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Home ›La Marcia su Mosca diventa una marcetta. Sulla mossa di Prigožhin
Alfine si è arrivati alla resa dei conti. Era evidente che così non si poteva andare avanti, con lo chef-macellaio, a dire il vero più macellaio che chef, Prigožhin, che, un giorno sì e l'altro pure, minacciava sui social con tanto di nome e cognome, Shoigu e Gerasimov, mica gli ultimi pivellini che passavano per strada, (rispettivamente il ministro della difesa e il capo di stato maggiore dell'esercito); chiedendone financo la decapitazione. Non un bello spettacolo, neanche nelle democraticissime repubbliche occidentali, che l'avrebbero sicuramente messo a tacere ben prima o non gli avrebbero nemmeno permesso di aprire bocca. L'ex attore da tre soldi, il truce Zelensky, fermamente deciso a sacrificare anche l'ultimo uomo per la libertà dell'Ucraina (l'importante è che non sia né lui né i suoi amici, sempre al caldo o al fresco nei loro eleganti palazzi), uno come Prigožhin l'avrebbe rinchiuso per sempre.
Certamente le lotte intestine all'interno della stanza dei poteri del Cremlino e dintorni, non sono ancora finite. L'andamento della guerra che oramai si trascina da oltre 15 mesi, ha messo e mette a dura prova la stabilità dei centri di comando e la fedeltà nel nuovo autoproclamatosi zar Nicola 3°, alias Putin. Le cancellerie occidentali (Usa-Europa), e il loro braccio armato, NATO, non sono esenti da tutto ciò, ovvero nel senso che una manina per destabilizzare i centri di comando russi sono sempre ben disposti a darla, anche se, per quanto se ne sa, dovrebbero essere estranei alla “Marcia su Mosca”. Una cosa è certa che su questi intrallazzi di interessi e di potere che avvengono senza esclusione di colpi, pur essendo avviluppati dalle solite nebbie misteriose che circondano il “continente” Russia, il nostro filo conduttore rimane sempre il solito ritornello che “non si muove foglia che l'imperialismo non voglia”. E questa foglia, è sempre la solita storia: il fottuto mondo capitalista con le sue infamanti leggi, tutte racchiuse in una sola maledetta parola: Profitto.
Delle cosiddette libertà e democrazia dell'Ucraina non importa un accidenti a nessuno. Le più grandi democrazie del mondo in nome del profitto hanno fatto i peggiori massacri. Anche adesso. Mentre il sangue è ancora caldo, mentre ancora contano i morti, già si siedono ai tavoli per spartirsi il cadavere della ricostruzione: 10% a me; a te il 5%, e così via. E ancora, quando il 24 giugno Prigožhin è partito verso Mosca in quella che doveva essere una marcia trionfale, tutte le zecche che usano imbrattare giornali e disturbare i nostri timpani hanno accompagnato con una tifoseria da stadio il macellaio assassino, tifando apertamente per la sua vittoria. Ma sono rimasti delusi, perché quella che doveva essere la grande marcia si è rivelata una marcetta da banda del paese.
Ciononostante, è stato tutto un fiorire di castronerie, perfino nei peggiori bar di periferia erano diventanti d'improvviso storici ed esperti di cose russe: guerra civile, rivoluzione ecc., come se il regolamento di conti tra poteri dello Stato (ammesso che la Wagner sia uno di questi, ma formalmente non lo è), potesse essere annoverato come “guerra civile” o, peggio, rivoluzione. Nelle analisi, si fa per dire, degli esperti di cose russe si guarda solamente alla punta dell'iceberg, appunto allo scontro tra i vari apparati di potere, che indubbiamente esiste.(1) Prigožhin è stato il portavoce di questo malessere, ma ovviamente non si è mosso da solo, a parte il fatto che lo smantellamento della Wagner in Ucraina toccava forti interessi (ricordiamo che la Wagner è una vera e propria multinazionale della guerra con quasi 18 miliardi di euro di fatturato), sicuramente il “cuoco” godeva dell'appoggio di frange dell'esercito e di una parte degli oligarchi che si trovano a dover fronteggiare una crisi nella crisi, costituita dalle sanzioni che cominciano a colpire duro.
Ciò che per il momento è certo è che ancora questo round è a favore di Putin e la fronda interna, almeno per ora, è stata sconfitta. Tant'è che Prigožhin è sparito dai radar e da tutti i video, social o non, dal giorno della marcetta, e questo è un fatto inoppugnabile. Quale sarà l'evoluzione dei fatti? Tutto dipenderà dall'andamento della guerra, dalle dinamiche interne e dai sostegni internazionali, soprattutto di Cina e Iran che non possono permettersi, nella sfida con gli Stati Uniti e Ue, in subordine, che si indebolisca un importante anello della catena. Ma, come dicevamo, tutti guardano il dito e non vedono la luna. Come al solito manca il convitato di pietra che è la crisi economica, ovvero la caduta tendenziale del saggio di profitto.
«...Sempre la caduta del saggio non può che essere alla base di sempre maggiori fibrillazioni imperialistiche. Le “belve capitalistiche” più sono affamate (di profitti) più diventano aggressive. Là dove ci sono interessi economici di qualsiasi genere od obiettivi strategici importanti, l’imperialismo si esprime con la violenza della guerra, della conquista territoriale, del controllo delle aree di interesse petrolifero o gassoso. Si batte per il controllo dei mercati commerciali e finanziari. Distrugge con la violenza della guerra interi Stati, annientando intere popolazioni...» . Questo scrivevamo su Prometeo (n. 26) già a dicembre del 2021, ancor prima che scoppiasse la guerra. Previsioni puntualmente avveratesi.
La canea borghese si avventa ancora una volta, non le pareva vero, contro la rivoluzione del 1917, e in questo, ironia della sorte, si stringono e si abbracciano come fratelli di sangue con l'odiato Putin: “È come nel 1917, siamo stati pugnalati alle spalle dai traditori della patria”. Ovviamente i traditori sarebbero Lenin e i bolscevichi e il pugnalato lo zar Romanov, un sant'uomo, tipo lui. Ma nella sostanza, a parte il coinvolgimento personale, sono le stesse cose che dicono i soliti “slinguazzari” della vaporiera borghese. Prendete per esempio un certo Tramballi: “...il confronto più simile (con quanto è accaduto, ndr), è forse il 1917: quando i bolscevichi presero il potere con un putsch passato alla storia per rivoluzione, e in Russia iniziarono cinque anni di sanguinosa guerra civile: comunisti contro russi bianchi.”.( Il sole 24 ore Plus del 24/06/2023). Paragonare la rivoluzione proletaria della Russia del 1917, alla “marcetta” di Prigožhin e ad uno scontro tutto interno alle varie fazioni borghesi della Russia di oggi è da premio Nobel della storia. Per carità del dio degli stupidi risparmiamo il resto.
Ma, pur di continuare a buttare merda sulla rivoluzione d'Ottobre la borghesia mobilita le sue penne migliori, anche qui si fa sempre per dire. Prendiamo per esempo un certo E. Deaglio: «...Putin, a proposito del 1917 che lo ossessiona, dice brandelli di verità. Per esempio che la “rivoluzione di ottobre” (notare le virgolette, ndr), così come ci è stata raccontata, non è mai avvenuta (sic!) e che Lenin aveva buoni rapporti finanziari con la Germania». Praticamente il signor Deaglio ci sta dicendo che Lenin era un agente segreto dei tedeschi, e che “I bolscevichi costruirono un mito talmente resistente da aver ispirato anche la rivolta di Capitol Hill orchestrata da Steve Bannon”. Questa poi, ci mancava: Trump che si trasforma in Lenin e viceversa, fate voi. Si vede che il “proffessor” (cotanto genio merita due “f”), ha imparato queste favole alla scuola di “Lotta Continua”, assieme al suo amico Sofri, quando dirigeva il foglio dei “rivoluzionari” de' noantri, lasciando la professione medica, per la fortuna dei suoi pazienti, ma lasciando, poi, anche quel giornale ed approdando su ben altre rive per la fortuna sua e del suo portafogli.
Oltre a quanto detto finora, ci sono le implicazioni geopolitiche, cioè, detto più chiaramente, imperialistiche generate dalla “Marcia su Mosca” dell'oligarca Prigožhin in versione signore della guerra. Al di là di ipotesi più o meno realistiche e, soprattutto, della grancassa propagandistica occidentale battuta con forza da ambo le parti (NATO-Ucraina e Russia), il ruolo di Putin non sembra essere stato scalfito dagli eventi in questione, visto che i suoi alleati o partners tradizionali – come si è accennato più indietro - hanno tutti confermato il loro appoggio allo “zar”, tanto che si può dire che ne esca rafforzato, almeno per quanto riguarda lo scacchiere internazionale. La Cina forse più di ogni altro ha interesse alla stabilità del suo alleato. Infatti, se una Russia indebolita ha ancor più bisogno dell'appoggio cinese, rafforzandone la dipendenza, allo stesso tempo, però, una destabilizzazione e peggio dello stato russo costituirebbe per Pechino un enorme problema. La disgregazione dell'URSS e gli anni della deriva, diciamo così, eltsiniana, hanno permesso e facilitato lo spostamento verso Est dell'imperialismo avversario (USA-NATO), il che probabilmente verrebbe replicato, con maggiore intensità, nel caso in cui la Russia precipitasse in un baratro simile a quello del primo decennio post-sovietico. A parte questa eventualità - al momento, certo, improbabile – la Russia è un elemento fondamentale della nuova Via della Seta terrestre che, sebbene abbia subito una rude battuta d'arresto con la guerra e le relative sanzioni, rimane sempre un tassello fondamentale nella strategia dell'imperialismo cinese. Senza contare, poi, le reti di trasporto delle materie prime energetiche (gas e petrolio) che dalla Siberia alimentano la macchina economico-industriale del capitalismo cinese, per altro meno smagliante di un tempo, perché anche a Pechino, come in qualunque altra parte del mondo, opera la “legge più importante” del capitale, vale a dire la caduta tendenziale del saggio medio di profitto.
La Cina non può permettersi di avere le spalle, se non scoperte, quanto meno insicure, in una fase in cui si accelera lo scontro – per ora economico-diplomatico – con il principale avversario, l'imperialismo a stelle e strisce, prima di tutto in quello che considera il suo cortile di casa, cioè Taiwan e, in generale, l'Estremo Oriente. La stabilità della Russia significa anche stabilità dell'Asia centrale, un'area ugualmente strategica sia per Pechino che per Mosca, la quale, non a caso, ha dato una grossa mano al governo kazaco nella repressione della rivolta contro il carovita nel gennaio del 2022.
Appoggio senza tentennamenti a Putin anche da parte di Teheran e Damasco, gli altri componenti dello schieramento imperialista che ha in Mosca e, ancora una volta, dietro ad essa, Pechino, i capibastone. I rapporti tra la feroce borghesia teocratica iraniana e la borghesia guidata (almeno fino ad ora) da Putin sono oltre che stretti pluriennali e si sono rafforzati con le sanzioni che colpiscono entrambi gli stati, messi “sotto assedio” dall'imperialismo occidentale, per i soliti e disgustosamente ipocriti motivi umanitari, a cui naturalmente non crede nessuno, tanto meno i pennivendoli che fanno da megafono ai propri padroni imperialisti.
Lo stesso vale, se non di più, per il siriano Assad, che deve la propria sopravvivenza al regime putiniano, il quale, non solo con la Wagner, ma con l'intervento diretto delle proprie forze armate, ossia l'aviazione, ha impresso una svolta decisiva nella guerra contro i tagliagole dell'Isis, che avevano occupato, com'è noto, porzioni significative del territorio siriano abitato dai curdi. Qualunque settore della grande e grandissima borghesia russa (gli oligarchi, appunto) ha interesse a consolidare e ad allargare la presenza dell'imperialismo russo in Siria e in qualunque altra area possa mettere le mani, ma uno scontro interno alla “oligarchia”, con l'instabilità che ne consegue, rischia forse di intaccare e indebolire la “proiezione” imperialista, in quanto interesse collettivo di quella classe.
Se l'appoggio dei “compagni di merende” domiciliati a Pechino, Teheran e Damasco era scontato, non lo era del tutto nel caso di Ankara: Erdogan si è affrettato a telefonare a Putin, esprimendogli appoggio e solidarietà. La Turchia fa parte, come si sa, della NATO, ma, è altrettanto noto che, forte della struttura militare più agguerrita del Mediterraneo, vuole giocare una partita in proprio, far valere il proprio imperialismo d'area in una parte del globo in cui gli interventi degli USA - e dei loro accoliti, talvolta recalcitranti – hanno, coi disastri prodotti, aperto spazi che prima erano chiusi agli imperialismi di piccolo-medio calibro. I rapporti tra Ankara e Mosca, com'è la regola tra briganti imperialisti, sono dettati dai rispettivi interessi, che, pur non essendo sempre coincidenti (anzi!), possono trovare un punto di incontro momentaneo e strumentale su determinati aspetti. Per esempio, c'è in ballo il Turkmenistan, un gasdotto che dalla Russia arriverebbe in Turchia, e un investimento russo da 19 miliardi di dollari per una centrale nucleare nel paese del “Sultano”.
Infine, ma non da ultimo, anche le petromonarchie del Golfo non hanno fatto mancare il loro appoggio, più o meno esplicito, a Putin, col quale, non molto tempo fa avevano deciso di ridurre l'estrazione di petrolio per non farne abbassare le quotazioni, facendo imbufalire Biden, perché un aumento del prezzo del greggio è una manna per l'economia russa in affanno.
Intanto la guerra continua e, nell'attesa di una controffensiva ucraina mille volte annunciata, ma finora mai veramente dispiegata, la Russia aspetta che passi l'estate e poi l'autunno, quando, con l'arrivo dell'inverno – se prima non si scatena un'apocalisse atomica – lo scenario potrebbe cambiare forse in maniera favorevole a Mosca.
Ma la tragedia nella tragedia, anzi la radice ultima di questo cupo scenario, è che le borghesie, inquadrate nei rispettivi fronti o alla ricerca di nuovi assetti imperialisti, possono fare e disfare, massacrare esseri umani, avvelenare e distruggere l'ambiente perché l'unico soggetto che può mettere fine a tutto ciò, il proletariato, non recita la parte che gli compete: quella di becchino del sanguinario mondo borghese.
Però non abbiamo perso le speranze, né possiamo e vogliamo perderle: prima o poi si sveglierà dalla narcosi, ma se questo è un passo fondamentale, che non dipende sostanzialmente dalle sparutissime avanguardie rivoluzionarie, non è però sufficiente, se non ci sarà la saldatura tra la classe, i suoi settori più coscienti e combattivi, e quelle avanguardie, che si sforzano di tenere viva nel proletariato la prospettiva del superamento rivoluzionario di questa società, per il solo altro mondo possibile e desiderabile, per il comunismo.
TCNote:
(1) Ricordiamo, a titolo di esempio, che anni fa Putin mise in galera un oligarca molto potente, forse il più potente, Khodorkovsky, padrone della compagnia petrolifera Yukos e che mentre Putin “normalizza” la Wagner, la compagnia militare della statale Gazprom non è stata minimamente toccata, anzi.
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