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Home ›La guerra in Ucraina apre la strada al conflitto imperialista globale
Non si può non essere scossi dagli orrori che sta affrontando il popolo ucraino, in particolare la classe operaia. Stanno vivendo un tormento di morte e sfollamento come le vittime della guerra imperialista in Iraq, Siria e delle altre nel mondo negli ultimi anni. Tuttavia la guerra in Ucraina è diversa in quanto definisce più chiaramente gli interessi imperialisti delle potenze contendenti. È anche una guerra che andrà avanti a lungo senza la prospettiva di una pace negoziata. Si tratta di una guerra in territorio ucraino, ma con enormi implicazioni per il futuro. Sta aprendo la strada a un conflitto generalizzato che coinvolgerà le principali potenze del pianeta. Dagli incontri pubblici e informali che abbiamo tenuto e dalla lettura della stampa di altre organizzazioni politiche è chiaro tuttavia che non tutti vedono questa guerra nello stesso modo in cui la vediamo noi. Data la gravità della situazione attuale, ci sentiamo in dovere di spiegare ulteriormente perché la guerra in Ucraina deve essere vista nel contesto più ampio della rivalità inter-imperialista e della crisi globale del sistema capitalistico.
La guerra imperialista è guerra totale
L'imperialismo nella sua forma moderna si è sviluppato negli ultimi decenni del XIX secolo, quando il sistema economico mondiale, il capitalismo, è entrato in una nuova fase del suo sviluppo a causa del processo di concentrazione e centralizzazione del capitale già identificato da Marx. Al momento della sua morte si era giunti a un punto tale che ogni economia nazionale era ormai dominata, per dirla con Bukharin, dai “magnati del capitale”, che avevano preso “possesso dell'intera vita economica”. Il potere statale era ormai diventato il dominio di un'“oligarchia finanziaria” (1).
Questa situazione si è protratta fino ai giorni nostri. La competizione si è spostata da una lotta tra singoli capitalisti all'interno di ogni stato a una lotta competitiva tra stati per ottenere nuove fonti di materie prime, investimenti e mercati, o anche semplicemente per sottrarli ai rivali . Il mercato mondiale capitalista dell'epoca di Marx si era trasformato in una “economia mondiale” in cui la lotta per il dominio tra gli stati era diventata fondamentale. L'economia mondiale implicava un ruolo sempre più importante dello Stato nel promuovere e difendere le principali imprese e questo si traduceva in una competizione imperialista (che nella sua fase iniziale includeva il colonialismo), in guerre commerciali e, infine, in guerre globali.
Le due guerre mondiali del secolo scorso sono nate da questa lotta imperialista in cui ogni potenza ha cercato di distruggere il potere economico e militare dei suoi rivali. Non solo le guerre hanno portato al massacro di milioni di lavoratori, ma le loro conseguenze economiche (non volute) hanno spianato la strada alla rinascita dell'intero sistema di accumulazione capitalista. Distruggendo una massa di valore tanto grande, queste guerre hanno permesso l'inizio di un nuovo ciclo di accumulazione. La prima guerra mondiale ha distrutto molto meno valore della seconda, per questo il boom che ne seguì (i cosiddetti “anni ruggenti”) non durò a lungo e si concluse drammaticamente con il crollo di Wall Street del 1929. Questo ha provocato una reazione a catena di fallimenti in tutto il mondo che ha fatto sprofondare l'economia mondiale in una nuova depressione.
Depressione causata, come tutte le crisi del capitalismo, dalla tendenza al calo del saggio di profitto. Questo porta alla sospensione degli investimenti, quindi alla contrazione della produzione e al licenziamento dei lavoratori. Si innesca un circolo vizioso in cui il licenziamento di altri lavoratori porta a una contrazione del mercato e a un numero ancora maggiore di fallimenti con l'arresto della produzione. Gli economisti volgari di varie scuole concludono che l'effetto (la contrazione dei mercati) sia la causa, quando in realtà tutte le crisi capitalistiche iniziano come crisi di redditività. La depressione economica porta miseria a milioni di lavoratori che ne pagano il prezzo con l'intensificazione dello sfruttamento, la perdita di posti di lavoro e la diminuzione dei salari reali. Inoltre è sempre accompagnata da un aumento della concorrenza e delle tensioni imperialiste che portano alle guerre.
Negli anni '30 i leader delle varie potenze, vista l'esperienza della Prima Guerra Mondiale, si rendevano conto che le guerre avevano ormai assunto un carattere diverso. Non si trattava più solo di inviare un esercito o una flotta da guerra in una zona di battaglia lontana, con un impatto minimo sull'economia nazionale. Nella fase imperialista del capitalismo, l'economia nazionale era parte integrante della capacità di uno Stato di combattere la guerra. La guerra imperialista era ora inequivocabilmente una “guerra totale”.
Il contrasto tra la lotta all'ultimo sangue delle guerre imperialiste e il periodo dell'ascesa del capitalismo
Nell'era napoleonica, nonostante i tentativi di blocco economico da entrambe le parti, era ancora valido il dettato di Jean-Jacques Rousseau secondo cui “Ogni Stato può avere come nemici solo altri Stati e non gli uomini (sic)”. La conseguenza era che:
La proprietà privata in guerra era quindi inviolabile dallo stato come entità pubblica. La dottrina divenne rapidamente dominante nel diritto nazionale e nella diplomazia dell'Europa continentale (2).
Ciò ha portato ad alcuni sorprendenti contrasti con i giorni nostri. Nella guerra di Crimea (1854-6) tra Gran Bretagna e Russia,
il governo di Sua Maestà continuò ad adempiere ai suoi obblighi di pagamento al governo zarista dei suoi vecchi prestiti. Nel frattempo la Russia pagava doverosamente gli interessi ai proprietari del suo debito sovrano che vivevano in Gran Bretagna (3).
Questa inviolabilità della proprietà privata la troviamo nel Trattato di Parigi che ha messo fine alla guerra di Crimea e in molti trattati successivi che coinvolgevano Italia, Austria-Ungheria, Prussia e Stati Uniti (4). Fu persino sancita nel 1907 nella Convenzione dell'Aia che tentò di definire le “regole” della guerra moderna.
La Prima guerra mondiale ha stracciato quelle regole. Come primo conflitto globale dell'era imperialista, fece dell'economia e della popolazione di ogni stato i principali obiettivi della pianificazione bellica. I blocchi, l'interruzione dei rifornimenti, la distruzione delle infrastrutture economiche e la coercizione dei paesi neutrali a schierarsi attraverso sanzioni economiche (5) facevano parte della contesa tanto quanto i massacri nelle trincee.
Nella Prima guerra mondiale, le potenze dell'Intesa hanno posto un blocco alle potenze centrali di Germania e Austria-Ungheria. La Germania risponde con una guerra sottomarina senza restrizioni per distruggere la navigazione mercantile nell'Atlantico settentrionale. Tuttavia, l'esempio più eclatante è il continuo blocco della Germania da parte degli Alleati (denominazione presa dalle potenze dell'Intesa quando si uniscono l'Italia e gli Stati Uniti) anche dopo la firma dell'armistizio. Negli 8 mesi precedenti la firma del Trattato di Versailles, tra i 300 e i 400 mila civili tedeschi (6) muoiono per malnutrizione, a questi si aggiungono, come altro corollario della guerra, oltre 120 mila morti per malattie come l'“influenza spagnola”. Questo a fronte della morte di poco più di 2 milioni di soldati tedeschi in oltre 4 anni di combattimenti effettivi. Queste cifre non fanno altro che confermare il fatto che la guerra imperialista fu effettivamente una “guerra totale” che colpì la popolazione civile tanto quanto le forze armate dello stato.
La guerra totale ha però anche altri aspetti. Il suo obiettivo è schiacciare il nemico economicamente, e non solo militarmente. Qui, a differenza delle guerre precedenti, non c'è l'idea di raggiungere una soluzione negoziata. Tutti i tentativi della diplomazia classica di porre fine alla Prima Guerra Mondiale sono naufragati sul fatto che le guerre imperialiste richiedono la completa distruzione dell'economia e del potenziale militare della controparte. Quando al maresciallo Foch, comandante supremo degli Alleati, fu chiesto dalla delegazione tedesca inviata nella foresta vicino a Compiègne, nel novembre 1918, quali fossero le sue condizioni per la resa, rispose che non ne aveva. Chiedeva era una resa totale e incondizionata. I rappresentanti della Germania non sono neanche stati invitati alla Conferenza di pace di Parigi del 1919, ma furono costretti a firmare il Trattato di Versailles sotto la minaccia di un blocco continuo. Keynes l'ha definita una “pace cartaginese”, Hitler la un “diktat”. Era molto lontana dalla “pace giusta e sicura” di Woodrow Wilson poiché, come dimostra il fallimento di tutti i negoziati prima dell'invasione russa dell'Ucraina, questo non è possibile nell'imperialismo moderno. Esiste solo un costante spostamento dei rapporti di forza che rende alcuni Stati “revisionisti” e altri determinati a bloccare qualsiasi revisione (dei rapporti di dominio n.d.t.). La Seconda guerra mondiale ha confermato che le guerre imperialiste si combattono fino in fondo. I “Tre Grandi” alleati (Roosevelt, Churchill e Stalin) annunciarono ripetutamente, a partire dal 1943, che solo la “resa incondizionata” di Germania, Italia e Giappone avrebbe posto fine alla guerra, ed è proprio quello che accadde.
In termini di mortalità, la Prima Guerra Mondiale non è stata nulla in confronto alla Seconda. Quest'ultima fu una guerra di 6 anni e si estese dal Circolo Polare Artico al Pacifico meridionale, passando per tutta l'Europa e l'Asia e buona parte dell'Africa. Distrusse una quantità senza precedenti di capitale costante sotto forma di fabbriche, terreni agricoli, infrastrutture di trasporto e fonti di materie prime e di capitale variabile nella forma di milioni di vite. Il massacro è stato così grande e così esteso nel mondo mondo (più della metà di tutti i morti sono stati in URSS e in Cina) che le stime variano enormemente. Sembra lecito supporre che tra i 70 e gli 85 milioni di persone siano morte direttamente a causa delle azioni militari o a causa di malattie e carestie legate alla guerra. Due terzi di questi erano civili (7).
Questo è stato in parte il risultato dello sviluppo di aerei quadrimotore che potevano trasportare bombe per radere al suolo le città, ma è anche dovuto alla natura della guerra imperialista totale. Le guerre non si combattevano solo tra eserciti, ma tra intere nazioni. I luoghi in cui nascondersi o fuggire erano ormai pochi. Anche i Paesi “democratici” più liberali sospesero le libertà civili per controllare e censurare la stampa, internare gli “stranieri” (anche quelli che erano fuggiti dalle persecuzioni) e mettere sotto controllo statale l'intera produzione nazionale. Gli obiettori di coscienza, i socialisti/comunisti, i pacifisti cristiani o altri che si opponevano alla guerra venivano criminalizzati e talvolta uccisi.
La guerra totale conferisce quindi un enorme potere allo Stato e indebolisce la resistenza della classe operaia, soprattutto quando, come in entrambe le precedenti guerre mondiali, le presunte organizzazioni dei lavoratori sostengono lo sforzo bellico e accettano di preservare la pace sociale a sostegno della “nazione”.
Non siamo in una nuova guerra fredda
La guerra in Ucraina non è ancora una guerra mondiale, ma il segnale più preciso che l'imperialismo mondiale ha intrapreso questo processo. Molti commentatori occidentali continuano a parlare di “nuova guerra fredda”, ma ciò è fuorviante, perché si riferisce solo alle analogie con il periodo successivo al 1945. Si concentrano sul fatto che due blocchi si sono fronteggiati, ma nessuno ha ingaggiato un conflitto diretto con l'altro poiché, a loro avviso, le armi nucleari avrebbero portato a una “distruzione reciprocamente assicurata”.
Non vedono sono le differenze rispetto a oggi e sono proprio queste differenze a rendere la situazione attuale molto più pericolosa per l'umanità. La prima è che non siamo all'inizio di un nuovo boom economico provocato dalla guerra come nel 1945. Dagli anni '70 del secolo scorso il capitalismo globale è entrato in una lunga e lenta crisi, spesso mascherata dai vari espedienti che sono stati utilizzati per gestirla. I più “riusciti” sono stati la deregolamentazione della finanza negli anni '80 e '90 e il conseguente trasferimento degli investimenti verso le economie a basso salario. È stato un buon modo per ristrutturare l'industria e, allo stesso tempo, indebolire la classe operaia che negli anni '70 nei paesi più avanzati aveva combattuto con tanta ostinazione per mantenere il proprio tenore di vita. Sembrava che il cosiddetto “neoliberismo” avesse avuto successo, la classe operaia dei paesi più ricchi diventava sempre più debole, mentre i lavoratori dell'Asia, dell'America Latina e di altri paesi lavoravano come schiavi (inizialmente nelle Zone Economiche Speciali) e in condizioni terribili per fornire al mondo merci a basso costo.
Ma la finanziarizzazione dell'economia non ha fatto altro che alimentare sempre più la speculazione. Sono comparsi nuovi strumenti finanziari per creare capitale fittizio scommettendo sui profitti futuri. I debiti venivano ora addirittura etichettati come “assets” (beni , patrimoni). In realtà i finanzieri stavano ipotecando il futuro. Contavano sulla produzione del futuro per trasformare la loro finzione in realtà. Come era del tutto prevedibile, questo castello di carte è crollato quando coloro che si trovavano in fondo alla scala sociale non sono riusciti a far fronte ai pagamenti dei mutui subprime nel 2007-8. Questo avrebbe dovuto innescare una crisi ben più grave per il sistema, ma nei paesi più ricchi lo stato è intervenuto pesantemente perché il settore finanziario era “troppo grande per fallire”. Gli stati si sono fatti carico di gran parte del debito bancario e hanno creato denaro (quantitative easing) per consentire alle banche di continuare a funzionare. Ma la speculazione e l'accumulo di debito non si sono fermati e nel 2019 si sono addensate altre nubi di tempesta (già prima dell'avvento della pandemia). Ora si aggiunge anche la guerra in Ucraina che sta aumentato le tensioni inflazionistiche.
Il sistema si trova ora in una situazione di stallo. La risposta classica all'inflazione è la doccia fredda dell'aumento dei tassi d'interesse, che nel Regno Unito sono ancora solo all'1,25% dopo 5 rialzi consecutivi (si pensi all'ultima ondata inflazionistica, quando nel 1979 il Regno Unito raggiunse un picco del 17%). Un aumento dei tassi di interesse tale da raffreddare l'inflazione non solo manderebbe in bancarotta almeno un quinto di tutte le aziende, ma porterebbe al collasso delle valute e ai default degli stati in tutto il mondo (nei paesi più poveri stanno già avvenendo). Ecco perché le banche centrali del mondo, come la Federal Reserve statunitense, sono apparse paralizzate di fronte alla crisi del costo della vita. Non hanno alternative valide e, come il signor Micawber [Personaggio dal “David Copperfield” di Dickens: il suo nome è diventato sinonimo per definire chi vive in attesa e nella vana speranza di qualcosa, Wikipedia], aspettano che “succeda qualcosa”. Anche se nessuno vuole riconoscerlo, questa lunga crisi capitalistica richiede ancora un'altra svalutazione massiccia, come quella che solo una guerra imperialista generalizzata può provocare. Non è quindi un caso che all'orizzonte si profili lo spettro della guerra globale.
L'arma economica
La seconda grande differenza rispetto alla guerra fredda post-1945 è che non abbiamo più un mondo diviso tra due blocchi guidati da superpotenze uscite vincitrici e soddisfatte dal conflitto precedente. Da un lato, l'URSS e il suo blocco sono crollati nel 1991 (torneremo su questo punto più avanti), mentre dall'altro l'ascesa economica della Cina è stata la conseguenza involontaria del riorientamento degli investimenti occidentali verso Est e Sud per combattere la crisi economica. Gli Stati Uniti, pur essendo ancora una potenza militare ed economica schiacciante (grazie all'egemonia del dollaro nell'economia mondiale), non sono più immuni da sfide. Le risposte degli Stati Uniti a questa nuova situazione non hanno fatto altro che minare lo stesso “Nuovo Ordine Mondiale” che hanno cercato di imporre dopo il 1991. Non si è trattato solo delle disastrose guerre in Iraq e Afghanistan, dalle quali gli Stati Uniti sono stati costretti a ritirarsi ignominiosamente (rendendo il mondo meno “ordinato”). L'altro strumento della politica statunitense è stato quello di usare l'egemonia del dollaro per imporre la propria volontà, su amici e nemici, attraverso l'uso dell' “arma economica”, le sanzioni.
Nessun'altra politica ha fatto tanto quanto le sanzioni per forgiare i due campi opposti del prossimo confronto mondiale. Cina, Russia, Iran, Venezuela e Cuba forse non hanno (ancora) formalizzato una nuova alleanza, ma i primi tre, che occupano gran parte della terraferma asiatica, di sono sicuramente avvicinati per aiutarsi a vicenda di fronte alla guerra economica degli Stati Uniti.
In termini di valore del commercio e del PIL, sembra che il mondo abbia tre grandi attori, gli Stati Uniti, l'UE e la Cina. Ma quando si tratta di pagamenti transnazionali bisogna passare sempre dagli Stati Uniti, perché la maggior parte di questi passa attraverso le banche USA. Ai tempi dell'impero britannico, le strategie di controllo del commercio mondiale erano più fisiche e si basavano sul controllo dei mari. Una delle opzioni opzione era il “controllo dei bunker”, ovvero negare alle nazioni ostili il diritto di utilizzare le stazioni di rifornimento britanniche sparse per il pianeta (8). L'altra era il vero e proprio blocco.
Oggi gli Stati Uniti hanno a disposizione un'arma più efficace e poco costosa da attuare (9). In quanto detentori della principale valuta di riserva del mondo, il dollaro, gli Stati Uniti hanno pochi concorrenti e certamente nessun rivale nel loro ruolo quasi monopolistico nel commercio mondiale. La loro capacità di escludere qualsiasi Stato dal sistema finanziario internazionale è enorme e ne hanno sofferto le popolazioni dell'Iran a partire dagli anni '80, dell'Iraq negli anni '90 e dell'Afghanistan fino ad oggi. Secondo l'Unicef, mezzo milione di bambini sotto i 5 anni sono morti in Iraq a causa della malnutrizione causata direttamente dalle sanzioni statunitensi negli anni '90 (10). La stessa sorte sta toccando ai bambini afghani, dato che il tesoro nazionale dell'Afghanistan si trova nelle mani degli Stati Uniti a New York, anziché in quelle del regime talebano non riconosciuto di Kabul. Gli Stati Uniti possono aver perso la campagna militare, ma l'egemonia del dollaro ha reso le sanzioni l'arma imperialista definitiva. Inoltre, costringono gli alleati riluttanti a conformarsi alla politica statunitense contro i loro stessi interessi. Dal 2017 quando, gli Stati Uniti si sono ritirati dall'accordo sul nucleare iraniano, le banche europee e di altri paesi (i cui stati hanno cercato di mantenere l'accordo) e le imprese che hanno effettuato scambi con l'Iran sono state costrette a pagare centinaia di milioni di dollari di multe. In passato, le sanzioni hanno persino costretto Russia e Cina a collaborare con gli Stati Uniti. La Russia ha inizialmente sostenuto le sanzioni contro l'Iran e nel 2006 le banche cinesi hanno collaborato ai tentativi di punire la Corea del Nord.
Come ha dimostrato il già citato Nicholas Mulder, i primi promotori delle sanzioni economiche le vedevano come un'alternativa alla guerra, ma in pratica non hanno agito come tali. Nel periodo precedente la Seconda guerra mondiale, le sanzioni contro le potenze dell'Asse ebbero due conseguenze. La prima fu che le indussero a cercare il più possibile l'autosufficienza economica. Tuttavia, quando ci si rese conto che la completa autarchia non era possibile, queste potenze imperialiste più deboli sono state spinte ad avventure imperialiste quasi suicide. Il Piano quadriennale nazista del 1936 prevedeva palesemente una futura “espansione territoriale” (11), ma fu il Giappone a diventare la più disperata delle potenze sottoposte a embargo. Di fronte all'aumento delle sanzioni statunitensi, in particolare sulle forniture di petrolio nel luglio 1941, il progetto imperiale giapponese (che l'aveva visto conquistare gran parte della Cina dopo il 1937) si trovò in grosse difficoltà. Nel Pacifico meridionale c'era il petrolio dell'Impero olandese, ma per prenderlo sarebbe stato necessario il controllo dei mari. Ciò avrebbe richiesto una scommessa straordinaria, ed è proprio questo il significato dell'attacco alla base navale statunitense di Pearl Harbor. Distruggere la flotta americana del Pacifico avrebbe dato al Giappone la possibilità di invadere gran parte dell'Oceania e del Sud-Est asiatico. L'azzardo fallì perché la flotta di portaerei statunitense non era in porto, ma non aveva comunque gradi probabilità di successo data la potenza economica degli Stati Uniti. Tuttavia, nella mentalità imperialista del “chi vince prende tutto”, non c'era alternativa per la potenza più debole. Le sanzioni non sono quindi un'alternativa alla guerra, ma fanno parte del kit bellico dell'epoca imperialista, e di conseguenza provocano l'aggressione.
La guerra in Ucraina
Il racconto di una potenza imperialista più debole spinta agli estremi dalla crescente pressione di un rivale più potente lo riascoltiamo con l'invasione russa dell'Ucraina. Nella versione russa della storia imperialista (12) la NATO sta circondando la Russia con l'obiettivo di smembrarla definitivamente. Da parte sua, la NATO sostiene di essere un'alleanza puramente difensiva, ma ha violato le promesse fatte alla Russia. Dal 1991 i leader occidentali hanno ripetutamente assicurato che la NATO non avrebbe raggiunto i confini della Russia, anche se tutti i vecchi stati del Patto di Varsavia vi hanno aderito. Nel 2004 la NATO fa esattamente quello che aveva promesso di non fare, entrando essa stessa nel territorio della vecchia URSS con l'adesione dei tre Stati baltici. I bombardieri della NATO di stanza a Tallinn sono ora a meno di un'ora da San Pietroburgo. L'Ucraina e la Bielorussia hanno fatto parte del vecchio impero russo per secoli. Sono gli ultimi ammortizzatori della Russia contro la NATO. Entrambe (più la Georgia) sono state oggetto di tentativi occidentali di rovesciare i leader filorussi.
Dall'indipendenza dall'URSS, l'Ucraina è diventata uno degli Stati più poveri d'Europa, con un'economia dominata da poche decine di capitalisti rivali in lotta tra loro che controllano circa il 42% dell'economia. Questi oligarchi corrotti hanno fatto sì che dal 1991 l'Ucraina oscillasse tra la Russia e l'Occidente. Nel 2014, quando il Presidente dell'Ucraina Viktor Yanukovich, democraticamente eletto e filo-russo, è stato rovesciato da una rivolta ispirata e finanziata dall'Occidente (il Maidan), il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha parlato di “colpo di Stato in Ucraina” (13). Il Maidan a Kiev ha portato i separatisti russi ad aprire la guerra nel Donbas, culminata con l'annessione della Crimea da parte della Russia.
Ignorata per la maggior parte degli ultimi 8 anni, la guerra nel Donbas era già costata 14.000 vite. I separatisti russofoni hanno ottenuto alcuni primi successi nel 2014, ma il contrattacco ucraino avrebbe riconquistato le province orientali se la Russia non avesse inviato alcune delle sue forze armate (senza ammettere il fatto). Questo è l'unico motivo per cui le cosiddette Repubbliche di Donetsk e Luhansk sono sopravvissute. Pur difendendole militarmente, lo Stato russo non aveva mai riconosciuto la loro autonomia perché sperava ancora di usarle come merce di scambio nel continuo tentativo di smilitarizzare l'Ucraina e impedirne l'ingresso nella NATO. L'inversione di questa politica e il riconoscimento della loro autonomia sono arrivati solo due giorni prima dell'attacco russo. L'invasione del 24 febbraio è avvenuta dopo dieci mesi di rafforzamento delle truppe russe ai confini dell'Ucraina in opposizione al sostegno militare fornito all'Ucraina dalle potenze della NATO, in particolare dagli Stati Uniti.
Nel nostro ultimo numero abbiamo notato che:
Tutto è iniziato con la firma da parte dell'amministrazione Biden di un accordo per fornire all'Ucraina 125 milioni di dollari di armamenti nell'aprile 2021. Il Pentagono ha dichiarato apertamente che si trattava di “difesa contro l'aggressione russa”. L'accordo è stato sospeso a giugno, e le forze russe hanno cominciato a ritirarsi, solo che metà del pacchetto è stato riaffermato dal Segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, in visita a Kiev in ottobre (14).
La Russia ha quindi riavviato il rafforzamento delle truppe. La Russia ha risposto al massiccio aumento del sostegno militare degli Stati Uniti all'Ucraina dopo l'annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014. Prima di allora si aggirava intorno ai 50 milioni di dollari all'anno, ma dal 2016 in poi ha superato i 200 milioni di dollari all'anno, raddoppiati nuovamente nel 2019 e nel 2020 (15). Tuttavia, il 23 giugno 2022 il Dipartimento di Stato ha annunciato che il totale degli aiuti statunitensi all'Ucraina dal 2014 ammonta ora a 8,7 miliardi di dollari (16). Di questi, oltre 4 miliardi di dollari sono aiuti militari messi a disposizione da quando Biden è entrato in carica nel gennaio 2021 (17).
Come abbiamo sostenuto nel nostro precedente numero (18) , è stata la percezione di uno spostamento dell'equilibrio delle forze determinato da questo riarmo che ha portato i russi a spostare le truppe ai confini dell'Ucraina in Russia e in Bielorussia, nel tentativo fallito di fare pressione sull'Ucraina e sulla NATO per fermare il flusso di armi verso l'Ucraina. L'allarme russo è stato espresso dal Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate russe, Valery Gerasimov, nel dicembre 2021. Egli ha denunciato che:
Kiev non sta rispettando gli accordi di Minsk. Le forze armate ucraine hanno dichiarato di aver iniziato a impiegare nel Donbas i sistemi missilistici anticarro Javelin forniti dagli Stati Uniti e di utilizzare anche i droni da ricognizione e da attacco turchi. Di conseguenza, la già tesa situazione nella parte orientale del Paese si sta ulteriormente deteriorando (19).
In realtà nessuna delle due parti ha mostrato l'intenzione di attuare i vari accordi di Minsk del 2014 e del 2015, o di rinegoziarli seriamente, semplicemente perché non c'è spazio per il compromesso. Quando è salito al potere, Zelensky si è rifiutato di parlare con i “terroristi” del Donbas, mentre Putin si è rifiutato di parlare con Zelensky in quanto semplice burattino dell'Occidente. Ogni potenza imperialista ha la sua versione della verità, ma in realtà il confronto tra Ucraina e la Russia è solo il preambolo di una lotta esistenziale che andrà ben oltre i protagonisti della guerra attuale, come le sue conseguenze stanno già rivelando.
Blocchi e alleanze
L'idea che siamo all'inizio di una nuova guerra fredda non è l'unica lettura errata della storia imperialista dal 1945. L'altra, proposta da più di un buon compagno internazionalista nel nostro incontro pubblico on-line di marzo, è che sia necessario che si formino dei “blocchi” solidi prima che una guerra più generalizzata sia all'ordine del giorno. Ciò ignora il fatto significativo che l'era dei blocchi guidati dalle due superpotenze vittoriose del conflitto precedente non ha mai portato a una guerra globalizzata. I blocchi, a quanto pare, erano molto più stabili del vecchio sistema di alleanze mutevoli che ha portato alle precedenti guerre mondiali. E con l'implosione dell'URSS il mondo è tornato a un ordine più frammentato, più simile a quello che ha prevalso dal 1871 al 1945.
Ma non del tutto. La fine del boom postbellico ha messo a dura prova tutti gli Stati capitalisti, compresa l'URSS. L'URSS è crollata di fronte alle tensioni economiche e alle difficoltà di competere con gli Stati Uniti sulla base di un'economia molto più debole, in cui il 25% del bilancio era destinato alle spese militari (rispetto al 6% degli Stati Uniti). Di fronte alla crescente resistenza di classe (20), e a una classe dirigente corrotta (21) che si rifiutava di rinunciare ai suoi privilegi, il sistema implose. Il blocco orientale crollò. A rigor di logica, questo avrebbe dovuto significare che la NATO e le altre alleanze antisovietiche sarebbero dovute diventare superflue. Ma non fu così e, come già detto, la NATO continuò ad arruolare più della metà degli Stati europei. Dopo tutto era “la fine della storia” e, come abbiamo mostrato nel nostro precedente numero, l'arroganza occidentale era inarrestabile. L'intervista rilasciata al New York Times dal novantaquattrenne George Kennan è stata ripetuta più volte. (22) Fu Kennan a ideare la politica di “contenimento del comunismo” (intendendo con questo termine lo stalinismo) nel 1947, ma una volta crollato il “comunismo”, Kennan sosteneva che “non c'era ragione” per l'espansione della NATO, prevedendo che “ci sarà una brutta reazione da parte della Russia” che avrebbe così confermato alla fazione pro-NATO “che i russi sono fatti così”. È stato ignorato perché gli aficionados del “Nuovo Ordine Mondiale” erano pieni dell'ideologia che questo fosse il “secolo americano”.
La “fine della storia” potrebbe ora essere diventata “la vendetta della storia”, ma per il momento gli Stati Uniti sono usciti molto bene dalla guerra in Ucraina. Hanno dovuto spendere un sacco di soldi ma non hanno perso un solo soldato, e la guerra ha rafforzato l'unità di un blocco occidentale che nei tre decenni precedenti mostrava segni di disgregazione, con molti “alleati” che si rifiutavano di sostenere le avventure statunitensi in Iraq e altrove. I sogni di alcuni politici europei, secondo i quali l'Europa sarebbe potuta emergere come entità imperialista separata, si sono infranti. Dopo decenni di Ostpolitik da parte della SPD e dei cristiano-democratici, la classe dirigente tedesca ha acconsentito a due grandi richieste degli Stati Uniti alle quali aveva precedentemente resistito. Sta aumentando il suo bilancio militare e riducendo la sua dipendenza dal petrolio e dal gas russo (un ulteriore vantaggio per il shale gas statunitense). Gli Stati occidentali (con la notevole eccezione dell'Ungheria di Orban) fanno la fila per imporre nuove sanzioni agli interessi russi e bielorussi. La bandiera dell'Ucraina sventola ovunque, tanto da essere quasi diventata la bandiera della NATO, di fatto Putin è riuscito a rianimare e consolidare l'alleanza occidentale più di qualsiasi presidente statunitense. L'ulteriore espansione della NATO in Svezia e Finlandia lo conferma.
Ma questa competizione non si limita alla guerra in Europa. Come abbiamo mostrato in vari articoli (23), la rivalità per il controllo del pianeta si estende dall'Artico al Pacifico meridionale. Di conseguenza, gli alleati degli Stati Uniti in tutto il mondo, come l'Australia e il Giappone (che è stato invitato all'ultima riunione della NATO in Germania), stanno partecipando alla costruzione ideologica e militare della contrapposizione a Russia e Cina. I veri avversari globali sono gli Stati Uniti e la Cina e la competizione è sempre più accesa. Allo stesso tempo, i legami commerciali comuni che inibivano azioni più ostili stanno gradualmente diminuendo.
Dall'altra parte dell'equazione imperialista c'è una fiorente alleanza, ma ancora nulla di solido come in Occidente. L'accresciuta cooperazione di Russia e Cina (e in misura minore dell'Iran) è il risultato della loro comune posizione di bersaglio delle sanzioni occidentali. Anche prima della guerra in Ucraina, la cooperazione russo-cinese aveva raggiunto livelli senza precedenti. Tuttavia, come i nostri compagni italiani hanno mostrato altrove (24), esistono importanti differenze nella percezione delle loro prospettive imperiali.
La classe dirigente russa si vede minacciata e circondata. Ed è anche revanscista. Vuole riconquistare il terreno perduto. Oltre alla perdita del controllo dei suoi satelliti in Europa orientale, la dissoluzione dell'Unione Sovietica nel 1991 ha comportato la perdita di circa due milioni di chilometri quadrati di territorio (25). Il fatto che questa perdita sia avvenuta senza combattere è stato ancora più doloroso per chi oggi è al Cremlino. La nota dichiarazione di Putin secondo cui il crollo dell'URSS è stato “il più grande disastro geopolitico del secolo scorso” è il punto di partenza della politica estera russa. I falchi occidentali si sono scatenati quando ha affermato che l'Ucraina è sempre stata parte della Russia (26) o che l'attuale guerra è nella tradizione del vecchio impero russo sotto Pietro il Grande. Presumibilmente questi commenti sono, come i suoi ripetuti riferimenti alla “sconfitta del fascismo” nella “Grande Guerra Patriottica” sotto Stalin, tutti parte dell'appello ideologico al nazionalismo russo per giustificare l'invasione.
Il regime ha bisogno di tutta la zavorra ideologica possibile, poiché la Russia parte da una posizione di debolezza. Nonostante abbia uno dei PIL più grandi d'Europa, questo ammonta solo a un quindicesimo di quello degli Stati Uniti. Anche per questo è stata costretta a rivolgersi sempre più spesso alla Cina (dall'inizio della guerra il commercio Russia-Cina è già aumentato del 28,2%). È noto che la forza della Cina è la sua economia, e la sua portata imperialista si è basata in gran parte sulla costruzione di un “soft power” nella sua Belt and Road Initiative. Questo ha portato la Cina, per certi versi, alla pari degli Stati Uniti dal punto di vista economico. Il suo obiettivo apertamente annunciato è quello di diventare la prima potenza mondiale indiscussa entro il 2049. (27) La leadership cinese ha quindi molto da perdere in un conflitto diretto nel breve termine ed è desiderosa di evitare ulteriori sanzioni. Inizialmente questo l'ha resa molto cauta nel sostenere la Russia senza entrare nel merito dell'invasione.
Tuttavia, in un mondo imperialista sempre più in crisi, la Cina non ha il controllo degli eventi più degli altri contendenti. Non solo ha i suoi problemi economici con il rallentamento della crescita, ma gli Stati Uniti hanno già indicato che il loro principale nemico non è la Russia ma la Cina (è l'unica questione che unisce la frammentata classe politica statunitense). Biden ha già dichiarato che la Cina non sostituirà gli Stati Uniti come prima potenza mondiale “sotto il mio controllo”. Il suo Segretario di Stato, Antony Blinken, ha spiegato cosa questo significhi in un discorso alla George Washington University il 26 maggio 2022. (28) Citando il discorso di Xi Jinping, secondo cui Russia e Cina hanno un'amicizia “senza limiti”, ha informato il pubblico che:
Anche se la guerra del Presidente Putin continua, resteremo concentrati sulla più grave sfida a lungo termine all'ordine internazionale, rappresentata dalla Repubblica Popolare Cinese.
La Cina è l'unico Paese che ha l'intenzione di rimodellare l'ordine internazionale e, sempre di più, il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo. La visione di Pechino ci allontanerebbe dai valori universali che hanno sostenuto gran parte del progresso mondiale negli ultimi 75 anni.
Ha quindi concluso che:
.... non possiamo fare affidamento su Pechino per cambiare la sua traiettoria. Pertanto, modelleremo l'ambiente strategico intorno a Pechino per far progredire la nostra visione di un sistema internazionale aperto e inclusivo.
Ha spiegato che questo significa “riaffermare le alleanze di sicurezza vitali” con la Corea e il Giappone, iscrivere una dozzina di paesi nel “Quadro economico per la prosperità nell'Indo-Pacifico”, migliorare l'alleanza Quad di Australia, Giappone, India e Stati Uniti, invitare gli alleati asiatici alle conferenze della NATO, “rinvigorire” l'alleanza ASEAN, precedentemente moribonda, e sottolineare la nuova alleanza AUKUS con il Regno Unito e l'Australia (29).
Non sorprende che la risposta cinese sia stata che la NATO sembra arrivare anche ai suoi confini. Un funzionario di un think tank governativo ha aggiunto alla TV cinese:
La Cina si trova in una posizione in qualche modo paragonabile a quella della Russia... Gli Stati Uniti stanno chiaramente manipolando la questione di Taiwan e alimentano costantemente le fiamme per smembrare la Cina creando un'Ucraina d'Oriente (30).
L'Occidente sta quindi avvicinando sempre più la Cina alla Russia. Il 6 luglio il capo dell'FBI Christopher Wray, nel Regno Unito per discutere con l'MI5, ha annunciato che:
Abbiamo visto la Cina cercare modi per isolare la propria economia da potenziali sanzioni, cercando di proteggersi da eventuali danni nel caso in cui facesse qualcosa che attirasse le ire della comunità internazionale... Nel nostro mondo, questo tipo di comportamento lo chiamiamo indizio (31).
Ciò che sta accadendo, secondo le parole di Bloomberg News, è che l'originario “matrimonio di convenienza” di Russia e Cina si sta trasformando in “un matrimonio di necessità”, al punto che “solo uno stretto allineamento strategico può ridurre la loro reciproca vulnerabilità” (32).
Le linee di frattura dell'imperialismo globale si stanno quindi approfondendo e indurendo fino al punto in cui da entrambe le parti si provano le giustificazioni ideologiche per una lunga guerra. Nella Prima guerra mondiale è bastato dire ai lavoratori che stavano combattendo per il “Re e la Patria” per creare un'ondata di sciovinismo patriottico che, per un po', ha messo da parte ogni opposizione alla guerra. I preparativi ideologici per la Seconda guerra mondiale furono più sofisticati: le democrazie invocarono l'“antifascismo” come causa, mentre le potenze dell'Asse si allinearono sull'“anticomunismo”. Questo non è molto diverso da oggi. Biden, Blinken e altri leader della NATO stanno anche preparando le basi ideologiche per una futura guerra generalizzata, proponendola come difesa della “democrazia” contro l'“autoritarismo”. La difesa della libertà è una carta forte da impugnare. Ma dato che la Russia è in ritirata da tre decenni e la Cina è stata vittima dell'imperialismo occidentale, giapponese e russo in passato, non è difficile per i loro governanti giocare la carta del nazionalismo in patria come vittime dei tentativi di strangolare i loro interessi. Finora entrambe le parti stanno riuscendo a trascinare con sé la maggior parte della popolazione.
Alla luce di quanto abbiamo mostrato sulla natura della rivalità imperialista e della guerra, la prospettiva è quella di una guerra che può concludersi solo con la totale sconfitta di una delle alleanze. Dato che entrambi gli schieramenti dispongono di interi arsenali di armi nucleari, rimane la possibilità che l'alleanza che inizia a perdere la battaglia convenzionale le usi. Putin ha già minacciato che lo farà se la Russia dovesse affrontare una sconfitta. Inoltre, sia Blinken che Biden hanno sottolineato che ci troviamo nel “decennio decisivo” per affrontare la Cina. Con l'aggravarsi della crisi economica mondiale, le opzioni imperialiste si stanno restringendo. Per questo è importante che i lavoratori del mondo, la stragrande maggioranza, che con il loro lavoro producono i profitti per i capitalisti, comincino a organizzarsi, e presto, contro la guerra e lo sfruttamento,.
Non c'è altra guerra che la guerra di classe
Abbiamo cercato di dimostrare che la guerra in Ucraina non riguarda semplicemente l'aggressione immediata della Russia, per quanto ripugnante possa essere. È il prodotto del sistema capitalistico che da tempo si è trasformato in una lotta competitiva tra le varie classi possidenti per il controllo del pianeta. Ma per i lavoratori di tutto il mondo che creano la ricchezza e il potere della classe capitalista, la guerra imperialista è solo un altro prezzo da pagare per continuare a vivere sotto questo sistema di sfruttamento. Il nazionalismo è l'ideologia delle rivoluzioni borghesi che hanno prodotto il capitalismo moderno. Essere “cittadino” di una nazione poteva sembrare molto meglio che essere suddito feudale di qualche monarca duecento anni fa, ma oggi nella pace capitalista siamo schiavi salariati e nella guerra imperialista carne da cannone o “danni collaterali”.
Già nel 1845 Marx affrontò la questione della nazionalità:
La nazionalità dell'operaio non è né francese, né inglese, né tedesca [né russa o ucraina - CWO], è lavoro, libera schiavitù, vendita di se stesso e del proprio lavoro. Il suo governo non è né francese, né inglese, né tedesco, è il capitale. La sua aria nativa non è né francese, né tedesca, né inglese, è aria di fabbrica. La terra che gli appartiene non è né francese, né inglese, né tedesca, ma si trova sei piedi sotto il suolo (33).
Ripeté l'osservazione nel Manifesto comunista:
Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro ciò che non hanno (34).
In epoca imperialista, Percy Goldsborough, un socialista imprigionato nel castello di Richmond per essersi rifiutato di “morire per la patria” nel 1916, scrisse sul muro della sua cella che “l'unica guerra che vale la pena di combattere è la guerra di classe”. Si trattava di un'eco di ciò che i partiti socialisti di Russia, Serbia, Polonia e Bulgaria dicevano già dal 1914, e riprendeva la dichiarazione della Sinistra di Zimmerwald di un anno prima. Inizialmente ignorate dalla maggior parte dei lavoratori del mondo, le posizioni internazionaliste divennero un grido d'allarme per milioni di persone quando l'esperienza della guerra si fece sentire. Questo portò all'ondata rivoluzionaria che cominciò in Russia nel 1917 prima di diffondersi in Germania e in tutto il mondo. Più di ogni altra forza ha portato alla fine della Prima guerra mondiale. Un messaggio ribadito nella Seconda guerra mondiale dai nostri predecessori italiani del Partito Comunista Internazionalista. È stato l'unico partito nato nella Seconda guerra mondiale che ha invitato senza ambiguità i lavoratori, sia nel campo fascista che in quello alleato, a “disertare la guerra”. E lo ripetono oggi tutte le organizzazioni della sinistra comunista internazionalista. Alcune di esse si sono già unite a noi nello sviluppo di “No War but the Class War” e altre, di tradizioni diverse, continuano a formare gruppi in diversi paesi del mondo (35).
Non ci facciamo illusioni sulla sfida che la classe operaia mondiale deve affrontare. Dopo quattro decenni di ristrutturazione capitalistica (nel vano tentativo di far ripartire l'accumulazione redditizia) partiamo da un punto molto basso, ma dobbiamo avviare subito un movimento globale contro la guerra e la crisi. L'esperienza delle guerre imperialiste passate e dell'attuale guerra in Ucraina dimostra che la resistenza diventa molto più difficile quando scoppia la guerra totale. Stiamo già sviluppando una cooperazione con alcuni di loro e salutiamo tutti gli internazionalisti che si oppongono a entrambe le parti in questa guerra (36).
I nostri compiti principali sono chiari. In primo luogo, dobbiamo condividere e divulgare tutte le prove di resistenza contro la guerra sia in Russia che in Ucraina, quando questi Stati impongono il servizio obbligatorio a tutti i maschi. Che si tratti dei coscritti russi che hanno capito di potersi rifiutare di combattere senza essere fucilati dallo Stato (perché questa non è una guerra ma una “operazione militare speciale”) o degli ucraini che hanno disertato sia il fronte che il Paese nonostante le minacce del loro governo.
Dobbiamo anche smascherare i falsi argomenti dei sostenitori di entrambe le parti. A cominciare dalla tradizionale sinistra a favore del capitalismo di Stato, come la campagna Stop the War, gli stalinisti o i trotzkisti del Partito Socialista di Uguaglianza che vedono gli Stati Uniti e l'Occidente come l'unica forza imperialista sulla terra. Essi non fanno altro che distorcere la posizione proletaria sulla guerra imperialista per sostenere i nemici dell'Occidente. Gli stalinisti ci diranno che sono a favore del “disfattismo rivoluzionario”, che significa volere la sconfitta della NATO e dell'Ucraina. Si tratta di un'astuta dichiarazione di circostanza. La posizione internazionalista è sempre stata che il disfattismo rivoluzionario deve essere adottato da tutti i lavoratori ovunque si trovino, trasformare la guerra mondiale in guerra civile per la rivoluzione mondiale contro l'intero sistema.
Dall'altra parte ci sono molti anarchici e altri che nel loro sostegno immediato all' “autodeterminazione e all'indipendenza dell'Ucraina” stanno cadendo nella trappola di aiutare la mobilitazione per una guerra più ampia. Abbiamo avvertito per molti anni che le guerre che hanno travolto il Medio Oriente e altrove non erano altro che preparativi per altre “più vicine a casa”. Ora che hanno raggiunto l'Europa, i rifugiati ucraini sono giustamente accolti in Occidente, ma questo in netto contrasto con i richiedenti asilo provenienti da guerre cominciate dall'Occidente che sono minacciati di essere deportati in Ruanda.
Molti anarchici hanno aderito all'ideologia della “lotta per la democrazia” dell'Occidente e alcuni ci hanno persino detto che la lotta in Ucraina è una lotta “antifascista” (nonostante le chiare prove delle radici naziste del Battaglione Azov ucraino, ci sono nazionalisti e fascisti di ultradestra da entrambe le parti). Il tifo per l'una o l'altra parte ora aiuta e favorisce solo la spinta verso una guerra più generalizzata in futuro (37).
La nostra lotta è diversa. Quando diciamo “No War but the Class War”, dichiariamo guerra al sistema capitalista che genera pandemie, cambiamenti climatici e la potenziale estinzione dell'umanità. La nostra “guerra” non è nucleare né convenzionale e le nostre armi non sono bombe, artiglieria, droni e razzi. Le nostre armi sono la nostra coscienza di classe che riconosce che “i lavoratori non hanno patria” e la nostra capacità di organizzazione collettiva. Dobbiamo creare un'organizzazione politica internazionale per combattere la guerra e il sistema che la causa. Ciò significa non solo evidenziare gli atti coraggiosi da entrambe le parti del conflitto in corso per “disertare la guerra”, ma anche pubblicizzare il più possibile la crescente lotta contro un sistema economico in caduta libera. La scelta storica tra socialismo e barbarie non si poneva in modo così netto da oltre 80 anni.
Jock, CWO, 8 luglio 2022(1) marxists.org
(2) Citato in Nicholas Mulder, The Economic Weapon - The Rise of Sanctions as a Tool of Modern War (Yale University Press, 1922), pag. 16.
(3) Mulder, loc. cit.
(4) Mulder, p. 17
(5) Mulder, p. 17, ha un ottimo resoconto di come gli inglesi e i francesi usarono le sanzioni e il blocco per costringere il governo greco a cambiare schieramento nella prima guerra mondiale.
(6) Secondo Mulder questa è la cifra più veritiera, rispetto ai 760.000 originariamente indicati dai funzionari tedeschi dell'epoca che cercavano ragioni diverse dal fallimento militare per spiegare la sconfitta tedesca. Resta comunque il fatto che la classe operaia tedesca ne aveva abbastanza di accettare i sacrifici economici della guerra e nel novembre del 1918 rovesciò il Kaiser con una rivoluzione, prima ancora che fosse firmato l'armistizio.
(7) Per andare al di là delle statistiche (en.wikipedia.org) e delle sofferenze umane, vedi: leftcom.org
(8) Mulder op. cit. p.43. L'esempio più chiaro è stato il rifiuto dei britannici (allora in alleanza con il Giappone) di permettere alla Flotta russa del Baltico di rifornirsi nelle sue stazioni di rifornimento o di accedere al Canale di Suez, impiegò diversi mesi per navigare fino allo Stretto di Tsushima, dove fu prontamente distrutta nel 1904.
(9) E non ha esitato ad attuarle: “Durante il secondo mandato presidenziale di Obama sono state dichiarate 2350 nuove sanzioni. Durante il mandato di Trump sono state 3800”. Tom Stevenson “First Recourse for Rebels”, London Review of Books, pag. 25.
(10) “UNICEF-Risultati delle indagini sulla mortalità infantile e materna in Iraq nel 1999”, Federation of American Scientists, visitato il 29 giugno 2022.
(11) Ian Kershaw, Hitler 1936-1945: Nemesis (Penguin 2001), p. 22
(12) Che abbiamo approfondito in Revolutionary Perspectives 19 in un articolo del dicembre 2021: leftcom.org
(13) Da Lawrence Freedman in “Peace in Ukraine will be elusive until a military breakthrough”, Financial Times, 2 aprile 2022.
(14) leftcom.org
(15) Sembra che nemmeno la minaccia di Trump di tagliare gli aiuti militari all'Ucraina a meno che non gli fornissero le prove del dubbio ruolo di Hunter Biden in quel paese abbia prodotto una differenza significativa nel continuo aumento del sostegno militare degli Stati Uniti. stimson.org
(16) state.gov
(17) Il 21 aprile, il Presidente Biden ha autorizzato un prelievo presidenziale di assistenza alla sicurezza per un valore massimo di 800 milioni di dollari, per soddisfare le esigenze critiche dell'Ucraina , mentre le forze russe lanciavano una nuova offensiva nell'Ucraina orientale. Questa autorizzazione è l'ottavo prelievo per equipaggiamenti dalle score del DoD per l'Ucraina dall'agosto 2021, portando l'impegno degli Stati Uniti a più di 4 miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza dell'Ucraina dall'inizio dell'amministrazione Biden. defense.gov
(18) leftcom.org
(19) tass.com
(20) La cui storia non è ancora stata scritta, ma alcuni elementi possono essere trovati in Syndicalisme et libertés en Union soviétique di Olga Semyonova e Victor Haynes (Maspero 1979).
(21) Nel 1982 Andropov, il capo stalinista della linea dura del KGB, si rese conto che l'URSS non poteva competere con la NATO e che la competizione stava uccidendo l'URSS. La sua soluzione fu quella di aumentare lo sfruttamento (ovvero la produttività) e attaccare la corruzione. Morì, ma il suo protetto Gorbaciov cercò di andare oltre con la persetroika e la glasnost, che alla fine portarono al colpo di Stato che mise fine all'intero regime.
(22) nytimes.com
(23) Vedi ad esempio: leftcom.org e leftcom.org
(24) leftcom.org
(25) Un'area più grande dell'intera Unione Europea. foreignaffairs.com
(26) Incolpare erroneamente Lenin e i bolscevichi per la creazione dell'Ucraina nel 1918.
(27) Sul nostro sito ci sono molti articoli sull'imperialismo cinese. Si veda, ad esempio, leftcom.org o, più recentemente, leftcom.org.
(28) Vale la pena di leggere l'intero discorso su: state.gov
(29) I nostri commenti in merito si trovano in: leftcom.org e leftcom.org
(30) theguardian.com
(31) edition.cnn.com
(32) bloomberg.com
(33) Siamo in debito con i compagni di Controverses per averci non solo segnalato questa citazione, ma anche fornito una traduzione più significativa di quella che si trova qui: hiaw.org
(34) Nella nostra versione aggiornata della traduzione abbiamo sostituito l'ottocentesco “uomini” con “classe”.
(35) Un bilancio dei progressi compiuti finora sarà oggetto di un altro articolo.
(36) Vedi: leftcom.org
(37) È in preparazione un esame più dettagliato delle risposte alla guerra. Nel frattempo non possiamo che ribadire la nostra solidarietà all'organizzazione anarcosindacalista russa KRAS: leftcom.org
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