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Home ›Ucraina: in agitazione gli imperialismi con i loro fondi finanziari in dollari, rubli, euro e yuan
L’attacco delle forze armate russe in Ucraina (con lo scopo di “mantenere la pace", così cantano le sirene filo-russe…) ha certamente ragioni importanti (per i singoli imperialismi), sempre nel quadro generale – e in definitiva fondamentale – della avanzante crisi mondiale del capitalismo. Tra queste “ragioni” vi sono quelle relative ad una pericolante egemonia del dollaro, da tempo nelle attenzioni di uno scontro economico e finanziario sempre più allargato fra Usa, Cina, Russia e UE. Fa seguito il materializzarsi dello spettro di un default del debito non solo russo ma ormai più che evidente anche in molti paesi ad alto sviluppo e… progresso.
Il rublo era ritenuto fino a ieri una valuta emergente (lo affermavano molti esperti dall’alto delle loro cattedre) ma ha subìto un calo ritenuto allarmante dalla stessa banca centrale russa, preoccupata per i livelli di un deprezzamento fattosi pericoloso per la stabilità finanziaria sia nazionale quanto globale.
Gli “analisti” hanno visto andare in frantumi le loro sfere di cristallo ed ora fanno previsioni valutarie solo cercando conforto in miracolosi “aumenti calibrati dei tassi". Ma, restando al rublo, le sue perdite sono più che notevoli, e la sua la sua volatilità rischia a questo punto di farsi simile a quella di alcune monete sudafricane…
Si riteneva – sempre da parte degli esperti – che gli aumenti dei prezzi del petrolio potessero sostenere la situazione aggravatasi e si riteneva persino che i fondamentali macroeconomici della Russia fossero più che solidi, continuando ad attirare investitori stranieri, anche grazie ai bassi tassi di interesse praticati – fino a ieri – dalla banca russa. Ma nel nuovo e drammatico contesto (dopo che Mosca aveva ripetutamente negato ogni possibile invasione dell’Ucraina…), con le aumentate tensioni geopolitiche e con le pressioni inflazionistiche che stanno crescendo, il presente e il futuro sono diventati ancor più grigi.
Intanto l’India ha ricevuto offerte di petrolio Ural a prezzi stracciati, ed ha aumentato subito il suo acquisto di barili, pagandoli in rubli e rupie. Lo stesso per l’export russo di grano a Turchia, Egitto, Iran e Arabia saudita. La dipendenza dal dollaro è minata inoltre dalla Cina, con un proprio sistema di pagamenti internazionali, basati sullo yuan-renminbi, già in uso per i Paesi della Nuova via della seta. Più che nervosi gli Usa che minacciano gravi conseguenze per i Paesi che si sottraggono al lor dominio valutario. Si aggiunga il conseguente calo delle riserve in dollari, il cui possesso era necessario alle banche centrali per i traffici commerciali.
Comunque, rimane ancora forte la domanda di dollari a livello mondiale, la quale consente agli Usa un finanziamento a basso costo non solo continuando a stampare dollari, ma anche collocando i propri titoli di stato a tassi d’interesse ridotti. Cresce però il deficit del commercio estero americano, fin qui sostenuto dalla domanda di riserve valutarie in dollari. Quasi 1.182 miliardi di dollari (Unctad, Data center.), mentre il debito pubblico ha raggiunto, sempre nel 2021, i 30,5 trilioni di dollari, vale a dire il 133,3% rispetto al Pil e 2,7 trilioni di dollari in più rispetto all’anno precedente. (International monetary fund, Database). Questo soprattutto in conseguenza delle condizioni attuali dell’economia americana, in peggioramento negli ultimi decenni, e con la bassa domanda dei mercati. Se ne è in parte avvantaggiata la Cina soprattutto, oltre a Germania e Giappone. Inoltre, i livelli del debito pubblico e commerciale americano diventerebbero insostenibili qualora il dollaro perdesse la sua predominanza nelle transazioni , sulla cui gestione gli Usa esercitano forti pressioni.
Dopo l’annessione unilaterale della Crimea (2014) la Russia è stata colpita da sanzioni economiche che però le hanno procurato lievi danni. Secondo Putin una perdita di poche decine di miliardi di dollari; tuttavia, una situazione di debolezza a causa della quantità di valuta americana che circola ancora in Russia. Attenzione, però, al congelamento delle riserve valutarie della Banca Centrale russa, la quale dichiara ben 630 miliardi di dollari (oro compreso) ivi depositati, e nonostante siano stati venduti tutti i titoli di Stato americani. Mosca detiene ancora in dollari più della metà delle proprie riserve, mentre ha visto il rublo perdere parte del suo valore (inizialmente quasi un tracollo) assestandosi oggi a circa 100 rubli per un dollaro.
Oggi, gli interscambi commerciali in yuan e rubli sono aumentati più del doppio negli ultimi anni ed ormai soltanto la forza militare consente agli Usa di mantenere l’egemonia del dollaro, la quale però – venendo meno – metterebbe in difficoltà la stessa forza che ha fino ad ora sostenuto il predominio del dollaro nelle transazioni commerciali, col ruolo di moneta di scambio e di riserva mondiale. Una “tendenza” di fondamentale importanza per gli Usa e che contribuisce ad alimentare la sua tendenza alla guerra, per altro condivisa da tutte le altre potenze capitalistiche e, inevitabilmente, imperialistiche. Un fatto è certo, a questo punto: il potere militare e finanziario degli Usa comincia a fare i conti col decadimento – sia pur lento – della propria egemonia economica. Con manovre sui tassi (come quelle del 1980) fu consentito al dollaro di rafforzarsi, ma con la crisi finanziaria del 2008 molti capitali abbandonarono la valuta americana e sospeso l’accumulo di dollari. Intervenne la Fed con l’aumento dei tassi di interesse, con rendimenti allettanti per attrarre investimenti.
E’ anche vero che con la guerra in Ucraina gli Usa si potrebbero avvantaggiare nella esportazione del proprio gas, il cui alto prezzo – dovuto anche al costo del trasporto via mare – sarebbe ora “accettabile” sul mercato europeo, costringendo Mosca a rivolgersi a nuovi clienti. C’è poi il rapporto dollaro-euro, con il primo che – dietro le quinte – si prepara a raccogliere vantaggi finanziari con un dollaro che si troverebbe rafforzato anche nei confronti degli “attacchi” che da tempo Europa, Cina e Russia alimentano nel campo delle politiche valutarie e monetarie internazionali.
Negli ultimi tempi gli indebitamenti di molti paesi sono aumentati a seguito della pandemia di COVID e i rimborsi futuri si calcola che peseranno per quasi 9 trilioni di dollari. Dunque, indebitamenti sovrani lordi spaventosi, che contribuiscono a bloccare investimenti produttivi da parte di Paesi africani i quali al momento trovano nella Cina il loro creditore principale. I prestiti di Pechino coprono i debiti africani che – oggi, e verso la stessa Cina – ammonterebbero a più di 170 miliardi di dollari (1). Una somma che sarebbe aumentata di ben tre volte negli ultimi 10 anni ed è destinata rapidamente ad aggravarsi, peggiorando con la guerra in Ucraina e la forte inflazione internazionale che si annuncia e già mostra segnali concreti.
DC(1) Anche se ufficialmente è difficile raccogliere dati precisi, i debiti che i paesi africani hanno accumulato verso la Cina sono enormi; secondo la Banca mondiale, alla fine del 2019, si trattava di circa 112 miliardi di dollari. Il neo-colonialismo cinese, che vede interessati e fortemente impegnati i centri finanziari di Pechino, punta sulle riserve di petrolio e sulle abbondanti risorse energetiche del continente africano.
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