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Home ›Un Ponte di menzogne
Le priorità sono le cose che dovrebbero avere la precedenza, rendendo le altre secondarie in fatto di importanza. Ovvero le cose più urgenti che impongono scelte decise. Ad esempio, la tutela e il miglioramento di ciò che funziona male al posto della creazione continua di qualcosa di nuovo dalla dubbia utilità e dall'elevato rischio e costo. Evidentemente, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, non ha mai percorso la Calabria o la Sicilia in treno, e non ha provato l'ebbrezza dell'attesa per i lunghi tempi di attraversamento di ciascuna delle due regioni del Mezzogiorno. Avrebbe notato quanto male sono collegate le località calabresi e siciliane, quanti cambi sono presenti su ciascuna tratta, quante ore si impiegano ad arrivare in città o paesi opposti nella stessa regione, nemmeno si dovesse andare dal nord al sud dell'intera penisola italica. Viene inoltre da pensare che non abbia mai messo piede in un ospedale per vedere le condizioni di arretratezza della sanità meridionale: un divario tra Nord e Sud che, tra l'altro, il suo socio del Carroccio Calderoli amplierá ulteriormente col progetto dell'autonomia fiscale, che andrà a colpire una volta ancora un'area che è già il fanalino di coda dal punto di vista dell'occupazione e del reddito. Infine, ma non da ultimo, il ministro infrastrutturale solo pochi anni fa considerava il Ponte una follia, un gigantesco spreco di soldi pubblici, il che prova che anche certi personaggi, qualche volta, possono avere ragione, benché poi rapidissimamente tornino ad essere quello che sono...
Anche in passato le opere pubbliche sono state gabellate come trampolino di lancio per il decollo economico del Sud Italia, per poi trasformarsi – com'era prevedibile - in miniere d'oro per appaltatori e costruttori, nonostante o proprio per questo i ritardi enormi sul termine dei lavori (vedi la Salerno - Reggio Calabria coi suoi 30 anni di apertura dei cantieri). Eppure si lanciano sempre nuovi e ambiziosi progetti, dove per ambiziosi si intende di difficile realizzazione, anziché salvaguardare o, meglio, migliorare il patrimonio infrastrutturale esistente che cade a pezzi. È la stessa logica che c'è dietro a opere come la TAV nel tratto Torino - Lione, che coi suoi treni che arrivavano mezzi vuoti al capolinea aveva bisogno di tutto fuorché di essere affiancata da un'altra linea di treni a velocità supersonica. Ovviamente, se i soggetti colpiti da queste opere inutili, o semplicemente chi non è d'accordo con le stesse esprimendo legittimi dubbi e perplessità, provano a mettersi di traverso, torna puntuale la tiritera sul cosiddetto "partito del NO". Sembra che per chi usa questa argomentazione, se tu dissenti su qualsiasi cosa - sia essa un transatlantico che deve attraversare la laguna a Venezia, o un ponte fantascientifico che deve collegare Calabria e Sicilia - tu sia un nemico del progresso e del benessere collettivo. In realtà, se si può parlare di benessere non è certo riferendoci - ed è qua che vogliamo arrivare - alle 1500 famiglie che - molte di più delle 450 persone cui accennavano le stime iniziali - verranno espropriate nei loro terreni per fare sì che inizino i lavori del famigerato Ponte di Messina. Con quali fondi, ci chiediamo, visto che Bruxelles non ha intenzione di erogare nemmeno un centesimo del PNRR allo scopo? Chiaramente i costi ricadrebbero sul bilancio pubblico, ossia in buona parte sulla fiscalità legata al reddito da lavoro dipendente, leggasi trattenute in busta. Come sempre i costi vengono scaricati per intero sulle spalle del proletariato, a cui però si promettono grandi benefici. Quali? Ma è ovvio, posti di lavoro, turismo, collegamenti agevolati. In realtà, su questo aspetto, lo stesso ministro ha le idee un po' confuse, visto che spara numeri di cui lui stesso non si ricorda. Era partito straparlando di 120 mila posti, dopo qualche settimana era passato a 100 mila, poi, autunno 2022, a 50 mila, ma secondo uno studio, per altro amico, i posti sarebbero al massimo circa 33 mila. La domanda d'obbligo, per quanto inelegante, sarebbe dunque: “che fai, parli o …?”.
Che importanza ha se del ponte in questione, già nel progetto originale del 2011 - che resta tuttora il nucleo fondante di quello conclusivo ed è stato appena ritoccato - erano già state dagli esperti evidenziate poche conformità, molte solo parziali e alcune nette non conformità ai requisiti cui una struttura del genere dovrebbe rispondere? Ad esempio, come farebbe a collegare i due capoluoghi interessati, visto che gli snodi ferroviari coinvolti arrivano, come a Ganzirri nel caso di Messina, a notevole distanza dai terminali - in entrata e uscita - del ponte stesso? Per collegare strade e ferrovie col ponte si sarebbe costretti, o a ultimare raccordi sopraelevati che passerebbero sulle teste degli abitanti, o a scavare in un terreno in gran parte sabbioso a rischio di frane o smottamenti. Nessuno (tra i “visionari” fautori della mega-opera) sembra inoltre volere accennare al fatto che stiamo parlando della zona più sismica d'Italia, nonostante il progetto di ponte a una sola campata dovrebbe fare sì che il tema della sismicità sia all'ordine del giorno, oltre a quello del vento, che secondo parecchi esperti farebbe oscillare in maniera molto preoccupante l'enorme campata unica (3,3 km). Giusto per ricordarlo, nel 1908 il terremoto che colpì Reggio Calabria e Messina, finora il più distruttivo in Europa tra il il XX e il XXI secolo, causò oltre 80 mila morti. A parte questo “particolare”, nemmeno si dice che, in fatto di traffico stradale e ferroviario, gli studi più recenti hanno evidenziato che rispetto al volume di persone che lo attraverseranno in treno o in auto, il ponte sarà sottoutilizzato. Già la maggior parte dei pendolari che vanno da una parte o dall'altra sui traghetti sono persone senza macchina (oltre il 76%), i quali di un ponte ne fanno a meno. Aggiungiamo che pur essendo tarato su un volume di traffico di 52,56 milioni di auto all'anno, le stime (quelle serie e disinteressate) ci dicono che ce ne passerebbero solo 11,6.
Conclusioni finali. Il filo comune che lega le opere pubbliche, oltre al fatto di costituire strumenti di consenso per democrazie e dittature - fermo restando che nelle une e nelle altre il potere de facto ce l'ha sempre la borghesia, la quale cambia solo i propri burattini al posto di comando a seconda della convenienza del momento - è la ricerca di profitto da parte delle imprese, o, se vogliamo usare un termine in voga, dei "contractors". Per inciso, ma non secondariamente, non è difficile immaginare che tra i “contractors” ci siano anche settori della borghesia extralegale, nata al Sud, ma espansa in ogni dove, che si chiama mafia, 'ndrangheta, camorra... I capitali, per continuare a rendere somme di gran lunga maggiori di quella spesa e creare profitto, devono essere investiti sia che si parli della speculazione bancaria che della produzione, è indifferente se di automobili, di case, di aeroporti o di ponti. Il mantra del capitalismo è costruire, costruire, costruire, a prescindere dalla necessità e dall'urgenza. Poco importa se ciò avviene a spese del territorio o delle persone. Il primo è devastato e a rischio di calamitá dai danni incalcolabili, le seconde - in massima parte appartenenti al proletariato - rapinate nel loro unico mezzo di sostentamento, il salario per il quale vendono la propria forza lavoro. Tutto questo avviene in nome di uno sviluppo che non coincide col vero progresso, nel quale - se ci fosse davvero - la crescita avverrebbe nel rispetto della natura, dell'ambiente e della collettività e non a vantaggio di pochi e a discapito della maggioranza della popolazione. Solo un sistema in cui queste componenti - rispetto dell'ambiente, sviluppo e collettività - siano compatibili tra loro e tra nessuna di esse ci sia attrito, può garantire non solo alla Calabria e alla Sicilia ma all'intero pianeta un progresso degno di tale nome. Quel progresso che noi chiamiamo comunismo.
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