Genova per noi e per chi non smette di volere un altro mondo possibile

Un compagno ci scrive, ritornando sul G8 di Genova del 2001, quando lo Stato democratico borghese, una volta di più, mostrò uno dei suoi volti, quello più brutale, massacrando letteralmente il movimento “no-global” o “Altermondialista”. Per un commento “in presa diretta” rimandiamo a: leftcom.org

Difficile parlare di Genova senza scivolare nel mito, nel reducismo generazionale, o nel sentito dire (per quelli che non c'erano). Dire "avevamo ragione noi" è facile, considerando anche l'apparato brutale con cui molti hanno fatto i conti in quei giorni, uno dei quali ha pagato con la vita. Ma non avevamo tutti ragione nella stessa misura, anche se ci siamo trovati tutti sullo stesso lato della barricata.

Certo non aveva ragione chi si impuntava nella sua critica alla globalizzazione e al neoliberismo, affrontandole come questioni separate, vedendole come rami staccati dal tronco quando invece il tronco su cui sono ben piantati - il capitalismo - veniva (quando veniva) messo in discussione solo superficialmente. Non erano in molti i rompicoglioni che sottolineavano che quel "mondo possibile", presente in ogni slogan e "migliore" come alternativa al capitalismo, sarà il comunismo. E che scorciatoie o mediazioni ce le possiamo pure scordare.

Ma al di là della confusione ideologica e di prospettive che c'era dietro il movimento, la mano pesante della borghesia e dei suoi cani da guardia si è abbattuta in tutta la sua ferocia anche su chi portava in piazza le posizioni più innocue dal punto di vista della rimessa in discussione di questo sistema. Tanto con lui quanto con chi il sistema lo contestava con maggiore durezza, bernoccoli e lividi da manganello sono fioccati come la neve in Lapponia. Segno, questo, che quando sente la mosca al naso del dissenso, anche la democrazia "nata dalla Resistenza" getta la maschera e mostra il vero volto di ogni regime borghese, che sia esso fascista o democratico ma sempre borghese: la violenza.

Oggi ricordare quelle giornate deve significare non uno sterile esercizio di amarcord, ma scendere necessariamente più in profondità nella critica di questo sistema, nel quale non c'è niente da salvare e del quale niente si può migliorare, se non forse – ma molto forse... - temporaneamente. Bisogna urlare ciò che per noi è ovvio ossia che il capitalismo ha – e non da ora - fallito, non ha mantenuto le sue promesse di liberare l'umanità da fatica, povertà, violenza: guerra e devastazione ambientale sono qui a dimostrarlo, una volta di più.

E che la società che vogliamo verrà gestita dal basso e non ha niente a che fare con l'inganno consumato in quella parte del mondo denominata a torto socialista. Infatti, la società che vogliamo porta il nome "comunismo" a dispetto di tutto e senza vergogna: perché affinché un assetto economico possa conquistarsi il diritto di chiamarsi con questo nome, gli insegnamenti di chi ha tracciato la strada devono trovare conferma nel sistema stesso, e non esserne l'esatto contrario. Ragion per cui, è un sogno ancora tutto da realizzare. Difficile ma non impossibile, anzi: l'unico vero "mondo possibile" al di fuori di questo.

Ma per conquistarlo, Genova 2001 ci ha ribadito un'altra cosa. In breve, che l'odio contro questa società, la determinazione a combatterla - anche a rischio della propria incolumità, nello scontro con le forze dell'ordine borghese - sono ingredienti necessari, ma non sufficienti. Devono essere fusi e diretti all'obiettivo dall'unico soggetto politico in grado di farlo: l'organizzazione rivoluzionaria a scala internazionale.

fc
Mercoledì, July 26, 2023