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Home ›Notizie dal mondo: pericolose manovre di guerra che vengono dal Mar Cinese Meridionale
Lunedì 19/08/24 nel Mar cinese, nei pressi di Sabina Shoal, un’isola contesa tra la Cina, il Vietnam e le Filippine, si è verificato un incidente tra una nave filippina e una cinese. Come di prammatica, le reciproche accuse di provocazione si sono sprecate. Se però usciamo dalla polemica spicciola come se si trattasse di un incidente tra due automobilisti dal tasso alcolemico elevato, per vedere la gravità della valenza politica dell’episodio saltano subito all’occhio due condizioni che fanno dello scontro navale una questione di geo-politica internazionale, con prospettive preoccupanti per tutta l’area dell’Indo-Pacifico.
Non più di dieci giorni prima, il neo presidente filippino Marcos aveva aspramente condannato Pechino, reo di aver ordinato a due caccia cinesi di aver sparato un paio di razzi di avvertimento ad un caccia filippino che sfrecciava in una zona aerea contesa tra i due paesi.
L’isola di Sabina Shoal, dove è avvenuto l’incidente di lunedì e nei pressi della quale ha avuto luogo il “tafferuglio”aereo, si trova nelle vicinanze delle isole Spratly, che sono aspramente contese da Cina, Filippine,Vietnam e Taiwan. Il determinato scontro tra Cina e Filippine su Sabina Shoal fa parte di uno scenario molto più ampio e pericoloso che rende il Mar Cinese Meridionale una delle zone più contestate al mondo e a più alto rischio di un confronto bellico che vedrebbe interessati, non solo i paesi in questione, ma anche le grandi potenze imperialistiche di riferimento. Il Mar cinese Meridionale racchiude due importanti condizioni alle quali nessuno vuol rinunciare. In primo luogo è strategicamente importante per la sua posizione geografica, in quanto al centro delle principali rotte marittime di traffico commerciale e militare. In più è un’area vitale da un punto di vista economico, per la presenza di risorse energetiche, come quelle di gas e di petrolio, non enormi, ma ugualmente interessanti per ambo le parti. Per le isole Spratly vale il discorso delle isole Salomone, su cui la Cina ha messo gli occhi e i mattoni per l’ammodernamento di un aeroporto e di un porto navale strategici per la sua presenza militare in quelle acque, che, sino ad ora, sono state appannaggio solo della VII flotta americana.
Ma la madre di tutte le partite che si stanno giocando nel Mar della Cina è quella tra Pechino e Washington. La prima vuol avere assoluta agibilità in quello che considera il “suo” mare, il punto di partenza della “sua” via della seta che, se realizzata, la porrebbe al centro dell’economia mondiale entro il 2035, superando gli Stati uniti, e non solo. Il dominio del mare in questione la porrebbe in una posizione di vantaggio nella storica lotta per la riannessione di Taiwan, con tutto ciò che comporta sul piano del prestigio, di quello economico (a Taiwan si produce il 70% dei semiconduttori mondiali),e di rivalsa nei confronti dell’ingombrante presenza americana. Per la seconda, valgono gli stessi motivi, ma rovesciati. Boicottare la via della seta, impedire che Pechino compia il sorpasso economico e finanziario (lotta tra il dollaro e lo yuan cinese sui mercati monetari e su quelli delle materie prime). Rompere l’alleanza tra Pechino e Mosca, non consentire la ricongiunzione di Taiwan alla Cina continentale e manovrare intensamente (con soldi e armi) con i suoi alleati del Pacifico per impedire che tutto questo avvenga. Tutta l’area, non a caso, è teatro di manovre navali e aeree quotidiane da entrambi le parti, in una sorta di sfida muscolare, ovvero mostrare chi è il più forte e il più attrezzato ad un eventuale scontro diretto. Le reciproche provocazioni, per il momento, si limitano a mimare scontri che la strutturale crisi del capitalismo mondiale potrebbe modificare in un vero teatro di guerra con tutto il devastante bagaglio di barbarie che ne seguirebbe per l’intera umanità. Non solo, dunque, imperialisticamente già si combatte in Medio oriente, in Ucraina e in Russia, ma si sta aprendo il rischio di una faglia di crisi di ben più ampia portata a partire proprio dal Mar cinese, dove si confrontano le due più importanti forze imperialistiche del momento. Non si può assistere da spettatori ad una probabile catastrofe. Se ciò avvenisse metterebbe in gioco la vita e il futuro di milioni di proletari (in primo luogo), di intere generazioni e dello stesso pianeta che il capitalismo ha già provveduto ad ammorbare con i propri miasmi provocati dalla sua decadenza e dalla sempre più vorace caccia ai profitti. “Tutto e subito, costi quel che costi”, sembra essere il feroce diktat del capitalismo contemporaneo. Che fare? Solo una forza è in grado di fermare questo scempio mondiale, è la forza del proletariato internazionale, degli sfruttati, degli oppressi, di chi subisce tutto questo e che, suo malgrado, ne fa parte, perché economicamente e politicamente è succube del pensiero unico della classe dominante, oltre che della sua forza materiale. Ciò è possibile a condizione di uscire dalle gabbie dell’ideologia borghese in cui è stato rinchiuso. A condizione di avere un proprio partito con una tattica e una strategia, che siano contro i nazionalismi di ogni specie, capace di combattere l’imperialismo in tutte le sue forme e che abbia come fine ultimo la distruzione del capitalismo stesso, del rapporto tra capitale e lavoro e, conseguentemente, dello sfruttamento della forza lavoro. L’obiettivo non è il paradiso in terra, non è una bella favola da raccontare ai creduloni, ma l’unica condizione che permetta una alternativa sociale, una via d’uscita nella quale sia possibile unire le necessità dello sviluppo economico con una equa distribuzione della ricchezza. Dove scompaiano le classi, sinonimo di differenza sociale ed economica. Che abbia cura dell’ambiente e non, come succede oggi nel capitalismo, che lo si distrugge per consentire un più facile accesso ai profitti. Che lo sviluppo tecnologico non serva solo a rendere più breve il tempo di lavoro necessario alla costituzione del salario, con relativa distruzione di posti di lavoro, ma che liberi tempo sociale in cui i lavoratori, non più gravati dallo sfruttamento, possano esprimere le proprie individualità. Anche se difficile, a questo dobbiamo lavorare, altrimenti sarà il baratro delle guerre imperialiste a risucchiarci e a mantenere lo “status quo” che non può regalarci che sfruttamento, crisi economiche e devastanti guerre. Se fanno parte della vita delle contraddizioni capitalistiche, finiscono per irretire proletari, intere popolazioni che, invece, dovrebbero organizzarsi contro tutto questo per iniziare a costruire una società a misura d’uomo e non al malvagio servizio del profitto, dello sfruttamento e delle guerre che puntualmente ne conseguono.
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