Written by Jock Dominie. £12, 276pp.
The Russian Revolution remains a landmark event in history. For the bourgeois historians, the October Revolution is thought to be a tragedy that set back the achievements of the “democratic” February Revolution, and allowed the Bolsheviks to wreak havoc on their citizens and the world. For the Stalinists, the events of 1917 paved the way for the birth of the USSR, which they point to as a prototypical example of “socialism in one country”. In reality, the February and October Revolutions were both part of the same proletarian revolution.
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Re: La Classe che non c'é
Re: La Classe che non c'é
[quote="elmer"]Negli ultimi 30 anni la classe operaia non ha giocato più alcun ruolo significativo per un processo rivoluzionario. Dagli anni 80 abbiamo avuto una trasformazione strutturale della classe operaia nella sua composizione, con la scomparsa delle grandi concentrazioni operaie. Da grandi fabbriche con migliaia di operai, siamo passati a piccole unità produttive dove è difficile (se non impossbile) trovare spazi di organizzazione delle lotte. La classe operaia altamente concentrata è sempre stata la base per la costruzione delle organizzazioni di classe, o quanto meno un riferimento costante (e non mi riferisco all'operaismo). Penso che la coscienza di classe, come senso di appartenenza, sia svanito anche a causa di questa radicale trasformazione nella composizione stessa della classe operaia. Oggi la classe operaia si trova parcellizzata, senza nessun senso di identità, cittadini tra gli altri, consumatori tutti. E' vero che il proletariato non coincide con la classe operaia di fabbrica, ma a me sembra che la scomparsa di posti dove il proletariato era fortemente concentrato, abbia di molto indebolito le possibilità di lavoro politico. Allora da dove riprendiamo il discorso rivoluzionario? Come potrà questa classe così "conciata" ritrovare la sua identità?[/quote]è vero la classe è sparsa ma è comunque indispensabile l identita rivoluzionaria non la mai avuta
Re: La Classe che non c'é
Re: La Classe che non c'é
[quote="raes"][quote="elmer"]Negli ultimi 30 anni la classe operaia non ha giocato più alcun ruolo significativo per un processo rivoluzionario. Dagli anni 80 abbiamo avuto una trasformazione strutturale della classe operaia nella sua composizione, con la scomparsa delle grandi concentrazioni operaie. Da grandi fabbriche con migliaia di operai, siamo passati a piccole unità produttive dove è difficile (se non impossbile) trovare spazi di organizzazione delle lotte. La classe operaia altamente concentrata è sempre stata la base per la costruzione delle organizzazioni di classe, o quanto meno un riferimento costante (e non mi riferisco all'operaismo). Penso che la coscienza di classe, come senso di appartenenza, sia svanito anche a causa di questa radicale trasformazione nella composizione stessa della classe operaia. Oggi la classe operaia si trova parcellizzata, senza nessun senso di identità, cittadini tra gli altri, consumatori tutti. E' vero che il proletariato non coincide con la classe operaia di fabbrica, ma a me sembra che la scomparsa di posti dove il proletariato era fortemente concentrato, abbia di molto indebolito le possibilità di lavoro politico. Allora da dove riprendiamo il discorso rivoluzionario? Come potrà questa classe così "conciata" ritrovare la sua identità?[/quote]è vero la classe è sparsa ma è comunque indispensabile l identita rivoluzionaria non la mai avuta[/quote] se no avrebbe fatto la rivoluzione ma è stata drogata da riformismo stalinismo e maoismo
la classe c'è... ma non si vede
la classe c'è... ma non si vede
Quello che Elmer dice sulla scomparsa delle grosse concentrazioni industriali e sull'estrema segmentazione del proletariato nel mondo occidentale è assolutamente vero. Nelle tesi del nostro ultimo congresso, infatti, (1997), noi affermiamo che oggi non è più solo la fabbrica il luogo attorno a cui i proletari si dovranno riorganizzare come classe: IL TERRITORIO, ossia lo spazio in cui sono concentrati i diversi luoghi di lavoro acquista sempre più importanza. E' per questo che al tradizionale GRUPPO DI FABBRICA si affianca il GRUPPO DI TERRITORIO, che altro non è, appunto, se non il raggruppamento dei lavoratori internazionalisti appartenenti alle diverse realtà lavorative di un determinato territorio (un quartiere, una città, una provincia). Lato negativo: la grande fabbrica, con il concentramento di numerosi proletari che inevitabilmente richiedeva, rappresentava la punta di diamante del movimento operaio. Oggi, in Occidente, questa punta è stata spezzata. Lato positivo: è possibile che il fatto di trovarsi immediatamente su un terreno che va oltre la propria specifica condizione lavorativa, favorisca sia la morte di qualsiasi velleità corporativa, sia il trascrescere della lotta economica in battaglia politica contro il regime capitalista nel suo complesso. Esempio recente di organizzazione proletaria su base territoriale: l'insurrezione argentina del 2001-2002.
Giacomo (Gek)
Re: la classe c'è... ma non si vede
Re: la classe c'è... ma non si vede
[quote="Giacomo (Gek)"]Quello che Elmer dice sulla scomparsa delle grosse concentrazioni industriali e sull'estrema segmentazione del proletariato nel mondo occidentale è assolutamente vero. Nelle tesi del nostro ultimo congresso, infatti, (1997), noi affermiamo che oggi non è più solo la fabbrica il luogo attorno a cui i proletari si dovranno riorganizzare come classe: IL TERRITORIO, ossia lo spazio in cui sono concentrati i diversi luoghi di lavoro acquista sempre più importanza. E' per questo che al tradizionale GRUPPO DI FABBRICA si affianca il GRUPPO DI TERRITORIO, che altro non è, appunto, se non il raggruppamento dei lavoratori internazionalisti appartenenti alle diverse realtà lavorative di un determinato territorio (un quartiere, una città, una provincia). Lato negativo: la grande fabbrica, con il concentramento di numerosi proletari che inevitabilmente richiedeva, rappresentava la punta di diamante del movimento operaio. Oggi, in Occidente, questa punta è stata spezzata. Lato positivo: è possibile che il fatto di trovarsi immediatamente su un terreno che va oltre la propria specifica condizione lavorativa, favorisca sia la morte di qualsiasi velleità corporativa, sia il trascrescere della lotta economica in battaglia politica contro il regime capitalista nel suo complesso. Esempio recente di organizzazione proletaria su base territoriale: l'insurrezione argentina del 2001-2002.[/quote]
l'importante è riuscire a dare il giusto indirizzo alle lotte partecipandoci
Re:La Classe che non c'é
Re:La Classe che non c'é
Credo che parlando di classe che non c'é facciamo delle concessioni ai "carrieristi" e alle burocrazie delle organizzazioni riformiste dei lavoratori come il Prc e la CGIL che spesso parlano appunto di moltitudini e non di classe operaia e peggio ancora alla borghesia che vuole appunto instillare nelle menti dei lavoratori che non sono una classe (é sempre la stessa storia!). La divisione in classi c'é esiste é reale non é palpabile certo ma c'é quello che manca appunto é la coscienza di classe ma questa si forma pian piano non é una cosa meccanica e sopratutto con l'esperienza delle lotte!
Militant
Re:La Classe che non c'é
Re:La Classe che non c'é
Sono d'accordo. Infatti la classe c'è eccome! Solo che in Occidente è oggi molto sparsa e frammentata rispetto a qualche decennio fa. La rivoluzione tecnologica del microprocessore, la delocalizzazione delle industrie e l'aumento della speculazione finanziaria a discapito dell'investimento produttivo (tutti sintomi evidenti della CRISI strutturale in cui l'economia capitalista si dibatte, checché ne dica lotta comunista)hanno appunto portato a una diminuzione della classe operaia DI FABBRICA in occidente e a una segmentazione complessiva di tutto il proletariato. Ciò non toglie che il proletariato non sia più LA CLASSE RIVOLUZIONARIA. Anzi! Lo è potenzialmente ancora di più, giacché le relative "garanzie" di cui godeva l'operaio di frabbrica di qualche decennio fa oggi sono state completamente spazzate via dalla furia della crisi che si incarna negli attacchi padronali. Lubrificati dal sindacato, ovviamente.
La cosiddetta "moltitudine" è la nuova trovata INTERCLASSISTA (Negri, Casarini, Rifonda, CGIL, ecc.) per nascondere e negare la lotta di classe.
Re:La Classe che non c'é
Re:La Classe che non c'é
Non c'è discussione sul fatto che esiste la classe operaia e più in generale il proletariato. E' la trasformazione che ha subito che pone degli interrogativi, non sulla sua esistenza, ma sulle possibilità future di avere un peso. Il fatto che non ci siano più le fabbriche con migliaia di operai concentrati non è un cambiamento senza effetti sulle modalità e sulle possibilità di sviluppare lotte. Un conto è attivarsi nelle lotte in un contesto come la fabbrica fordista, un conto è farlo in piccole unità produttive magari con contratti a termine. Non parliamo poi del terziario.
Il punto è come si può ricomporre questa frammentazione della classe. Si dice nel territorio, si ma come? Si cita l'Argentina, ma quello è un altro mondo difficilmente comparabile con i livelli di consume raggiunti nei paesi dominanti. Poi sarebbe interessante indagare sul livello di sottomissione ideologica al mondo del capitale che la classe ha toccato, sulla potenza mediatica che consente al capitale di riprodurre la sua ideologia, 24 ore al giorno in tutte le case.
Eppoi quanti decenni sono passati senza che la classe battesse un colpo rivoluzionario? La faccenda è complicata, per chi rifiuta il sistema del capitale non è una fase felice, ma forse oggi più di ieri sarebbe necessario un nuovo "Che fare?", ma prima però bisogna capire.
La classe che c'è
La classe che c'è
In nessuna epoca si è avuta una espansione così vasta della condizione proletaria; in essa sono ricaduti gran parte dei ceti che erano interposti tra proletariato e borghesia. Si è costituita una immensa massa proletarizzata; è pur vero che essa non si riconosce in quanto moderno proletariato ed è pur vero che sindacati e sinistra borghese lavorano attivamente per coadiuvare il capitale a tenerla in uno stato di atomizzazione. Pensare di riunificare la classe, di aiutarla ad acquisire coscienza di sé presuppone però un elemento di chiarezza che attualmente manca e cioè il fatto che la condizione proletaria del moderno proletariato si definisce in relazione al capitale finanziario. Il suo sfruttamento, in primis, passa attraverso lo Stato, tramite il debito pubblico in quanto è lo Stato che preleva il plusvalore complessivo per conto del capitale finanziario, e ciò avviene in tutti i paesi del mondo in quanto il capitale finanziario è, per sua costituzione, internazionale. Se "il proletariato si costituisce in opposizione al capitale" (Marx) allora è in opposizione al capitale finanziario che esso oggi può costituirsi. Più che di malfondato pessimismo c'è bisogno di ottimismo e questo può essere innescato se si considerano le immense potenzialità del moderno proletariato. La classe c'è, eccome. Bisogna aiutarla a riconoscersi.
Submitted by duccio on Sab,
Submitted by duccio on Sab, 2010-03-20 11:19.
Le perplessità espresse dal compagno Elmer mi sembrano sensate,cruciali e giustamente preoccupate. Non altrettanto ritengo conformi alla scienza marxista i giudizi del compagno Bogdanov che ,a mio avviso, tracimano dal solco tracciato dalla teoria marxista nelle sue fondamenta. Infatti,affermare che "la condizione proletaria del moderno proletariato si definisce in relazione al capitale finanziario. Il suo sfruttamento, in primis, passa attraverso lo Stato, tramite il debito pubblico in quanto è lo Stato che preleva il plusvalore complessivo per conto del capitale finanziario, e ciò avviene in tutti i paesi del mondo in quanto il capitale finanziario, per sua costituzione, è internazionale.". Se 'il proletariato si costituisce in opposizione al capitale’ (Marx), allora è in opposizione al capitale finanziario che esso oggi può costituirsi…", ciò vuol dire trasferire il luogo di sfruttamento del lavoro salariato,oggettivo,dal processo di produzione a quello di distribuzione del plusvalore (la sovrastruttura finanziaria). Allora si finisce per operare uno spostamento dal tempo interno del capitale a quello esterno,nel senso di ritenere determinante per la trasformazione dei rapporti storico-sociali di produzione,il luogo della circolazione e della distribuzione del plusvalore. Significa cadere nelle concezioni operaiste del’"operaio sociale" di Negri,Bologna,Tronti e compagnia cantante…Fa specie constatare che i compagni più preparati di Battaglia non abbiano colto questo tentativo di revisione gravissima della dottrina-scienza marxista(!!).Addirittura,si dichiara che è lo Stato a prelevare il plusvalore,come se ci trovassimo in un regime già compiuto di capitalismo di Stato,cosa che è lungi dall’essersi attuata,specie in Occidente (dove semmai si è assitito allo smantellamento delle imprese pubbliche, per svenderle nelle mani rapaci del capitalismo privato multinazionale, durante la nuova ondata di neoliberismo che ha investito il capitalismo internazionale a partire dalla metà degli anni’70 del secolo scorso,proprio per contrastare,in seguito alla crisi, la caduta ulteriore del saggio generale-medio di profitto mondiale).Perciò,conclude il commentatore in parola, il proletariato ,ora si costituirebbe in opposizione al capitale finanziario,e non più al capitale (industriale ). Qui si confonde la sovrastruttura pratica del capitale con la struttura, per il fatto che,con l’era dell’ imperialismo,il capitale industriale sia passato sotto il controllo di quello finanziario.Ma tutto ciò non ribalta il ruolo tra forze "determinanti" e forze "determinate", tant’è che ,con l’arrivo della crisi economica attuale,si riscopre il vero rapporto tra struttura e sovrastruttura,e tra "money management", e "management industriale" (tra "signori del denaro" e "signori delle strategie industriali",ovvero: i funzionari del capitale). Non basta dire che la "classe c’è". se poi la si annacqua con il concetto di ‘operaio sociale' di negriana fattura!!Più chiara è invece la posizione del compagno Elmer,il quale si chiede come bisogna fare per riunire i lavoratori oggettivi-improduttivi dei settori distributivi del plusvalore(quelli che operano nelle sfere dove circola il plusvalore,quindi:non dove si forma) al nucleo dei salariati attivi e passivi del mondo produttivo,a condizione che non ci si fermi a una visione nazionale o regionale, ma ci si leghi a una visione internazionale della lotta politica ed economica in atto. A questa questione,che oggi rappresenta il cuore della lotta di classe sul pianeta,mi riservo di intervenire successivamente se le risposte dei compagni mi stimoleranno a farlo. Saluti leninisti. duccio!
Capitale finanziario e moderno proletariato
Capitale finanziario e moderno proletariato
Ho letto con grande attenzione la critica che mi è stata mossa dal compagno Duccio. Francamente non mi persuade, ma credo anche che ci sia stata una mia insufficienza, dovuta alla brevità delle comunizioni richiesta in un forum.
Considero innanzitutto che tutti, tutti, i paesi del mondo sono gravati da un debito pubblico immenso.Se siano tutti debitori, chi è il creditore? E' il capitale finanziario internazionale.
Se consideriamo la sola Italia, Bot, CCT ecc, che sono le forme di mercato che assume il debito pubblico, la loro emissione va al 2,1 - 1,3 all' "azionariato diffuso" ed il restante 98% alle banche.Gli interessi sul debito pubblico sopravanzano sempre il PIL, cioè sono superiori a quello che il paese produce, di modo chè il debito diviene inestinguibile e l'intero prodotto nazionale va alle banche. L'esattore di questi interessi è lo Stato il quale trasferisce poi il riscosso alle banche.
Considero ancora che la proprietà di industrie,trasporti, grandi aziende vede come azionista di maggioranza le banche consociate e che la media e piccola industria ed le aziende agricole più decisive hanno banche come azionisti o di minoranza o, talvolta di maggioranza col potere di nomina degli amministratori. E considero che ogni altra attività è in dipendenza di questo assetto.
Ultima consierazione riguarda la morfologia attuale del proletariato, cioè il fatto che si è formata una enorme massa proletarizzata, atomizzata sul territorio, il cui destino lavorativo dipende, in ultima analisi ancora da questo assetto del potere capitalistico.
Ciò che ho detto partiva da queste osservazioni.
SE il compagno Duccio pensa che la mia conclusione sia errata, vorrei chiedergli come connettere questi fatti tra loro, e lo ringrazio per la critica.
Ciao Bogdanov, innanzi tutto
Ciao Bogdanov, innanzi tutto benvenuto sul forum! :-) Le riflessioni che proponi sono molto stimolanti.
La composizione della classe operaia è senz'altro cambiata rispetto all'Ottocento e vorrei anzi qui rivendicare come la nostra tendenza sia stata tra le prime (e tutt'ora tra le pochissime) ad avere effettuato una analisi seria e approfondita dei cambiamenti introdotti nelle file proletarie dalla cosiddetta rivoluzione del microprocessore, negli anni 1970:
Il rigonfiamento abnorme della sfera finanziaria - che per certi versi sembra prevalere anche sulla sfera produttiva, salvo alla fine dover fare i conti con essa, potendo in ultima istanza il capitale valorizzarsi solo nella produzione - merita pure attenzione per le sue novità. Ce ne siamo occupati in vari articoli; l'ultimo, sull'attuale numero di Prometeo, è per ora disponibile solo in forma cartacea, ma lo pubblicheremo presto sul sito.
Tuttavia (non credo sia questo il tuo pensiero, ma colgo l'occasione per gettare le basi per lo sviluppo della discussione) è fuorviante, sterile, cercare di definire un "campo antagonista" raggruppando classi sociali diverse che - se pure sono tutte in qualche relazione di subalternità rispetto al capitale finanziario internazionale - per i loro interessi materiali immediati e storici non si muovono in un orizzonte diverso dal capitalismo. Il proletariato - la classe dei lavoratori salariati, facilmente sostituibili e che per sopravvivere possono solo vendere la loro forza lavoro - rimane l'unica classe rivoluzionaria.
Grazie
Grazie
Caro Compagno Mic, grazie per il benvenuto.
In effetti sto cercando di capire come stanno esattamente le cose, procedo con le informazioni di cui dispongo e cerco di capire il ragionamento di altri compagni. Ciò che mi manca è una visione complessiva dell'attuale architettura sociale nelle sue articolazioni rispetto al capitale. Ragiono sulla base di una previsione di Engels, quando dice che tendenzialmente la società capitalistica tende a polarizzarsi tra proletari e "tagliatori di cedole" (l'espressione è sua). Tuttavia credo che progettare un lavoro politico richieda la massima chiarezza su questo ed un costante aggiornamento delle analisi. E allora mi permetto di porre alcune domande in cerca di chiarezza:
-come possiamo configurare il moderno proletariato?
- cosa è effettivamente rimasto come classi sociali interposte tra proletariato e capitale?
- se è diversa la forma sociale del moderno proletariato, allora ciò richiede di ridefinire anche la forma-partito?
- l'unificzione del capitale nel capitale finanziario ridefinisce in senso nuovo la funzione oppressiva dello Stato?
Come ti dicevo ho avanzato una ipotesi, un tentativo di interpretazione che però mi obbliga a riconsiderare l'insieme delle concezioni sulle quali si è finora attestata la politica dei marxisti, a nuove verifiche.
Il compagno Dino mi ha spiegato il suo punto di vista, del quale tengo conto perchè contiene considerazioni importanti. Tuttavia non sono persuaso che questa lettura corrisponda ad una esatta definizione delle questioni, forse c'è molto altro da cercare e da capire, forse mancano dati importanti. Discutiamo. Ciao e grazie.