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Home ›Chi è l'assassino, il clima? No, la borghesia. Il cambiamento climatico e le morti sul lavoro
Allo stillicidio quotidiano delle morti sul lavoro, seguono le immancabili bugiarde contrizioni dei politicanti che appoggiano i loro onorevoli deretani sulle poltrone parlamentari, a cui fanno eco grida di battaglia da parte dei sindacati, in un gioco delle parti in cui tutto, alla fine, deve rimanere com'è.
Se i governi lo volessero veramente, basterebbe che facessero applicare le leggi esistenti, borghesissime, che stanziassero qualche soldo in più per infoltire i ranghi dell'ispettorato del lavoro, ampiamente sotto organico. Se i sindacati dichiarassero davvero guerra senza quartiere alle pratiche omicide del padronato, dichiarerebbero guerra senza quartiere al sistema del lavoro salariato nel suo insieme. Se, se, se.... Sappiamo bene che i “se” rimangono tali, perché, con ruoli diversi ma complementari, personale politico borghese e sindacati hanno a cuore la conservazione del modo di produzione capitalistico. L'uno è preposto alla sua amministrazione, l'altro, senza il capitale con cui contratta le condizioni generali di vendita della forza lavoro (nel rispetto delle compatibilità del capitale stesso), perderebbe la propria ragione d'essere: con chi contratterebbe altrimenti?
In breve, i lavoratori (maschi e femmine) continueranno a essere stritolati dai macchinari, schiacciati dal crollo di un capannone o da una lastra di marmo. Qualche padrone, esprimendo a voce alta il pensiero di molti suoi simili, pensa che questo accade perché “sono deficienti” (i lavoratori), non stanno attenti a quello che fanno: bambini troppo cresciuti che scambiano gli impianti per i giochi del parco. Il disprezzo padronale verso chi, sfruttato, ogni giorno crea la ricchezza del mondo, ha per lo meno il “merito” di mostrare i padroni per quelli che sono, spogliati dall'ipocrisia che solitamente indossano, ma forse mai quanto i loro manutengoli politici, dediti, affermano, “al bene comune”.
Le cifre della strage infinita sui luoghi di lavoro sono note (1041 nel '23, però, si dice, in calo del 4,5% rispetto agli anni della pandemia), ma, anche in questo caso, nubi sempre più nere si addensano sulla testa delle masse lavoratrici – come se la situazione non fosse già nera abbastanza – e non solo dell'italico suolo, ma del mondo intero. Un rapporto uscito il 22 aprile scorso, dell'ultrariformista ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro)1 fa una stima delle morti sul lavoro dovute ai cambiamenti climatici, cioè alla borghesia, visto che lo sconvolgimento del clima è figlio legittimo del capitale. Le cifre, enormi, sono da prendere sul serio, in quanto l'organismo dell'ONU ha come scopo la conciliazione tra forza lavoro e “datori”, fuori e contro ogni sia pur vaga idea di lotta di classe, e se riporta certi dati non è certo per denunciare il capitalismo, ma per sollecitare i suoi gestori a prendere misure adeguate al fine di disinnescare il conflitto di classe. Pio desiderio, va da sé, ma questa è la “mission” dell'ILO.
Estrapolando alcuni numeri dal documento, la quota di lavoratori esposti nel luogo di lavoro a caldo eccessivo, tra il 2000 e il 2020 è aumentata dal 65,5% al 70,9%; in numeri assoluti vuol dire 2,4 miliardi di persone su un totale di 3,4 miliardi. Occorre specificare che col termine “lavoratore” l'ILO intende sia il lavoro dipendente che indipendente, ma si sa che, un po' dappertutto, spesso gli indipendenti in realtà sono salariati mascherati, il cui tenore di vita – condizionato o determinato dal tipo di occupazione – è spesso inferiore a quello di un salariato “normale”. Già oggi “ogni anno si perdono 18.970 vite umane e, 2,09 milioni di anni di vita (corretti per la disabilità) a causa dei 22,87 milioni di infortuni sul lavoro, attribuibili al caldo eccessivo”2. Ma le cosiddette ondate di calore, sempre più lunghe e sempre più frequenti, creano un “cocktail di rischi” che incrementano certe patologie, dal cancro (per es., tumori della pelle) alle malattie cardiocircolatorie, respiratorie, renali e persino “legate alla salute mentale”. L'inquinamento atmosferico può causare fino a 860 mila morti all'anno tra chi lavora all'aperto e l'esposizione ai raggi ultravioletti 18.960 decessi. Insomma, i danni del cambiamento climatico si intrecciano e vengono potenziati dalle condizioni di lavoro in cui il proletariato è costretto a operare. Ormai è finito nel dimenticatoio, ma nel novembre del 2022, il Guardian, per il lasso di tempo 2010-2020, calcolava – con ampio difetto - in 6500 i morti tra i lavoratori immigrati che hanno costruito le faraoniche infrastrutture per i mondiali in Qatar. L'inosservanza totale delle misure di sicurezza, i ritmi e i carichi di lavoro, pressoché schiavistici, affrontati in condizioni climatiche estreme, hanno provocato un massacro, grazie al quale la canaglia borghese ha realizzato profitti enormi.
Non di rado, quella canaglia, nonostante le evidenze scientifiche inoppugnabili, nega o minimizza il cambiamento climatico; se non lo nega, si veste di “verde”, ma solo per non affrontare il problema con la determinazione che la situazione impone. Altra volte, cerca di mettere la classe lavoratrice contro quei settori di borghesia che, invece, possono trarre profitto dalla cosiddetta transizione ecologica, ma non lo fa certo per difendere gli interessi operai, al contrario: punta a tutelare altri settori della borghesia non - o non ancora - attrezzati per la “transizione”, che verrebbero danneggiati dal passaggio al “green”. Per fare un esempio, il fascistoide Trump arringa gli operai dell'auto americani sui pericoli – reali, per altro – di disoccupazione legati alla diffusione dell'auto elettrica, voluta, a suo dire, dai “liberal”. Lo stesso vale per i suoi ammiratori europei, tra cui non può mancare in prima fila il Salvini: ovunque ci sia del torbido, lì è il suo ambiente. Quante volte il governo della “ducessa” ha tuonato contro gli “ideologismi” e gli “estremismi” degli ambientalisti che metterebbero sulla strada i lavoratori?
In realtà, come il rapporto ILO conferma per l'ennesima volta, la tutela dell'ambiente non è nemica della classe operaia, è vero il contrario. Gli operai (in senso lato) muoiono sul lavoro per fornire al padrone plusvalore e profitto in quantità possibilmente crescenti, ma muoiono, con i loro cari, anche fuori dalla fabbrica per l'inquinamento generato dai processi produttivi: l'Eternit di Casale Monferrato e l'ILVA di Taranto sono solo i casi più drammaticamente famosi. Senza contare che, per stare sul banale, un ambiente avvelenato intossica e uccide non solo il proletariato, ma anche la borghesia; questa, però, è antisociale per natura e in nome del profitto non esita a sacrificare singoli membri della propria classe e, se va vanti così, il mondo intero.
Il vero nemico mortale della classe lavoratrice e dell'umanità non è la tutela dell'ecosistema, ma il capitale, che uccide l'uno e le altre. Se i giovani che scendono in piazza nei “fridays _for future_” capissero come il problema dell'ambiente sia sostanzialmente un problema di classe, allora parte di essi andrebbe a infoltire le sparute file internazionaliste, che lottano, nel presente, every day for future. Vi aspettiamo!
1 Ensuring safety and health at work in a changing climate (“Garantire la salute e la sicurezza sul lavoro nel contesto dei cambiamenti climatici”), in www.ilo.org, pagina di Italia e San Marino.
2Dalla sintesi del rapporto.
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