Primo aggiornamento sulla crisi medio orientale

Pubblichiamo un “seguito” dell'articolo sottostante (La barbarie infinita. Le cause...), come primo aggiornamento dopo l'attacco israeliano all'Iran.

Come promesso, e non poteva essere altrimenti, nella notte del 25 ottobre Israele ha attaccato l’Iran. L’attacco ha colpito il sistema di difesa aerea iraniano per consentire agli F 16, “gentilmente” forniti dall’amministrazione Biden, di avere la opportunità tattica di agire indisturbati e bombardare le postazioni militari, le fabbriche di droni e di missili che in precedenza sono stati lanciati sui cieli israeliani.(1 ottobre). Tre ore di bombardamenti, quattro morti tra i Pasdaran, senza toccare le centrali nucleari né le strutture petrolifere, come da accordi (imposizioni) con gli Usa, che Netanyahu ha dovuto accettare a malincuore. L’operazione che era stata concordata con gli Usa e preannunciata, doveva essere solo un monito per la Repubblica degli ayatollah, senza stimolare una risposta che avrebbe creato una situazione di tensione bellica, non soltanto in tutta l’area, perché avrebbe potuto innescare un episodio bellico di più vasta portata. Il possibile rischio sarebbe stato quello di una reazione, già messa in preventivo dal governo di Teheran, di colpire le strutture petrolifere dei maggiori paesi produttori dell’area. Paesi come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait, il Bahrein e i giacimenti israeliani del Mediterraneo. Lo stesso Sean Savett, portavoce del Consiglio per la sicurezza americana, ha riferito che nessun militare americano ha partecipato all'operazione, dimenticandosi di citare l’invio degli F 16 arrivati in zona dalla Germania, la copertura satellitare per individuare gli obiettivi, i finanziamenti all’esercito di Tel Aviv e l’impianto difensivo di missili anti-missili che tanto hanno giovato alla difesa di Israele. Dimenticanza a parte, gli Usa hanno voluto giocare una partita a rischio zero, imponendo all'Iran e ai suoi alleati un avvertimento, ma senza andare oltre. Stati Uniti sul piede di pace, dunque? Manco per sogno. L’America è in piena emergenza elettorale, il futuro politico è incerto e le necessità strategiche sono orientate più verso l’Indo-Pacifico, verso la pressione cinese e la latente crisi di Taiwan. Per cui, tempo al tempo. Da Washington si aspettano le reazioni di Cina e Russia, poi si vedrà.

Nell’immediato, la Russia si è limitata a condannare l’operazione israeliana, ha fatto appello ai membri del BRICS affinché facciano sentire la propria voce contro Israele, concludendo che, se ci fosse un seguito con attacchi alle basi nucleari, Mosca aiuterebbe Teheran a colpire le strutture nucleari israeliane di Dimona. La repubblica degli ayatollah ha fatto sapere che i danni subiti sono minimi e che se l’attacco israeliano finisse lì non ci saranno risposte, ma in caso contrario ci sarebbe il rischio di un conflitto aperto. Ali Khamenei sta solo aspettando che la Cina si pronunci, sia per questioni di alleanza che economiche, infatti il petrolio iraniano, per il 95%, finisce alla vorace economia cinese e da quella sponda aspetta risposte definitive prima di muoversi. L’Arabia Saudita, in bilico tra il Patto di Abramo e la sua recente entrata nel gruppo dei BRICS assieme all’Iran, si è espressa contro Israele: “L’aggressione israeliana alla Repubblica Islamica d’Iran è una violazione della sua sovranità e una violazione delle leggi e delle norme internazionali”, senza aggiungere altro. Allo stesso modo si è espresso l'Oman. La Cina per ora tace. Tutto sembra orientato verso una, seppur difficile, soluzione negoziale, ma potrebbe essere la quiete prima della tempesta.

Mentre il mondo attendeva l’attacco israeliano contro l'Iran, Pechino ha duramente condannato la vendita a Taiwan di missili a lunga gittata (terra-aria) da parte americana. Secondo le dichiarazioni cinesi da parte del Ministero degli Affari Esteri, l’atto di Washington non solo pregiudica gravemente i rapporti tra le due potenze ma, addirittura, creerebbe le condizioni per l’apertura di una crisi che potrebbe portare alla rottura della pace in quell'area. La nota cinese continua ammonendo che la vendita di sistemi missilistici “viola gravemente la sovranità e gli interessi di sicurezza della Cina,danneggia gravemente le relazioni Cina-Usa e mette in pericolo la pace e la stabilità di tutta l’area”. Non è una dichiarazione di guerra, ma le minacce sono pesanti. In aggiunta, è da mesi che le due flotte militari pattugliano il perimetro dell’isola come a sottolineare che sulla questione “Taiwan” nessuno dei due è disposto a fare un passo indietro. Al riguardo, la Cina lavora alacremente alla costruzione di un sofisticato sistema radar su di una barriera corallina nel Mar cinese per contrastare gli Stealth americani, che sono dei caccia invisibili ai radar normali. Secondo il centro studi americano Chatham Hause, Pechino starebbe per completare la costruzione, nell’isola di Triton, nella parte sud-occidentale dello strategico arcipelago delle isole Paracelso, di questa rete di radar dall’importante valore strategico militare che, contemporaneamente, fungerebbe da base per il lancio di missili di ultima generazione.

In compenso, un cacciatorpediniere della VII flotta americana di stanza nell’oceano Pacifico, armato di lanciamissili intercontinentali USS Higgins e la nave fregata canadese di classe Halifax della Royal Canadian Navy, il 20 ottobre 24 hanno compiuto una perlustrazione nello Stretto di Taiwan con lo scopo dichiarato di “vigilare” sulla libertà di navigazione nel canale. Anche questa non è una dichiarazione ufficiale di guerra, ma ci manca poco.

fd

27/10/24

Sabato, October 26, 2024