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Home ›Le ambivalenze “dell’amicizia” russo-cinese
Con la guerra in Ucraina è evidente che quello che si sta verificando a livello internazionale è un processo di riallineamento o di riposizionamento di tutti i paesi rispetto alla linea di faglia che divide i due blocchi: Usa e la Nato da una parte e la Russia e i suoi alleati dall’altra. In questo contesto è lecito domandarsi quanto il progressivo avvicinamento tra Cina e Russia a cui abbiamo assistito soprattutto negli ultimi anni, sia destinato a saldarsi in un’alleanza strategica di lunga durata e quanto non possa essere letto invece come l’effetto contingente di una reazione di difesa comune alla sempre maggiore aggressività americana, che ha avuto in entrambi i paesi dei bersagli privilegiati.
Partiamo da un evento che quasi tutti i commentatori non tralasciano di ricordare: all’inizio di febbraio, quindi poche settimane prima dello scoppio della guerra in Ucraina, Xi Jinping e Putin hanno celebrato insieme l’inizio delle Olimpiadi invernali a Pechino con una dichiarazione congiunta (1) rivolta a tutto il mondo che ha voluto enfatizzare sul piano simbolico e comunicativo “l’inizio di una nuova era nelle relazioni internazionali”.
Non molto di nuovo in realtà è stato detto sul piano dei contenuti in questa dichiarazione congiunta, ma è opportuno riconoscere che i due paesi hanno tenuto a dichiarare ufficialmente di avere un’intesa “che non ha limiti, né aree proibite”, il che significa tra le righe che sono disposti a far fronte comune in senso anti-americano e hanno intenzione di collaborare sempre più anche sul piano delle tecnologie militari e del coordinamento tra le forze armate.
È molto difficile credere che a quel punto i vertici cinesi non fossero stati informati di un’imminente invasione russa in Ucraina, che tra l’altro ha avuto inizio non casualmente subito dopo la fine delle Olimpiadi stesse, ma è pur sempre possibile che il progetto non sia stato presentato loro dai russi in tutta la sua ampiezza.
Diciamo questo perché certamente il conflitto in Ucraina ha posto la Cina di fronte ad una serie di criticità e di contraddizioni che ne hanno fin qui determinato l’atteggiamento estremamente prudente. Proviamo ad elencarle sommariamente di seguito.
Il conflitto fino a questo momento ha avuto l’effetto di far salire molto i prezzi delle materie prime, non solo quelle energetiche - e sappiamo che la Cina importa quasi il 70% del suo petrolio e il 40% del suo gas (2) - ma anche quelle alimentari, specialmente in un anno come questo in cui forti piogge hanno causato problemi ai raccolti cinesi e il Paese si troverà ad importare più cereali del solito. Se il primo fattore si farà sentire sulla crescita delle imprese e del prodotto interno lordo, stimata attorno a poco più che il 4% per il 2022 - ovvero mai così bassa da almeno trent’anni - il secondo potrebbe farsi sentire sul fronte della gestione del consenso interno, che è un’ossessione della leadership cinese. Fino ad oggi il Partito comunista è riuscito a tenersi in sella pur in presenza di un’epocale trasformazione economica e sociale negli ultimi 40 anni perché ha avuto il vento in poppa dal punto di vista economico, con tassi di crescita che sono sempre stati a doppia cifra. Questo ha aiutato a contenere le tensioni interne entro il livello di guardia, ma cosa succederebbe il giorno in cui dovesse arrivare una recessione? In autunno poi ci sarà il congresso del partito che dovrebbe rinnovare il mandato al presidente Xi Jinping e nessuno dell’attuale vertice politico vuole alimentare focolai di crisi e di malcontento dopo i problemi connessi alla bolla immobiliare e ora ad una nuova ondata pandemica.
Un secondo aspetto è inerente alla strategia del soft power che ha sempre caratterizzato la politica estera cinese: ufficialmente la Cina si è sempre dichiarata contraria a qualsiasi violazione dell’integrità territoriale di un paese, e questo sia perché vuole probabilmente accompagnare la sua vasta iniziativa di penetrazione commerciale attraverso le vie della seta con un approccio nelle relazioni internazionali che non appaia troppo predatorio, sia perché Pechino ha due aree sensibili, l’isola di Taiwan da un lato e lo Xinjiang dall’altro, che considera parti integranti del suo territorio e non vuole in nessun modo che qualcuno intervenga a sollecitare aspirazioni di autonomia. Anche per questo la Cina si è astenuta all’ONU nel voto di condanna alla Russia e non ha mai voluto riconoscere fin qui le repubbliche separatiste del Donbass.
Non bisogna dimenticare poi che vi sono anche ragioni storiche per cui la Cina non può accettare manifeste violazioni territoriali: nella seconda metà dell’Ottocento, sul finire della dinastia Qing, la Cina è stata depredata attraverso i famosi “trattati ineguali” non solo dalle potenze coloniali europee, che l’hanno profondamente umiliata, ma anche dalla Russia, che le ha sottratto a Nordest, nella cosiddetta Manciuria esterna, circa un milione e trecentomila chilometri quadrati, in pratica un’area equivalente a mezza Europa. Il ricordo di queste umiliazioni è ben presente nella narrativa dominante e sarebbe incoerente ora appoggiare in modo aperto l’occupazione militare di un paese come l’Ucraina con cui oltretutto la Cina aveva, ed in parte ancora ha, fitte relazioni economiche e commerciali, essendo uno dei punti di approdo in Europa della via della seta terrestre. Per esempio, COFCO una grande impresa statale cinese del settore alimentare è molto radicata nel paese (3), in mani cinesi è la borsa Ucraina e China Merchant Bank Group ha comprato una parte del porto di Odessa; chissà che questa non possa essere una delle ragioni per cui fin qui è stato risparmiato a questa città il trattamento riservato a Mariupol.
Vi è poi un ultimo aspetto, ma non per ordine di importanza, che è la forte interdipendenza economica che la Cina ha con il mondo occidentale. Se da un lato è vero che negli ultimi anni c’è stato un notevole incremento dell’interscambio commerciale con la Russia, salito del 35% nel solo 2021, ed è vero altresì che la Cina sta cercando di diversificare i suoi partner commerciali e di aumentare le dimensioni del mercato interno, rimane però il fatto che l’interscambio con l’Europa vale più di 800 miliardi di dollari all’anno e quello con gli Stati Uniti poco meno (4), mentre quello con la Russia si è attestato nel 2021 a 146 miliardi, buona parte dei quali legati alle importazioni di materie prime energetiche perché la Russia - eccezion fatta per le armi - ben poco altro può esportare. Non solo, la Cina dipende o comunque è strettamente interconnessa con l’Occidente anche per quanto riguarda i mercati finanziari.
È evidente che in una situazione del genere le sanzioni cosiddette “secondarie” che gli USA minacciano, destinate a colpire le imprese di altri paesi che fanno affari con Mosca, sono un deterrente piuttosto importante e Pechino per il momento non vuole rischiare di subirne il contraccolpo. In questo senso, salvo rari casi, fin qui le imprese cinesi non hanno fatto una vera e propria corsa a sostituire quelle occidentali che lasciavano i mercati russi e anzi alcuni progetti sostenuti dalla Banca Asiatica per gli investimenti, dalla Bank of China e dalla Industrial and Commercial Bank of China, sono stati bloccati (5). Gli accordi che erano già stati raggiunti prima dell’inizio delle ostilità hanno invece avuto seguito, per esempio quello per l’importazione di grano e orzo, o quello per l’aumento dell’importazione di gas. I nuovi contratti in aggiunta a quelli già in essere portano la quota di import di gas russo in Cina a 48 miliardi di metri cubi, non abbastanza nemmeno per eguagliare la quota che Pechino importa dal Kazakistan che è attualmente di 55 miliardi di metri cubi, e comunque meno di un terzo del quantitativo che la Russia esporta ogni anno in Europa, quota che oscilla tra i 150 e i 190 miliardi di metri cubi.
Questo non significa però che sottobanco la Cina non stia aiutando la Russia, la cui economia è stremata dalle sanzioni e dallo sforzo bellico e non potrebbe assolutamente resistere senza un aiuto esterno. Probabilmente la guerra in Ucraina è per Pechino al contempo da un lato un problema perché paralizza una parte degli interscambi commerciali e ne arresta temporaneamente la penetrazione nel continente euroasiatico, dall’altro un’occasione per emergere come leader di un gruppo di paesi non allineati al volere degli Stati Uniti e alla legge del dollaro, e infatti sta aumentando significativamente la quota di scambi con la Russia denominata in yuan e anche altri paesi potrebbero seguire la scia, ad esempio l’Arabia Saudita, che sta considerando di vendere petrolio alla Cina nella sua valuta.
In questo senso la decisione USA di congelare le riserve finanziarie russe denominate in dollari è stato al contempo un colpo formidabile alla solidità finanziaria della Russia, ma è destinato ad essere anche un contraccolpo significativo all’egemonia del dollaro, perché tutti i Paesi che non sono stretti alleati degli USA ora sanno che non conviene loro mantenere una quota importante di riserve in biglietti verdi, dal momento che da un giorno all’altro queste riserve possono essere neutralizzate e rese inutilizzabili a discrezione di Washington.
In questa situazione la Cina non può desiderare una netta vittoria militare della Russia, una tale eventualità rafforzerebbe la posizione russa ai confini occidentali e la farebbe diventare un potenziale concorrente ingombrante lungo quelle che invece sono le sue proprie linee di sviluppo strategiche, che sono orientate verso l’Europa passando per il centro Asia, altra tradizionale area che la Russia considera suo cortile di casa, basti menzionare nel gennaio scorso l’intervento diretto in Kazakistan per sedare i disordini e le proteste. D’altro canto, la Cina non può neanche considerare una sconfitta e un’umiliazione della Russia come auspicabile, perché questo rafforzerebbe molto gli Stati Uniti e l’ordine mondiale unipolare che stanno cercando di mantenere, quello stesso ordine che penalizza la Cina e la costringe ad una condizione di subordinazione politica, economica e finanziaria. Una volta ridimensionata la Russia gli Stati Uniti non avrebbero altra preoccupazione che limitare Pechino, in primis sostenendo Taiwan e continuando a tessere alleanze in funzione anticinese con molti dei paesi dell’area indo pacifica. Probabilmente una continuazione della guerra che porti allo stremo la Russia e la renda un alleato più malleabile e in pratica un partner subordinato può rivelarsi per Pechino un’occasione per dettare nuove leggi a misura dei suoi interessi in Asia. Le due economie sono già ora straordinariamente complementari e nuove aree di collaborazione sono destinate ad aprirsi nei prossimi anni.
Una di queste aree potenziali di collaborazione è la zona dell’Artico. Lo scioglimento dei ghiacci è destinato ad aprire una nuova rotta commerciale, quella cosiddetta di Nordest. In pratica se il riscaldamento climatico procede a questa velocità, entro il 2040 i mari artici saranno completamente liberi dal ghiaccio durante l’estate e la Cina sta pensando di sfruttare questa rotta per collegare i suoi porti a quelli del nord Europa di Rotterdam e Amburgo. La rotta non soltanto è più corta rispetto a quella che passa dall’Oceano Indiano e dal Mediterraneo, ma ha anche il vantaggio di non essere presidiata dagli Stati Uniti o dai loro alleati, come invece accade per l’attuale rotta che passa attraverso colli di bottiglia come lo Stretto di Malacca e il canale di Suez.
Non solo, lo scioglimento del ghiaccio nella zona artica sta rendendo accessibili aree il cui sottosuolo è ricco di minerali rari, metalli preziosi, gas e petrolio. Secondo le stime dell’Istituto Geologico degli Stati Uniti (6), l’Artico ospita il 22% delle riserve globali di petrolio e gas, uranio, terre rare, oro, diamanti, zinco, nickel, carbone, grafite, palladio, ferro. Già ora il 90% della produzione russa di gas e il 60% di quella di petrolio proviene dalla regione artica (7). La Cina si è autodefinita “Stato vicino all’artico” e potrebbe compensare con la sua presenza politica ed economica nella zona la condizione di inferiorità della Russia, ma lo farebbe alle sue condizioni. Da quando nel 1996 è stato creato il Consiglio dell’Artico che comprende oltre alla Russia, Canada, Danimarca, Finlandia, Svezia, Islanda, Norvegia e Stati Uniti, Mosca non è mai stata così isolata, specialmente ora che anche Finlandia e Svezia hanno richiesto di entrare nella Nato, il Consiglio è diventato in pratica un consesso di paesi alleati militarmente agli USA, anche se la Russia ha da sola la metà dei territori e degli abitanti delle zone che si affacciano sull’Oceano Artico. Quella dell’Artico è sicuramente un’altra delle future aree di confronto militare con l’Occidente, e infatti la Russia ha fatto un grandissimo sforzo per dotarsi di infrastrutture e di capacità militari adeguate, allestendo tra l’altro una flotta di una quarantina di navi rompighiaccio a propulsione nucleare. Dall’altra parte invece la Nato ha svolto nel marzo scorso in Norvegia la più grande esercitazione militare dagli anni Ottanta ad oggi, con la partecipazione appunto anche di Finlandia e Svezia.
Non è finita qui: con lo scioglimento del permafrost, zone un tempo completamente disabitate ed inospitali della Siberia stanno diventando potenzialmente coltivabili a grano, a mais o a soia, i fiumi stanno diventando navigabili e le città accessibili per buona parte dell’anno e la Cina è da sempre preoccupata di sfamare una popolazione immensa, dieci volte più numerosa di quella russa, e concentrata in un territorio molto più ridotto.
Ci sono quindi validi motivi per cui l’amicizia russo cinese – che però il portavoce del ministro degli esteri cinese ha tenuto a specificare è “un’amicizia” e non “un’alleanza” (8) – continui a svilupparsi nel prossimo futuro, ma questo processo non sarà probabilmente lineare né privo di battute d’arresto, soprattutto man mano che risulterà chiaro che gli interessi cinesi sono destinati ad imporsi su quelli russi per l’asimmetria economica tra i due Paesi, in modo particolare nell’Asia centrale e nella proiezione verso l’Europa e verso parte del continente africano.
È altresì molto probabile che, data la natura dei governi dei due paesi asiatici, nei prossimi anni assisteremo ad una propaganda sempre più martellante che metterà a paragone la libertà e la democraticità delle società occidentali con l’autoritarismo o il presunto comunismo o ex comunismo dei due grandi paesi d’Oriente. Niente di più falso, dall’una come dall’altra parte le ragioni ideologiche non saranno nient’altro che plateali falsificazioni che dovranno coprire come foglie di fico gli interessi economici di una o dell’altra classe capitalisticamente dominante. La stragrande maggioranza della popolazione in tutti i paesi non appartiene a queste classi dominanti, nemmeno nel ruolo come si usa dire di “junior partner”. Queste borghesie stanno affossando con la loro mentalità e i loro interessi il mondo intero e, come la guerra in Ucraina ci sta insegnando ancora una volta, il resto della popolazione non avrà nulla da guadagnare nel seguirne le bandiere, mentre avrebbe molto da guadagnare nello spodestarle dal potere. Per questo riteniamo necessario e urgente lavorare ad una alternativa sociale non più basata sul profitto e sullo sfruttamento borghese del proletariato. Un’alternativa che, diversamente dal capitalismo, non abbia come necessaria conseguenza la guerra, la morte di chi combatte per interessi che oltretutto non sono i suoi, la devastazione ambientale: in una parola un’alternativa che faccia definitivamente i conti con la barbarie anacronistica del capitalismo.
MB(1) Se ne può trovare il testo al link en.kremlin.ru
(2) Mitchell T. et al The rising costs of China’s friendship with Russia, March 10 2022, consultato su Financial Times il 16 maggio 2022 al link ft.com
(3) Tutti i limiti dell’alleanza Cina-Russia. Report Economist, 21 marzo 2022, consultato il 16 maggio 2022 al link startmag.it
(4) Mitchell T., cit.
(5) Quasi amici: le relazioni tra Cina e Russia durante la guerra in Ucraina, 5 aprile 2022, reperibile sul sito orizzontipolitici.it, consultato il 16 maggio 2022 al link orizzontipolitici.it
(6) Mecarozzi P. La febbre dell'Artico nello scacchiere della guerra: così si ferma la scienza, 5 aprile 2022, consultato su repubblica.it il 16 maggio 2022 al link repubblica.it
(7) Mecarozzi P. Ibidem
(8) Amighini A., Russia-Cina: (quasi) amici per sempre?, 18 marzo 2022, consultato sul sito ispionline.it il 16 maggio 2022
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