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Home ›Sindacalismo di base: lotta politica o ai politici?
Continuando nell'analisi del sindacalismo “alternativo”, prendiamo spunto dalla lettera aperta indirizzata dal Si Cobas ai sindacati di base, per arrivare a organizzare un primo maggio unitario.
Tra le altre cose, leggiamo: “contro le politiche guerrafondaie, antiproletarie, razziste e repressive del governo Meloni”. Bisogna decidersi, o lottare per il potere o fare tesseramento, con la prospettiva, nemmeno troppo remota, di divenire l’argine sinistro borghese alle istanze politiche, che, con la lotta per migliori condizioni di vita e lavoro, la classe operaia manifesta e porta con sé, senza però riuscire ad esprimerle.
I rapporti sociali del capitale determinano i particolari interessi della classe dominante borghese, formata dai padroni e dai loro funzionari politici. Questi altro non sono che l’espressione personificata delle categorie economiche del capitale e dunque nessun cambiamento interno a questo regime economico in senso socialista è e sarà mai possibile.
L’unione tanto auspicata del sindacalismo di base si prefigura allora in un contesto di lotta per il potere ridotta a strategia in forma di opposizione a tutti i partiti costituzionali, senza porre mai alcuna alternativa sociale reale e percorribile come quella rivoluzionaria di rovesciamento dello stato e conquista del potere da parte del proletariato.
La mancata unione delle lotte e degli scioperi, prassi abituale dei sindacati detti di base (per non dire dei confederali...), testimonia questa tendenza del sindacalismo a frammentare il fronte proletario, il cui comune nemico borghese passa in secondo piano rispetto alla costituzione di una massa di manovra per il rafforzamento della propria organizzazione, con prospettive politiche, dunque, che non superano l’opportunismo, oramai congenito, della forma sindacalizzata di lotta di classe.
Inoltre, la menzione, contenuta nella “lettera”, alle mire predatorie della borghesia internazionale, riduce l’imperialismo ad una divisione tra oppressi e oppressori di stampo coloniale, ventilando una possibile alleanza naturalmente in chiave antimperialista, tra popoli “oppressi” senza distinzioni di classe, come si trattasse di società e nazioni che, in quanto oppresse, sarebbero estranee al capitalismo. E’ irricevibile! Qui si trasforma Lenin in una bagnarola utile a manovre di piccolo cabotaggio fatte passare per internazionalismo.
Ricondurre e ridurre le ragioni di una crisi sistemica irrisolvibile, se non con il ricorso alla distruzione su vasta scala del capitale in eccesso, rappresentato da uomini e mezzi di produzione, alla volontà di singoli politici (“la riforma delle pensioni voluta da Macron”) o di interi archi parlamentari (“attacchi al salario diretto e indiretto che il padronato e i governi di ogni colore politico hanno portato…“) riporta sul terreno riformista le potenzialità rivoluzionarie delle lotte operaie. E' vero, ovviamente, che gli attacchi sono portati dai padroni e dai loro governi “di ogni colore”. Però, se non si dice che il tutto è espressione della crisi storica del capitale – il quale, per sopravvivere, non può fare altro che “prendere” al proletariato – fa implicitamente passare l'idea che una lotta sindacale più decisa potrebbe costringere i padroni e i loro lacchè politici a cambiare la politica economico-sociale, nel quadro del sistema alle prese con una crisi storica. Da qui, l'apparente radicalità delle richieste sindacali (forti aumenti salariali, forte imposizione fiscale ai grandi patrimoni), del tutto illusorie e velleitarie, perché presupporrebbero una classe lanciata verso la conquista del potere politico e non semplicemente la traduzione della sua “incazzatura” sul terreno di un radicalismo sindacale, che non ha spazio, dentro la crisi.
Si rimane nella perenne attesa o meglio illusione di una vita migliore, con prevedibili effetti di disaffezione e rinuncia alla lotta, se privata del senso politico, ridotta a lotta contro i politici. E i padroni ringraziano!
Noi auspichiamo l’unione dal basso delle lotte operaie, al di là e al di fuori delle sigle sindacali, laddove accade l’esatto opposto, ovvero le conquiste della classe operaia – quando di conquiste si può parlare - passano per conquiste sindacali, calate dall’alto e rimosse dalle coscienze del vero protagonista sulla scena della storia: il Proletariato Internazionale. Invece, appunto, il sindacalismo ha sempre teso, tranne rare eccezioni, a frenare la lotta operaia e a ricondurla dentro il recinto delle compatibilità del capitale.
Non organizzazione, ma, a questo punto, disorganizzazione sindacale sembra allora essere il principio che storicamente si è affermato.
Non si tratta di non condividere le rivendicazioni immediate e pratiche di chi a fine mese ci arriva facendo i salti mortali, o non ci arriva per niente, bensì di strappare quel velo ideologico che ricopre le aspirazioni riformiste, opportuniste o al massimo corporative che le logiche sindacali perseguono; di aprire al diretto protagonismo della classe operaia le scelte da operare sul terreno della quotidianità per migliorare le proprie condizioni di vita e lavoro, lottando direttamente contro il nemico di classe, il padrone, e non verso i suoi rappresentanti, che si avvicendano all’infinito sul pulpito della demagogia borghese. Lotta condotta sul posto di lavoro, attraverso lo sciopero e la rottura, per quanto momentanea, della catena del profitto e dello sfruttamento. A cosa servono scioperi annunciati mesi e mesi prima o le passeggiate festive senza interrompere la produzione? La buttiamo li: auto-legittimazione?
O la lotta di classe opera su di un terreno direttamente politico o, all’interno del quadro di dominio capitalista nella sua attuale forma di decadenza imperialista, la logica della delega non approderà mai a nulla di concreto e vantaggioso sul piano sia rivendicativo che, soprattutto, della coscienza di classe.
Noi lavoriamo, invece, per assicurare i soggetti proletari più sensibili dal punto di vista politico alle fila del partito rivoluzionario, con l’obiettivo di diffondere nella classe “uomini” e strumenti rivoluzionari inconciliabili con le istanze riformiste, come inconciliabili sono gli interessi della classe operaia (intesa in senso lato) con quelli dei padroni, con l’obiettivo, oltremodo attuale, di formare la classe rivoluzionaria “per sé”.
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