Due note sulla crisi ucraina

Partiamo per comodità di discorso da un articolo di Negri, articolista del manifesto, sulle vicende ucraine. L’articolo (dell'otto febbraio scorso) è di buona fattura e ben documentato nei numeri statistici e sugli aspetti generali della geopolitica che riguarda la questione petrolifera e i suoi interpreti. Giusta la tesi della improponibilità del gas Usa come sostituto di quello russo per i bisogni energetici di Europa e Germania in particolare, tant'è che Biden ha chiesto al Qatar di intervenire in caso di sospensione forzata delle forniture all'Europa, anche se i flussi di gas qatariota non sarebbero assolutamente sufficienti. I costi di estrazione del gas americano, gli impianti di liquefazione e rigassificazione, gli alti costi di trasporto rendono il gas “made in Usa” due volte più caro di quello russo. È altresì vero che gli Usa stanno facendo di tutto per sottrarre l'Europa dalla dipendenza dal gas russo, ma in termini di costi non è possibile, a meno che Biden non ne faccia una questione politica gestendo la (s)vendita del “suo” gas in perdita netta. È più facile combattere una lotta sul Nord Stream 2, che dovrebbe approvvigionare la Germania bypassando l'Ucraina, ma con notevoli titubanze del governo tedesco che sulla questione sta prendendo tempo. Tutto vero, ma manca una cornice fondamentale senza la quale la questione ucraina si ridurrebbe solo ad una guerra dei “tubi”, che c'è, ma che rappresenta solo una parte del problema che è più ampio e pericoloso.

Lo scontro Usa-Russia si articola anche, se non soprattutto, sull'accerchiamento della Nato nei confronti della Russia, processo che parte da lontano, dalla implosione dell’URSS, dalle “rivoluzioni colorate” e nel quale oggi l'Ucraina riveste un ruolo di primaria importanza, non soltanto perché nel suo territorio scorrono "nuvole" di gas e fiumi di petrolio. Da qui le minacce di Mosca, gli assembramenti militari al confine ucraino, gli appoggi politici e militari ai filo russi del Donbas. Mosca mostra i muscoli, non può permettere che la Nato, ovvero gli Usa, abbiano a disposizione un governo amico a Kiev che consenta loro di posizionare missili in quello che ritiene essere il suo giardino di casa. Per il Cremlino sarebbe come perdere una guerra senza combatterla. Cosa questa strategicamente più importante della lotta dei tubi che, pur avendo nella questione specifica un aspetto economico importantissimo, è in secondo piano rispetto al vero contenzioso tra i due imperialismi.

Un'altra pecca è quella di non mettere in sufficiente luce un altro aspetto, ovvero che la partita imperialistica (Negri ovviamente non usa mai questi termini) è su tre fronti, comprendendo anche quello cinese che, oltretutto, è quello che preoccupa maggiormente il Pentagono. Sia sulla questione dell'approvvigionamento energetico, che su quello politico-militare, non si può parlare di Ucraina senza mettere in risalto anche il ruolo della Cina. In primis per la paura americana che è quella di doversi scontrare con un avversario sempre più forte sia sul piano economico che su quello militare. Poi la fallimentare politica estera Trump ha di fatto messo in crisi i rapporti con l'Europa (che oggi Biden cerca di ricucire in tutta fretta), cementando così una alleanza strumentale tra la Russia e la Cina contro gli Usa, sia per le forniture energetiche di Mosca a Pechino, sia per le tensioni sino-americane nel Mar della Cina. Mosca ha sempre siostenuto il diritto della Cina di considerare l'isola di Taiwan suo storico territorio, mentre la Cina si è espressa a sostegno della Russia qualora si determinasse una crisi militare in Ucraina. E per finire c'è da mettere in evidenza che, mentre Pechino stringe un patto di alleanza con la Russia (uno dei terminali della sua via della seta con la stessa Ucraina e primo fornitore di gas e petrolio) presta 10 miliardi di dollari al governo ucraino e “compra” la gestione della Borsa di Kiev.

Sono le mutevoli e contraddittorie linee di condotta dei maggiori imperialismi che, sospinti da interessi economici, perseguono gli obiettivi strategici che ne conseguono. Da sempre crescenti problemi di valorizzazione dei capitali investiti, ovvero sempre più alle prese con saggi di profitto decrescenti, si incontrano e si scontrano secondo una logica che non sempre è lineare perché dipende, in ultima istanza, dalle mutevoli necessità di trovare le migliori soluzioni per gestire i loro profitti e i migliori alleati del momento per conseguirli. Gli imperialismi nel loro procedere si combattono direttamente o indirettamente, fanno e disfano le alleanze con la stessa facilità con la quale si dicono le bugie a fin di bene, naturalmente il proprio.

Men che meno esiste una visione dialettica. Negri parla di guerre, di quelle in atto o di quelle future, per procura o generalizzate come se fossero degli episodi drammatici ma inevitabili. Beh, senza saperlo dice anche qualcosa di vero. Le guerre condotte dall’imperialismo sono una necessità nel divenire delle contraddizioni del capitalismo. Le guerre, oltre a dare soddisfazione politica a chi le vince, distruggono valore capitale e da questa distruzione, la più vasta possibile, nascono le condizioni per un nuovo ciclo di accumulazione. La distruzione bellica è la condizione della ricostruzione economica del capitalismo. Che poi ci siano, all'interno di questo barbarico meccanismo, degli effetti collaterali quali milioni di morti, migrazioni bibliche, repressioni etniche e devastazioni ambientali, sono solo un accidente meccanicamente connesso. Ovviamente non un cenno alla necessità di dare una svolta rivoluzionaria a questo corso barbarico. Ma questo, lo sappiamo, esce dalla sua visione politica.

FD
Martedì, February 8, 2022