rivoluzione non l'abbiamo fatta noi e nessun altro; e sì che di sedicenti rivoluzionari ce ne sono stati e ce ne sono a migliaia. Non è il caso, dunque, di smetterla di sparare sentenze e di studiare sul serio i problemi del passato per capire meglio quelli che ci stanno di fronte? Si eviterebbero, fra l'altro, errori grossolani come quelli commessi dall'autore che include nel gruppo dirigente della frazione all'estero compagni come Damen ed Acquaviva che invece erano ospiti delle galere fasciste e l'altro, ancor più grave, che va ad infangare il nome dello stesso Acquaviva laddove lo si vuole a tutti i costi aderente alla resistenza:

nel 1943 aveva aderito al P.C. Internazionalista - scrive Lampronti - partecipando poi alla Resistenza, come molti suoi compagni, nonostante le posizioni ufficiali, contrarie, del Partito.

È falso. Semplicemente è un falso e per di più gratuito in quanto la storia di Acquaviva è tutta riportata su B.C. dell'epoca e sull'opuscolo Mario Acquaviva, un comunista in meno, materiale che, stando alle citazioni che l'autore fa, era tutto di sua conoscenza.

Mario è stato ammazzato per la sua coerenza con le posizioni del Partito, per il suo coraggio di diffonderle fra gli operai e fra gli stessi partigiani conquistandone più d'uno, mai venne meno al suo onore di comunista. Il suo consenso o dissenso era uso esprimerlo con atteggiamenti coerenti e certamente non sarebbe rimasto un minuto di più nella nostra organizzazione se non ne avesse condiviso la posizione sulla guerra. La milizia da internazionalista di M. Acquaviva non ha mai conosciuto pratiche di mezzo-servizio come è usuale invece per tanti intellettualini dal libro e dalla critica a tutti i costi.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.