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Home ›Note sulle tensioni sociali in Sri Lanka
Lo Sri Lanka, come a fine 2021 l’Iran (1) e a inizio 2022 il Kazakistan (2), si presenta come un territorio attraversato da tensioni sociali e di classe di estremo rilievo, con le classe sfruttata che fa fronte a problemi come il caro-vita e il caro-carburante, in un sistema politico caratterizzato da diffusa corruzione e nepotismo.
La causa delle proteste è direttamente riconducibile all’aumento del costo dei beni di prima necessità e del carburante. La situazione è particolarmente grave per quanto riguarda gli approvvigionamenti di benzina e gasolio, che scarseggiano. Testimoni locali riferiscono di file anche di 13 ore per rifornire l’automobile mentre la polizia e l’esercito armati presidiano i distributori. Nel paese da mesi si susseguono prolungate interruzioni nell’erogazione dell’energia elettrica. Al fine di ridurre il consumo di carburante e incentivare le coltivazioni di auto-sussistenza pare che il governo abbia ordinato per il settore pubblico due settimane di lavoro da casa e tre mesi di riduzione della settimana lavorativa a quattro giorni (3) (preambolo di licenziamenti di massa), mentre incentiva l’emigrazione all’estero che garantisce rimesse alle famiglie che rimangono nel paese.
Lo Sri Lanka vive la sua peggiore crisi economica dall’indipendenza, ottenuta nel 1948. Le riserve di valuta estera necessarie all’importazione di cibo, carburante e medicine sono prossime all’esaurimento. A maggio l’inflazione aveva superato il 40% e il prezzo del cibo era cresciuto almeno del 60%. Dei 22 milioni di abitanti, almeno 5 milioni potrebbero essere colpiti dalla mancanza di scorte di cibo nei prossimi mesi (4). Il World Food Program ha iniziato a distribuire alimenti a 2000 donne incinte della capitale, Colombo.
Il paese vive un importante crisi debitoria. Nell’autunno scorso è stata imposta le vendita delle imprese che non riuscivano a pagare i debiti con la Cina (5). Con un debito estero di oltre 50 miliardi, la metà dei quali provenienti dai mercati finanziari, con tassi elevati e a breve termine di scadenza (6), quest’anno lo Sri Lanka dovrebbe rimborsare debiti e interessi per 7mld di dollari a fronte dei soli 500mln di dollari che attualmente costituiscono le sue riserve in valuta estera (7). Una situazione che si aggrava con il rialzo globale dei tassi di interesse in divenire.
Fortemente dipendente dai debiti e investimenti di India e Cina, che si contendono il controllo economico dell’isola, è prevedibile che a breve il Paese sarà costretto a dichiarare bancarotta, per poi ristrutturare il proprio debito. Così facendo, lo Sri Lanka si unirà a Paesi come il Suriname, il Belize, lo Zambia e l'Ecuador che hanno già fatto default sui loro debiti durante la pandemia. O il Pakistan che ne è prossimo. Questo significa che i proletari cingalesi dovranno presto affrontare dure politiche di austerità come la ristrutturazione del settore pubblico - per il quale si parla di un taglio dal 50 al 70% del personale - tagli a salari, pensioni, servizi, sussidi e tasse sul consumo. Il tutto al fine di aumentare i profitti e convincere l’FMI a ristrutturare il debito ed elargire nuovi prestiti. La risposta di classe del proletariato e dei contadini poveri cingalesi sarà all’altezza della gravità di tali attacchi? Le premesse sono in parte promettenti, come vedremo a breve.
Le principali forze politiche di opposizione del paese Samagi Jana Balawegaya (SJB), il Janatha Vimukthi Peramuna (JVP, la Tamil National Alliance (TNA) e il Frontline Socialist Party (FSP) stanno esprimendo di fatto appoggio, aperto o tramite il silenzio, a queste politiche giustificandosi con la nota politica dei due tempi: “prima salviamo il paese dal tracollo, al limite cambiamo governo, poi… vedremo”: le forze riformiste si schierano sempre dalla parte della conservazione del sistema.
In ogni caso questa drammatica situazione ha portato all’erompere di importanti proteste. Il 31 marzo, a Colombo, marzo, masse di operai, contadini poveri, ceto medio e studenti hanno spontaneamente iniziato a raccogliersi davanti alle residenze ufficiali del Presidente Gotabaya Rajapaksa e del Primo Ministro Mahinda Rajapaksa (suo fratello) per protestare contro il caro-vita, la corruzione endemica, il nepotismo, la mala amministrazione del paese e chiedendone le dimissioni. Sempre nella capitale il 9 aprile, dopo una manifestazione di oltre 100.000 persone (in una città di 700.000), i manifestanti invece di disperdersi hanno organizzato un accampamento nella famosa Galle Face Beach, di fronte al Parlamento.
Questo accampamento ha preso il nome di GotaGoGama (“Villaggio Gota Dimettiti”). Il presidio è diventato un punto di riferimento per il movimento in generale come lo furono Piazza Tahrir al Cairo nel 2011 e Gezi Park a Istambul nel 2013.
A GotaGoGama sono sorte centinaia di assemblee spontanee nelle quali è passato con forza il messaggio contro le divisioni etniche e raziali sostenute da Rajapaksa, che incita la maggioranza buddista sinhala contro le minoranze tamil, musulmane e cristiane. Il presidio ha avuto caratteristiche fondamentalmente democratiche, popolari e interclassiste, dominato politicamente dal ceto medio e dagli studenti che avanzavano le loro velleitarie idee riformatrici e invitavano a fraternizzare con le forze della repressione in nome della non-violenza. Questo a testimonianza del fatto che in assenza di una indipendenza politica della classe lavoratrice, orientata da una prospettiva rivoluzionaria, le forze democratiche borghesi sono sempre in opera per riportare ogni movimento nei limiti dati dal capitalismo. La partecipazione della classe lavoratrice è stata limitata anche dal fatto che i sindacati non si decidevano a convocare lo sciopero.
Sciopero generale che è stato poi proclamato, con poca convinzione dei sindacati ma con grandi adesioni da parte dei lavoratori, il 28 aprile e poi ancora il 6 maggio.
Il 9 maggio il Primo Ministro Mahinda è stato sacrificato dal Presidente con le dimissioni, ma come suo ultimo atto questo ha reclutato numerosi sostenitori della famiglia Rajapaksa e indigenti pagati poche rupie che prima si sono radunati consumando molto alcool, e poi si sono riversati nelle strade della capitale e delle principali città, con l’appoggio della polizia e dell’esercito, per scatenare la violenza contro i manifestanti. Tuttavia il tentativo di sgomberare GotaGoGama con lacrimogeni, cannoni ad acqua e anche colpi di arma da fuoco è fallito mentre le organizzazioni sindacali sono ancora una volta state costrette a convocare uno sciopero durato dal 9 all’11 maggio. Come sempre i sindacati dimostrano la loro natura convocando scioperi tardivamente e senza convinzione, al solo fine di recuperare e ricondurre la crescente rabbia di lavoratori e contadini poveri nei binari istituzionali della richiesta di un semplice cambio di governo. Tuttavia i manifestanti sono stati capaci di rispondere agli attacchi della reazione. La casa storica della famiglia Rajapaksa e quelle di vari altri ministri ed ex-ministri (almeno 20) sono state attaccate, date alle fiamme e distrutte mentre altri manifestanti organizzavano vari check-point sulla strada dell’aeroporto per assicurarsi che Mahinda non fuggisse e quando hanno scoperto che si era rifugiato nella base navale di Trinca, questa è stata presa d’assedio. Vari furgoni che portavano in carcere gli arrestati sono stati assaltati e distrutti. I morti sono stati almeno 8 e centinaia i feriti. Da quuesto momento le parole d’ordine del movimento si sono radicalizzate passando dallo slogan “Go Home Gota” a “Go Home 225”, con riferimento al numero di tutti i parlamentari. Inoltre l’ideologia della non-violenza che aveva caratterizzato il movimento fino a quel momento ha dovuto cedere alla cruda materialità dei rapporti di forza in campo: è la reazione che pone il terreno della violenza. Nei giorni successivi sono seguiti il coprifuoco e la militarizzazione della capitale. La situazione è lentamente tornata alla “normalità”, ma tutte le problematiche descritte nella prima parte di questo articolo e che hanno originato il movimento persistono e covano sotto le ceneri di questa prima ondata di lotta. È probabile che il movimento si riaccenda quando si inizierà a parlare di attuazione delle nuove politiche di austerità.
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