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Home ›Note sulle tensioni sociali in Ecuador
Introduzione
Negli ultimi 30 anni l’Ecuador è stato attraversato da ricorrenti conflitti sociali che hanno visto nel CONAIE (COnfederazione delle NAzionalità Indigene dell’Ecuador, fondato nel 1986 e che rappresenta 1.550 comunità originarie dell’Amazzonia ecuadoregna) una struttura di primo piano, grazie sopratutto alla sua rete di militanti indios ben radicata nei territori e alla sua capacità di ostacolare ripetutamente con scioperi, manifestazioni e blocchi le politiche neoliberiste del presidente di turno. Il CONAIE ha avuto un ruolo centrale nelle rivolte che hanno rovesciato tre presidenti tra il 1997 e il 2005. Nell’ottobre 2019, come parte dell’estallido social (focolaio sociale) che ha attraversato il Sud America, il CONAIE ha capeggiato le lotte contro il Governo di Lenin Moreno e le sue politiche di riduzione della spesa pubblica, liberalizzazione del commercio, precarizzazione del lavoro etc., a vantaggio dei settori più ricchi del paese. Il 4 ottobre 2019, sotto la direzione del CONAIE e dal FUT (Fronte Unito dei Lavoratori), uno sciopero del settore dei trasporti si è rapidamente generalizzato in altri settori assumendo il carattere del “Paro Nacional”. Dopo 11 giorni di dura lotta e repressione Moreno abbandonò il progetto di eliminare i sussidi al carburante e altre politiche di austerità che avrebbero avuto un importante impatto su lavoratori e comunità indigene. Al temine degli 11 giorni di paro si contarono 11 morti e oltre mille feriti. L’accordo conclusivo tra CONAIE e governo venne tuttavia mal digerito da buona parte della base del movimento.
Nell’aprile 2021 Guillermo Lasso, imprenditore, banchiere, conservatore, membro dell’Opus Dei, è diventato Presidente vincendo fortunosamente le elezioni politiche, principalmente a causa dei contrasti nel fronte elettorale progressista fra i movimenti sociali e i supporters del precedente presidente Correa. È il primo presidente conservatore da oltre 20 anni ed ha vinto con un risicato 20% dei voti che non gli ha permesso di ottenere la maggioranza in parlamento.
Già nell’ottobre 2021 aveva tentato di aumentare il prezzo del carburante, ma dovette desistere a causa dei conflitti che ne derivarono. La situazione si ripresentò identica nel gennaio 2022, con una nuova sconfitta del Presidente.
Per quanto riguarda la popolazione indigena e i lavoratori ecuadoregni, questi sono duramente colpiti dall’inflazione, dalla disoccupazione, dalla povertà, una condizione esacerbata dall’epidemia di Covid e dalla crisi generale in atto. Dal 2020 il costo di un gallone di diesel è passato da $1 a $1.90, per la benzina da $1.75 a $2.55. Il paese è anche attraversato da un’importante ondata di violenza causata dallo scontro tra bande del narcotraffico e che ha portato a una serie di sommosse nelle carceri le quali nell’ultimo anno hanno causato almeno 350 morti tra i detenuti (1).
Gli eventi
Nel mese di maggio, in seguito alla dichiarazione di default dell’Ecuador, il governo di Quito e l’FMI hanno raggiunto un accordo a livello tecnico sulla revisione delle politiche economiche del Paese in cambio di un nuovo prestito da un miliardo di dollari. Il giorno 13 giugno il CONAIE ha convocato lo sciopero generale a oltranza (paro nacional), accompagnato da blocchi stradali che hanno attraversato tutto il paese, modalità di lotta che già era stata utilizzata intensivamente, per esempio, dal movimento dei Piqueteros in Argentina nel 2001 e dai Gilet Jaunes in Francia nel 2019. La mobilitazione è motivata dal contrastare gli attacchi e le politiche neoliberiste del governo che hanno incrementato la povertà, ridotto gli investimenti pubblici nella sanità e nell’educazione, la riduzione delle politiche di sostegno ai meno abbienti, l’aumento dell’insicurezza e della violenza in varie aree del paese, l’incremento dell’attività estrattiva petrolifera e mineraria, la violazione dei “diritti collettivi” degli indigeni e della popolazione di origine africana nel paese. L’importante e rapido aumento del costo della vita e della benzina hanno rappresentato la scintilla. A questa situazione il CONAIE ha risposto con una lista di 10 rivendicazioni:
- Taglio del costo del carburante (a $1.50 per il diesel e $2.10 per la benzina) e sussidi ai settori vulnerabili.
- Moratoria dei debiti con le banche pubbliche, private e cooperative. Condono dei debiti dei produttori agricoli piccoli e medi.
- Prezzi equi per i prodotti agricoli, sussidi all’agricoltura, nessun accordo di libero scambio.
- Occupazione, diritti del lavoro, libertà di associazione e di organizzazione per la classe lavoratrice.
- Stop all’espansione delle attività estrattiva mineraria e petrolifera, riparazione degli impatti socio/ambientali (i danni alle foreste arrecati dall’attività mineraria e di estrazione e trasporto del petrolio sono sempre più importanti, arrivando ad inquinare le falde acquifere e minacciando la sopravvivenza di molte comunità indigene).
- Rispetto dei 21 “diritti collettivi” della popolazione indigena: educazione bilingue interculturale, giustizia indigena, consultazione preventiva libera e informata, organizzazione e autodeterminazione dei popoli indigeni.
- Stop alla privatizzazione dei settori chiave del paese.
- Politica di controllo dei prezzi e della speculazione nei mercati dei beni di prima necessità.
- Garanzia di accesso all’istruzione per i giovani e miglioramento delle infrastrutture scolastiche e universitarie.
- Sicurezza e politiche pubbliche per arginare la marea di violenza e criminalità nel Paese.
Fin dai primi giorni della mobilitazione la risposta governativa è stata di stigmatizzare, reprimere e criminalizzare la protesta in corso in diverse aree del paese. Il 14 giugno Leonidas Iza Salazar, presidente del CONAIE e leader del movimento indigeno nel paese, insieme a molti altri manifestanti, è stato arrestato e incriminato per sabotaggio e interruzione di pubblico servizio per aver partecipato al blocco stradale della Pan-American higway nella provincia di Cotopaxi. Le successive proteste hanno portato al rilascio di Leonidas - che al momento è in attesa del processo fissato il 4 luglio – ma anche alla radicalizzazione del movimento. Nel pomeriggio migliaia di manifestanti si sono riversati a Latacunga, 50 km a sud di Quito, e in altre piccole città con popolazione indigena per protestare contro l’arresto di Leonidas. Qui sarebbero nati i primi scontri con la polizia e avrebbero iniziato ad unirsi al movimento anche altri raggruppamenti e studenti in protesta contro le riforme economiche di Lasso.
Il presidente ha replicato alle proteste sostenendo che non avrebbe permesso che queste interrompessero la ripresa economica (??) e che avrebbe punito ogni vandalismo. PetroOriental, la compagnia petrolifera ecuadoregna, dichiarava che stava perdendo la produzione di circa 1.400 barili di petrolio al giorno e che aveva chiuso 8 pozzi nella provincia di Orellana dopo che un gruppo della comunità Yawepare aveva occupato le strutture, bloccato le strade d’accesso e bucato gli pneumatici dei mezzi con delle lance (2).
Il giorno 17 giugno, nel vano tentativo di arginare le proteste, Lasso ha dichiarato lo Stato di Emergenza nelle tre province di Cotopaxi, Imbabura, and Pichincha (che comprende Quito).
Il 20 giugno il provvedimento è stato esteso ad altre 3 province (in tutto sono 24) anche se i manifestanti, non curanti, avevano già calpestato il primo provvedimento continuando con la mobilitazione. Lo Stato di Emergenza avvicina la situazione ad uno Stato di Polizia estendendo in maniera significativa i poteri di polizia, che può sparare sui manifestanti, e del Presidente. In ogni caso decine di migliaia di manifestanti hanno continuato a marciare per le strade di Quito e dell’importante città commerciale di Guayaquil, sulla costa. Gli arresti sono stati oltre 100, i cortei sono stati attaccati con gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili di gomma provocando la risposta compatta e organizzata dei manifestanti. In questa fase i feriti superavano il centinaio e i morti erano già tre.
Contemporaneamente Lasso rispondeva ai 10 punti di rivendicazione del movimento (3) e il 21 proponeva un incontro per avviare “un franco e rispettoso processo di dialogo” con CONAIE il quale però, a sua volta, replicava che nessun incontro era possibile fino a che Lasso non avesse ritirato la polizia dalle strade e revocato lo Stato di Emergenza, condizioni respinte dal Governo.
Mecoledì 22 la centrale elettrica di Tungurahua, una delle principali del paese, è stata occupata e chiusa.
Giovedì 23 giugno al termine di una nuova manifestazione pacifica con oltre 10.000 partecipanti a Quito (in nota il Link ad un video esplicativo del tipo di manifestazioni in corso) (4) Leonidas ha avanzato la proposta di discutere con Lasso senza intermediari e con l’impegno a rispettare gli accordi. Lasso ha risposto di essere impossibilitato causa infezione di Covid. Nella notte la classe media e alta hanno chiamato a cortei contro la presenza degli indigeni nella capitale, pronunciando discorsi di odio contro i manifestanti appellati come “terroristi” ma questi cortei hanno visto una partecipazione esigua.
Venerdì 25 giugno Lasso ha accusato Leonidas di utilizzare lo sciopero per arrivare ad un colpo di stato.
Con la scusa di cercare esplosivo, sempre il 25 giugno la polizia è entrata nella Casa della Cultura di Quito che, col parco circostante, era diventata la base di migliaia di militanti e organizzazioni sociali, occupandola e trasformandola nel quartier generale operativo della polizia. Dalla fondazione della Casa della Cultura nel 1944 l’unico altro episodio di una simile occupazione poliziesca accadde durante la dittatura militare, nel 1963 (5). Ancora lo stesso giorno l’opposizione ha minacciato di avanzare una mozione per le dimissioni di Lasso, il quale, per salvarsi, domenica 26 a sorpresa ha revocato lo stato di emergenza nelle 6 province mentre, e dopo una nuova giornata di violentissimi scontri, i manifestanti hanno riconquistato la Casa della Cultura (6) allontanando la polizia. Si svolgeva quindi un primo incontro tra Governo e CONAIE che si concludeva con la promessa di una commissione per favorire il dialogo e mettere fine allo sciopero. Al termine dell’incontro Leonidas riferiva però che nessuna decisione era stata presa e che bisognava consultare la base sul tema della commissione e del dialogo, in ogni caso lo sciopero sarebbe continuato fino a soddisfazione delle 10 richieste. I manifestanti tuttavia si impegnavano ad aprire dei corridoi nei blocchi sui confini interprovinciali al fine di favorire l’afflusso del cibo a Quito. In quel momento il conto della protesta era arrivato ad almeno 5 morti e oltre 200 feriti mentre la capitale era completamente paralizzata e cibo e carburante iniziavano a scarseggiare.
Lunedì 27 giugno (il giorno stesso in cui stiamo scrivendo e chiudiamo l’articolo) migliaia di proletari e contadini poveri indigeni, meticci, neri e bianchi stanno attraversando l’Ecuador (7). Al tavolo delle trattative Lasso ha proposto un taglio di 10 centesimi del costo del carburante ma il CONAIE ha respinto l’offerta. Metà del paese è bloccato, comprese le vie interne delle principali città. Ovunque vi sono barricate formate da sassi, terra, pneumatici, legno che, se necessario, vengono date alle fiamme. I pozzi petroliferi fermi sono ormai più di mille, con una perdita che suoera i 186.000 barili al giorno, equivalenti a oltre 96 milioni di dollari di danno. Questo significa colpire il capitale dove gli fa più male, al profitto. Se la situazione non si sblocca, in pochi giorni la produzione petrolifera potrebbe bloccarsi definitivamente. “Bloccare tutto”. Questa la parola d’ordine principale che ha assunto la mobilitazione, tutt’ora in corso e dagli esiti imprevedibili.
Riflessioni conclusive
In Ecuador, come in Sri Lanka (8), come in numerosi altri paesi del mondo, i temi di mobilitazione sono ovunque gli stessi: caro vita, caro benzina, il cappio al collo costituito dall’aumento dei tassi di interessi sulla popolazione che ha contratto debiti, le politiche di ristrutturazione comandate dall’FMI per “risanare” i bilanci colpendo il proletariato e gli altri settori sfruttati, a favore del profitto.
Sebbene le mobilitazioni partano da un piano interclassista, come si vede anche nell’elenco delle 10 rivendicazioni che tengono insieme contadini piccoli e medi, studenti, ceto medio e classe lavoratrice, è la radicalità del proletariato e dei contadini poveri che con i loro blocchi dei luoghi della produzione e alla circolazione delle merci dà sostanza, forza e prospettiva al movimento.
Le rivendicazioni economiche e materiali che esprimono l’avvio del movimento reale non sono mai quelle astratte e velleitarie del radical riformismo (forti aumenti salariali, salario garantito, lavorare meno lavorare tutti, etc...), ma quelle concrete che sorgono dalla necessità di difendersi dalla materialità degli attacchi che il capitale pone in essere.
È la reazione delle forze borghesi, la repressione, gli arresti, la violenza sui manifestanti a causare la radicalizzazione del movimento di opposizione, a porre il piano della violenza di classe, a favorire l’estensione dei movimenti di protesta e la messa a punto di forme di lotta sempre più efficaci.
Il piano su cui il movimento Ecuadoriano si muove, e in assenza di un radicato partito di classe non può essere diversamente, è quello di un riformismo radicale di carattere nazionale. Questo, però, non arrivando a fare propria una strategia rivoluzionaria anticapitalista, è destinato a soccombere nel compromesso oppure nell’illusione di un nuovo governo borghese che dovrebbe farsi portavoce di questa o quella riforma. In entrambi i casi il tentativo sarà quello di cercare di imbrigliare la forza rivoluzionaria del proletariato agricolo, industriale e minerario (come lo sono la maggior parte degli indios e della popolazione nera).
Si tratta delle prime avvisaglie globali di un conflitto che ha intima, anche se non consapevole, natura di classe. Crediamo che le durissime conseguenze della crisi obbligheranno il proletariato di numerosi altri paesi e, sopratutto nella periferia, i settori sfruttati della popolazione come i contadini poveri, a dare vita a forma di mobilitazione simili a questa, fenomeno che potrebbe amplificarsi già a partire dall’autunno. La crisi economica, il caro vita, la crisi bellica, la crisi ambientale con le sue molteplici conseguenze, la crisi alimentare, soffieranno sul fuoco del malcontento di settori sempre più ampi di popolazione sfruttata.
I rivoluzionari oggi hanno il dovere di affinare la loro critica al capitalismo, le loro armi dialettiche e organizzative, affinché episodi forti e generosi come questo non si esauriscano nel nulla ma costituiscano primi momenti di sedimentazione di una coscienza di classe, anticapitalista e rivoluzionaria.
Senza partito rivoluzionario ogni rivolta è destinata ad esaurirsi nel sistema.
Aggiornamento sulla conclusione dello sciopero
Il 30 giugno, dopo 18 giorni di sciopero, 5 morti ammazzati dalla polizia, 335 feriti, 162 arresti e oltre 300 indagati, il Governo dichiara che CONAIE e il Governo Lasso sono giunti ad un accordo che impegna il movimento all’immediata cessazione dello sciopero e dei blocchi stradali nel Paese. Durante le mobilitazioni sono state distrutte 10 stazioni di polizia e 117 veicoli tra moto e auto della polizia sono state danneggiate. 10 i mezzi militari distrutti. Risulterebbero feriti 238 polizionii e 106 militari. 37 poliziotti sarebbero stati sequestrati dai manifestanti durante le varie manifestazioni, ma sono sempre stati liberati qualche giorno dopo senza aver subito violenza. Un poliziotto è morto ma il CONAIE sostiene a causa del fuoco dei suoi colleghi che, durante tutta la protesta hanno sempre aumentato il loro livello di violenza e forza repressiva. (14)
Il movimento ha ottenuto la riduzione di 15 centesimi a gallone del prezzo del carburante contro i 10 precedentemente offerti dal Governo e i 40 richiesti dagli scioperanti. I manifestanti ottengono inoltre la limitazione dell’ampiamento dell’estrazione petrolifera e dell’apertura di miniere in aree protette e territori ancestrali. Il Governo si prende poi 90 giorni di tempo per istituire un tavolo tecnico che abbia il compito di monitorare l’accoglimento 7 dei 10 punti della piattaforma entro i prossimi tre mesi.
L’accordo è stato raggiunto grazie alla mediazione del vescovo e della chiesa cattolica.
Durante le consultazioni della base, prima della firma dell’accordo da parte di Leonidas Iza importanti settori del movimento si sono opposti, ritenendo molto deludenti le concessioni ottenute. Mentre trionfale è stata la dichiarazione di Lasso: "Abbiamo recuperato il valore supremo a cui tutti aspiriamo: la pace nel nostro paese".
Adesso bisognerà vedere cosa succederà nei prossimi tre mesi, mentre i Correisti sono già pronti a tornare in sella in caso di fallimento di Lasso. I lavoratori ecuadoriani, indigeni o meno, non possono abbassare la guardia e devono cercare di far maturare, in queste lotte, un iniziale punto di riferimento rivoluzionario e anticapitalista, che possa guidare le lotte del futuro.
Appendice: l’impostazione della questione indigena in Mariàtegui
Dobbiamo a José Carlos Mariàtegui (1894-1930) una prima impostazione della questione indigena a filo di marxismo. La breve antologia che segue vuole riconoscere al marxista peruviano – forse il più importante esponente del marxismo sud americano – il suo merito in tale campo. La conoscenza dei suoi scritti può fornire ai compagni una prima bussola di orientamento in tale tematica non banale. Riteniamo che, almeno nella sua sostanza, l’analisi svolta da Mariàtegui, a distanza di un secolo, rimanga a tutt’oggi assolutamente valida e che abbia incontrato valide conferme e riscontri nell’evoluzione storica successiva.
Dal nostro punto di vista, a livello teorico, Mariàtegui nei suoi lavori sopravvaluta il tema delle comunidades indigene come “organizzazione specifica di comunismo” e sbaglia identificando la società incaica con una società a comunismo primitivo, inoltre si riferisce ad una condizione semifeudale che oggi è ampiamente conclusa. Dal punto di vista comunicativo, inoltre, utilizza il termine “razza” e sebbene in Mariàtegui questo non avesse certamente alcuna connotazione razzista, oggi sarebbe sicuramente più opportuno utilizzare un termine come “etnia” o altro ed esso assimilabile.
Al netto di questi rilievi – e di altri possibili giudizi problematici che potremmo formulare rispetto a questo o a quell’aspetto della vita politica del rivoluzionario peruviano – e al netto della critica che potremmo rivolgere alle organizzazioni di impronta maoista che dagli anni ‘60, in Sud America, hanno dichiarato, più a torto che a ragione, di richiamarsi alle sue teorizzazioni, riteniamo tuttavia le sintetiche citazioni che seguono di estremo valore per chiunque si ponga il problema della rivoluzione comunista in paesi in cui è presente una importante componente di popolazione indigena.
Il socialismo ci ha insegnato a impostare la questione indigena in termini nuovi. Abbiamo smesso di considerarla astrattamente come una questione etnica o morale, per riconoscerla concretamente come questione sociale, economica e politica (9).
L’ipotesi che la questione indigena sia una questione etnica scaturisce dal più invecchiato repertorio d’idee imperialiste… La tendenza a considerare la questione indigena come una questione morale incarna una concezione liberale, umanitaria, ottocentesca e illuminista, che nell’ordine politico occidentale ha promosso e motivato le leghe per i diritti dell’uomo… La nuova impostazione della questione indigena consiste nel cercare di identificarla con quella della terra (10).
Chi dal punto di vista marxista, si preoccupa... di definire la questione dell’indio comincia con il dichiarare assolutamente superati i punti di vista umanitari o filantropici… il nostro primo sforzo tende a stabilire il carattere essenzialmente economico del problema… Non ci accontentiamo di rivendicare il diritto dell’indio all’educazione, alla cultura, al progresso, all’amore e al cielo. Cominciamo con rivendicare categoricamente il suo diritto alla terra… [ma] Nessuno ignora che la soluzione liberale della questione – il frazionamento del latifondo in piccola proprietà – sarebbe in accordo con l’ideologia individualista. Tra noi l’ignoranza dei principi elementari del socialismo è tanto grande … che non sarà mai inutile o ozioso insistere sul fatto che questa formula – frazionamento del latifondo in piccola proprietà – non è utopistica, né eretica, né rivoluzionaria, né bolscevica, né avanguardista: è, invece, ortodossa, costituzionale, democratica, capitalista e borghese (11).
Per noi l’antimperialismo non costituisce, né può costituire, di per sé, un programma politico, un movimento di massa in grado di condurre alla conquista del potere. L’antimperialismo – ammesso che possa mobilitare a fianco delle masse operaie e contadine la borghesia e la piccola borghesia nazionalista (e abbiamo già definitivamente negato questa possibilità) – non annulla l’antagonismo tra le classi, né sopprime la loro differenza di interessi… L’assalto al potere da parte dell’antimperialismo come movimento demagogico populista – anche se possibile – non rappresenterebbe mai la conquista del potere da parte delle masse proletaria, il socialismo. La rivoluzione socialista troverebbe il suo più accanito e pericoloso nemico – pericoloso per il confusionismo, per la demagogia – nella piccola borghesia consolidata nel potere guadagnato attraverso le sue parole d’ordine… la nostra missione è spiegare e dimostrare alle masse che soltanto la rivoluzione socialista opporrà un baluardo definitivo e vero all’avanzata dell’imperialismo…
Che spariscano i grandi latifondi, e al loro posto si costituisca un’economia agraria basata su ciò che la demagogia borghese chiama democratizzazione della proprietà della terra; che le vecchie aristocrazie si vedano sostituite da una borghesia e da una piccola borghesia più potenti ed influenti – e perciò più adatte a garantire la pace sociale – non è affatto contrario agli interessi dell’imperialismo… In conclusione, siamo antimperialisti perché siamo marxisti, perché siamo rivoluzionari, perché al capitalismo opponiamo il socialismo come sistema antagonista, chiamato a succedergli (12).
LotusIl sentimento razziale di questa classe dominante agisce in senso del tutto favorevole alla penetrazione imperialista. Fra il padrone o il borghese creolo e i suoi lavoratori di colore non c’è nulla in comune… [ma] sarebbe insensato e pericoloso opporre [a ciò] il razzismo di coloro che sopravvalutano l’indio, con fede messianica nella sua missione come razza nel rinascimento americano.
La possibilità che l’indio si elevi materialmente e intellettualmente dipende dal cambiamento delle condizioni economico-sociali… Ciò che assicura la sua emancipazione è il dinamismo di un’economica e di una cultura che portino in sé il germe del socialismo… il capitalismo con i suoi conflitti, con i suoi stessi strumenti di sfruttamento, spinge le masse sulla via delle rivendicazioni, le costringe ad una lotta in cui si preparano materialmente e psicologicamente a presiedere un ordine nuovo… in paesi come il Perù e la Bolivia, e in modo minore in Ecuador, dove la maggior parte della popolazione è indigena, la rivendicazione dell’indio è la rivendicazione popolare e sociale dominante.
In questi paesi il fattore della razza si intreccia con il fattore di classe, per cui una politica rivoluzionaria non può non tenerne conto… nella città, nell’ambiente operaio rivoluzionario, l’indio incomincia già ad assimilare l’idea rivoluzionaria, a prenderne coscienza, a capire il suo valore come strumento di emancipazione della propria razza, oppressa dalla stessa classe che nella fabbrica sfrutta l’operaio, nel qual scopre un fratello di classe… I centri minerari… costituiscono punti in cui si può sviluppare una proficua propaganda classista… avvicinano i braccianti indigeni agli operai dell’industria e ai lavoratori provenienti dalla città che portano in quei centri il proprio spirito e i propri sentimenti classisti. Gli indigeni delle miniere continuano ad essere, in buona parte, contadini, cosicché conquistare un aderente tra loro significa anche conquistare un aderente tra la classe contadina…
La questione non è razziale, ma sociale ed economica; in essa, tuttavia, e nei mezzi per affrontarla, la razza ha un ruolo proprio. Basterà dire, per esempio, che solo i militanti usciti dall’ambiente indigeno possono avere, per mentalità e lingua, un ascendente reale e immediato sui loro compagni.
Forse una coscienza rivoluzionaria indigena tarderà ancora a formarsi; ma, una volta che l’indio abbia fatto propria l’idea socialista, la servirà con una disciplina, una tenacia e una forza, che ben pochi proletari di altri ambienti saranno capaci di superare (13).
vedi anche telesurenglish.net
(9) Mariategui J. C., Prologo a Tempestad en los Andes (1928)
(10) Mariategui J. C., La questione indigena sua nuova impostazione (1928)
(11) Mariategui J. C., La questione della terra (1928)
(12) Mariategui J. C., Punto di vista Antimperialista (1929)
(13) Mariategui J. C., La questione delle razze in america latina (1929)
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- 2017: Catalan Referendum
- 2019: Maquiladoras Struggle
- 2010: Student Protests in UK and Italy
- 2011: War in Syria
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Persone
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