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Pubblichiamo l'estratto di un articolo di Prometeo, sulla nostra impostazione rispetto alle cosiddette lotte di liberazione nazionale. Nonostante gli anni passati dalla sua redazione originaria, le indicazioni politico-metodologiche contenute sono più valide che mai. Ci sembra dunque utile ribadire le posizioni autenticamente internazionaliste, anche e non da ultimo di fronte all'appoggio, scontato, espresso dalla quasi totalità della “sinistra” (persino di frange autoproclamatesi impropriamente internazionaliste) a una della fazioni borghesi - quella palestinese – responsabili della macelleria in atto in Medio Oriente.
“_La borghesia nazionale di ciascun paese periferico - si legge nelle nostre Tesi sui paesi periferici, approvate da nostro VI congresso (1997) - è nazionale solo per l’anagrafe dei suoi membri e per il particolare tipo di istituzioni politiche oppressive di cui si dota contro la sua sezione nazionale di proletariato.
Ma la borghesia dei paesi periferici rientra, come parte costitutiva, nella classe borghese internazionale, dominante nel sistema complessivo dello sfruttamento perché in possesso dei mezzi di produzione a scala internazionale. Come tale, ciascuna sezione nazionale della borghesia, partecipa alla spartizione del plusvalore internazionalmente estorto al proletariato con pari responsabilità e pari destini storici, al di là dei rapporti quantitativi... Questa “borghesia nazionale” è tanto più interessata all’uscita dal sottosviluppo e dal dominio dell’imperialismo, quanto può esserlo la borghesia americana. I suoi contrasti (che pure esistono) con la borghesia, per esempio, americana, sono di carattere del tutto borghese, nel senso che riguardano le quote e i termini in cui partecipa alla spartizione internazionale dei profitti e degli extra-profitti_”.(La tattica comunista nei paesi periferici - Prometeo n. 13, serie 5, 1997)
L’intricata questione del Medio Oriente [da Prometeo n. 15 – 2007, Quali lotte contro l'imperialismo?]
Anche per la questione palestinese il concretismo impugna l’anti-imperialismo dalla parte sbagliata. La sua lettura dei fatti implica che, essendo lo jihadismo l’unica forza che concretamente si muove contro il mini imperialismo israeliano, e per legge transitiva, contro il maxi-imperialismo americano, il movimento sarebbe per sua natura anti-imperialista e, indipendentemente dal suo contenuto politico, va appoggiato incondizionatamente. Nel formulare una simile ipotesi si incappa in una serie di errori che obiettivamente collocano la formulazione nell’ambito della conservazione capitalistica e della reazione in termini politici. Innanzitutto si sorvola bellamente sul fatto che le forze integraliste in campo, Hamas in Palestina, Hezbollah in Libano e la variegata galassia integralista in Iraq, si nutrono politicamente, finanziariamente e militarmente degli aiuti di Siria e Iran che, a loro volta, rappresentano nell’area la lunga mano dell’imperialismo russo. Il che fa dello scontro tra Hamas e Israele, che certamente lottano anche per i rispettivi interessi nazionali, pur da posizioni diametralmente opposte, una questione inter-imperialista, di cui Hamas è consapevolmente una pedina di manovra. Di quale anti-imperialismo si tratta se nel combatterne uno si favorisce l’ascesa di un altro? Si può obiettare che, nella ricerca di un obiettivo nazionale, è gioco forza entrare tatticamente in questi meccanismi per ottenere la soluzione migliore. Ma così facendo si rinuncia a priori a porre la questione di classe dell’emancipazione del proletariato palestinese, come di quello di tutta l’area medio orientale, per rimanere chiusi all’interno di una prospettiva nazionalistica, capitalistica, senza nessun altra via d’uscita che non sia quella della propria borghesia e dell’imperialismo di riferimento.
Peraltro il nazionalismo ha il potere di dividere il fronte del proletariato. La sua valenza politica è inversamente proporzionale alla possibilità di ripresa della lotta di classe. Più il nazionalismo è forte ed operante e meno spazi politici si presentano al proletariato verso il cammino della sua emancipazione rivoluzionaria. Se poi il nazionalismo si presenta con le vesti dell’inte-gralismo islamico la sconfitta sarà ancora più pesante. L’integralismo è, per sua natura, conservatore in termini economici e reazionario sul terreno politico. È visceralmente anti-comunista e disciplina nella sharia i rapporti tra capitale e forza lavoro. Non sono tollerati scioperi contro i padroni, i dipendenti che si ribellano al dettame del capitale rischiano, se va bene, il licenziamento, altrimenti subiscono pene corporali. È semplicemente un crimine politico lasciare i proletari di Libano, Iran, Iraq e Palestina nelle mani di simili borghesie nazionali, in nome di un falso anti-imperialismo e di un ottuso nazionalismo religioso, come fanno alcune sedicenti avanguardie politiche. Il programma politico dell’integralismo prevede una sorta di internazionalismo islamico, l’Umma, (l’unione di tutti i popoli islamici riuniti in un’unica comunità senza divisioni territoriali e nazionali), per il raggiungimento della quale ogni tensione tra le classi è severamente vietata. In termini statuali, l’Umma è il presupposto della rifondazione del Califfato che, se dovesse rivedere la luce, sarebbe il ritorno al Medio Evo, alle leggi infami della sharia per centinaia di milioni di lavoratori. L’integralismo non solo è conservatore e reazionario, ma è una funerea bara messa di traverso sulla via della ripresa della lotta di classe. Anche in questo caso chi sceglie il terreno dello scontro è la borghesia nazionale e non il è proletariato, il cui muoversi è politicamente dettato dalle strategie nazionalistiche che sono inconciliabilmente opposte agli interessi di classe, anzi ne sono l’assoluta negazione. O le avanguardie si danno l’obiettivo di spostare l’asse politico del movimento, oppure rimangono all’interno dello stesso, ne seguono supinamente il percorso nazionalistico e capitalistico, rinunciando al loro ruolo, fungendo di fatto da quinta colonna del nazionalismo borghese che invece dovrebbero combattere. Appoggiare con o senza riserve Hamas, Hezbollah, lo jihadismo in generale, solo perché è l’unica cosa che si muove nello scenario mediorientale, con al traino il proletariato dei paesi dell’area è, a tutti gli effetti, consegnare all’avversario di classe i destini di milioni di lavoratori per i prossimi decenni, annullando qualsiasi ipotesi di ripresa della lotta di classe.
Il compito dei rivoluzionari
Contro l’imperialismo. Là dove l’imperialismo è operante, sia attraverso un’azione diretta, sia per mezzo di condizionamenti politici, ricatti commerciali e finanziari, il compito dei rivoluzionari è quello di combatterlo in tutti i modi. Non c’è possibilità di emancipazione proletaria se la lotta non parte dallo scontro diretto con il portatore di guerre, fame, miseria e sfruttamento. Ogni altra via, dall’indiferentismo (tanto non c’è nulla da fare) al collaborazionismo (cerchiamo di salvare il salvabile), porta all’inazione o alla sconfitta. Allo stesso risultato porterebbe un’alleanza con la borghesia nazionale che, pur se vincente, consoliderebbe il suo ruolo economico e politico all’interno di uno o l’altro dei fronti imperialistici e contro quello stesso proletariato che avesse operato al suo fianco.
Contro il nazionalismo. La lotta al nazionalismo deve essere altrettanto chiara e determinata. Non ci devono essere tentennamenti tattici giustificati da analisi storicamente superate quali: la necessità di favorire la costituzione del mercato interno, l’appoggio critico che verrebbe dato per una soluzione progressista che faciliti un domani la ripresa autonoma della lotta di classe o, peggio ancora, l’appoggio incondizionato perché il movimento nazionale avrebbe dei connotati anti-imperialistici. Il nazionalismo ha la straordinaria capacità di unire le classi antagoniste e di dividere il proletariato internazionale collocandolo dalla parte opposta di quegli interessi che invece lo dovrebbe unire. Il nazionalismo è interclassismo, è cioè l’involucro ideologico di cui si serve la borghesia per trascinare sul carro dei propri interessi l’avversario di classe, inibendogli ogni possibilità di autonomia politica ed organizzativa. Collocarsi su questo terreno significa, ancora una volta, contribuire alla sconfitta della classe prima ancora del suo potenziale esprimersi.
Contro il capitalismo. L’anticapitalismo deve essere alla base del muoversi dei rivoluzionari, deve essere la bussola d’orientamento a cui ci si deve riferire se si vuole lottare coerentemente contro l’imperialismo. L’anticapitalismo deve essere al contempo la denuncia del capitalismo stesso, delle sue conseguenze economiche e sociali, quali lo sfruttamento, la miseria e la guerra, e il presupposto alla necessità della soluzione rivoluzionaria quale condizione irrinunciabile per la costruzione di una società a misura d’uomo, per la costruzione del comunismo.
Per una soluzione rivoluzionaria. Ciò non significa che la rivoluzione proletaria in Medio Oriente sia all’ordine del giorno. Significa però che tutti gli sforzi delle avanguardie rivoluzionarie devono essere sempre orientati verso questo obiettivo. Quando poi le masse si muovono, quando le loro condizioni di vita materiale le spingono alla lotta, tutte le risorse e le energie delle avanguardie devono necessariamente puntare alla sottrazione delle masse all’influenza della borghesia. Se gli involucri politici che le contengono sono il falso anti-imperialismo, l’ammorbante nazionalismo, il presunto progressismo laico o la più retriva concezione teocratica della sharia, vanno attaccati, distrutti, smantellati uno per uno, perché solo dalle loro macerie può costruirsi la strada dell’emancipazione proletaria. Ogni appiattimento sulla ideologia borghese, ogni tentennamento tattico è un ostacolo alla ripresa della lotta di classe.
Altro compito prioritario, nell’attuale fase, è quello di far uscire dall’isolamento nazionale i vari proletariati dell’area. Il compito è certamente tra i più complessi, ed è tanto più difficile quanto maggiore è il radicamento dell’ideologia borghese all’interno delle masse. Lo sforzo deve tendere a costruire una rete proletaria trans-nazionale, che attraversi gli steccati politici e ideologici del nazionalismo. Che faccia delle affamanti condizioni comuni la pedana di rilancio della lotta di classe in Palestina come in Iraq, in Siria e in Giordania. Là dove l’integralismo islamico impone l’internazionalismo della Umma, il compito dei rivoluzionari è quello di rovesciarne dialetticamente il contenuto, cercando di costruire l’internazionalismo proletario facendo leva proprio su quella questione palestinese che tutte le borghesie arabe e musulmane strumentalmente impugnano. Non c’è paese dell’area mediorientale che, per mero gioco politico o per accattivarsi il consenso popolare, non sostenga a parole la causa dei palestinesi, per poi mal tollerarli all’interno delle proprie società, se non come forza lavoro a basso costo, e pronto a reprimerli quando la loro presenza si fa scomoda o ingombrante. In più i proletari palestinesi sono sottoposti al giogo del mini-imperialismo israeliano, allo sfruttamento di due fazioni della loro borghesia, quella laica di Al Fatah e quella integralista di Hamas, che si combattono tra di loro per il potere. Il percorso della loro emancipazione politica ed economica non passa attraverso il sostegno di una delle fazioni borghesi ma, come per tutti i proletari dell’area, deve imboccare la strada dell’autonomia di classe, del collegamento delle future lotte per una strategia comune, contro le rispettive borghesie. Un primo obiettivo è proprio quello di creare un fronte proletario trasversale, che inizi a prendere le distanze da tutte le borghesie e da tutti i nazionalismi comunque camuffati. Altrimenti si lascerebbero i proletari, le loro miserie e la loro disponibilità alla lotta nelle mani degli Hezbollah in Libano, di Hamas o di Fatah in Palestina, di Al Sistani o Moqtada al Sadr in Iraq, dei signori della guerra o dei talebani in Afghanistan senza nessuna speranza di ripresa della lotta di classe.
Oggi il compito storico delle sparute avanguardie rivoluzionarie, ovunque si trovino, è quello di favorire la nascita di organizzazioni partitiche che abbiano chiari i contenuti economici dell’imperialismo contemporaneo, del muoversi delle singole borghesie nazionali, delle soluzioni tattiche da adottare nel quadro politico imposto dai loro interessi. Solo così si contribuisce a preparare un futuro per tutti i proletari dell’area. Un futuro che abbia come punto di riferimento la ripresa della lotta di classe contro le aggressioni imperialistiche, contro le mire nazionalistiche delle varie borghesie, per una soluzione rivoluzionaria e comunista dell’attuale crisi internazionale. Ma questo futuro è destinato a rimanere lettera morta se si consegnano i destini politici del proletariato nelle mani della più ottusa conservazione capitalistica e del più feroce sistema politico antioperaio che oggi il Medio Oriente possa produrre.
Fabio Damen
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