Per un “comunismo”… popolar-democratico

Provate a parlare di un programma comunista che abbia fra i suoi obbiettivi quelli di una, quanto più immediata sia possibile, abolizione di tutti i rapporti di produzione capitalistici, introducendo un modo rivoluzionario di produrre e distribuire, senza merci né valore di scambio: sarete dapprima considerati degli alieni extraterrestri e poi – isolati e controllati a vista – dei pericolosi soggetti eversivi.

La stragrande maggioranza considera sufficiente il trasferimento allo Stato sia della proprietà e della gestione dei mezzi di produzione (almeno i più consistenti e importanti) sia delle Banche, per migliorare quel rapporto fra capitale e lavoro che (fino ad ora ed ovunque) si è risolto con uno sfruttamento – bestiale – del proletariato. Gran parte di esso, impoverito e oppresso, è progressivamente gettato ai margini della borghese società, ma basterebbe – si dice da ogni parte - un diverso ordine giuridico della proprietà privata dei mezzi di produzione e della finanza per fondare e assegnare un paradiso terrestre a tutti gli uomini di buona volontà! C’è però una condizione da rispettare: si dovrà produrre una sempre maggiore quantità di valore aggiuntivo, di plusvalore, investendo somme via via più grandi di capitale “socializzato”, altrimenti anche questo socialismo da operetta entra in crisi. Dunque, lunga vita ad un valore che viene considerato del tutto indipendente da quella che è la reale natura e sostanza del capitale: sfruttamento del vivo lavoro.

La soluzione “economica” proposta da questi falsificatori del comunismo (vedi per esempio quelli del partito di Rizzo, che qui citiamo), consiste nel proporre una pianificazione della produzione di merci, con un mercato che – attraverso i prezzi delle merci – sia in grado di accumulare denaro che dovrà diventare poi altro capitale per “produrre” nuovo valore. Col dovuto rispetto rivolto a quella sfera finanziaria del denaro che, nel complesso del sistema, si adatterebbe a regolate interconnessioni produttrici di un valore considerato quale proprietà del denaro stesso. Questo capitalismo, diventato un ibrido tendenzialmente social-nazionale, si svilupperebbe costantemente attraverso una “pianificazione democratica” condotta da speciali “organi politico-istituzionali”, Sempre – s’intende – garantendo al capitale i suoi vitali “cicli di accumulazione” con una “giusta” valorizzazione del capitale investito. Con tali “condizioni economiche”, la società avrebbe un’armonia assicurata. Eccoci dunque davanti ad un capitale socializzato che condurrebbe il “popolo” ad uno “sviluppo razionale della realtà economico-sociale complessiva verso il comunismo”… Poiché il capitale indossa gli abiti “pubblici” e rispetta la “nazionalità”, sarebbe risolto ogni problema. Quindi completamente fuori testa sarebbero coloro che – come noi - intendono la fine dei rapporti di produzione e distribuzione imposti dal capitalismo come base della futura società comunista, quando invece si racconta che valore, denaro, mercato, salario – purché con l’aggettivo “socialista” - vanno salvati e glorificati!

Senza proprietà privata del capitale, questi pseudo “comunisti” vogliono convincere il proletariato di aver superato ogni sfruttamento: quando il capitale sarà trasferito al servizio di una accumulazione pubblica, assicurandogli una costante produzione di valore, ecco che vi saranno anche aumenti salariali e welfare in abbondanza! Sara un capitalismo dal volto umano, per una “più civile e ragionevole convivenza collettiva”... Con il lavoro “libero”, si avrà abbondanza di plusvalore monetario che circolerà su mercati, e lo Stato ne beneficerà grazie anche ai frutti di un “razionale” sistema di entrate tributarie… Insomma, ci troveremmo nel pieno della applicazione di una “mediazione dialettica” in grado di controllare il capitale trasformandolo in “potenza democratica”… Addirittura si “armonizzerebbero” le funzioni sia del capitale produttivo sia di quello finanziario. Entrambi “socializzati” e controllati dallo Stato che acquisirebbe così quegli abiti democratici che la produzione capitalistica insegue, dovendo ricorrere ad una egemonia del lavoro morto sul lavoro vivo.

Se – dicono – il capitale monetario sarà messo al servizio di una accumulazione statale e non più privata, questo basterebbe a dare un volto più umano al capitalismo (socializzato). Avremo una “più civile e ragionevole convivenza collettiva” che – pur mantenendo (mistificandolo!) lo sfruttamento del lavoro salariato – manterrà una “costante produzione di valore” per assicurare aumenti salariali e adeguate spese sociali… Naturalmente, poiché questo “valore” deriverà dal particolare uso che si fa del lavoro al fine di ottenere un plusvalore monetario, lo Stato – nelle cui casse tale plusvalore fluirà – eticherrà come “socialista” tale appropriazione e la organizzerà affinché il rapporto di produzione capitale-lavoro rimanga in vita, “producendo” quell’adeguato plusvalore che, con il sistema delle entrate tributarie e delle imposizioni fiscali, sarà “collettivizzato” con interventi di correzione amministrativa!

Si spaccia questa presunta socializzazione della produzione facendola passare per “una mediazione dialettica” in grado di poter controllare il capitale e la forma di merce assegnata ai prodotti del lavoro. Questo “capitale socializzato”, sia in forma produttiva che finanziaria, sarà controllato dallo Stato e, con opportuni abiti “democratici”, porterà avanti la egemonia del lavoro morto sul lavoro vivo nella illusione di frenare una caduta dei saggi di profitto, la quale lo sta minacciando sempre più concretamente e in ogni parte del mondo.

Il capitale, riconosciuto e salvaguardato come “potenza sociale” che serve gli interessi della “società nel suo complesso”, con l’intervento dello Stato, diventa “socialista” poiché questi signori ci raccontano di una possibile razionalizzazione del capitale e dei suoi rapporti di produzione e appropriazione.

Lo chiamano “sviluppo dialettico della realtà”, mentre l’ottocentesco Marx prevedeva – sbagliando tutto, il poveretto – una società che si sarebbe avviata al comunismo passando attraverso una prima distribuzione dei prodotti regolata sulla base di un calcolo delle quantità di tempo-lavoro svolto (in linea generale e subito fortemente ridotto per tutti), con l’obbligo di attività collettive che secondo i bisogni (umani) da soddisfare regoleranno i cicli produttivi. E il denaro, la merce e il salario saranno i primi ad essere aboliti, con un buono-lavoro (non cumulabile) che consentirà l’uso dei servizi pubblici e dei prodotti raccolti nei magazzini pubblici.

E’ chiaro che il programma del comunismo non potrà avere attuazione se non a seguito di una rivoluzione proletaria a livello internazionale, con la guida di un Partito internazionale del proletariato, così come internazionali sono gli interessi capitalistici e le loro guerre “umanitarie”.

I mezzi di produzione in proprietà statale erano la misura che un secolo fa si riteneva necessaria per un ulteriore sviluppo delle forze produttive (le quali, invece, oggi andrebbero qua e là ridimensionate e, in ogni caso, “reindirizzate”). Allora si guardava ad una pianificazione della produzione di merci ancora per il mercato, con una accumulazione di capitale produttivo controllata da un organismo statale che avrebbe continuato a far uso del mercato e del denaro, della legge del valore e quindi della circolazione dello stesso capitale finanziario e di tutte le interconnessioni che ne derivano.

Ebbene oggi, dopo un secolo nel quale il potenziamento delle forze produttive è stato – ed ancora di più lo sarà nel futuro – preponderante, eccoci arretrati su quelle posizioni obiettivamente conservatrici, reazionarie. Si intenderebbe (praticamente e non solo teoricamente) sostenere tutte le categorie economiche del capitalismo (capitale, salario, denaro, merce, legge del valore, mercato, ecc.), con il tentativo di pianificarne l’economia dominata dai rapporti di produzione sempre capitalistici.

Quindi si ripropongono specchietti per allodole, quali il welfare, la ricerca di ammortizzatori sociali, ecc., fermo restando un progressivo rafforzamento della produzione di merci da vendere sui mercati (“perfezionati”…) nazionali e internazionali. Nessuno, mai e poi mai, accenna minimamente alla possibilità di fare a meno del denaro quale strumento di scambio, come capitale, come riserva di valore: basterebbe trasferirne una parte nelle mani “pubbliche”, statali. Comprese Banche e istituti finanziari…

Quali saranno invece le misure introdotte dal comunismo? Sulla base del lavoro prestato (dopo una forte riduzione delle ore lavorative, registrate in un primo tempo su una tessera o cosa simile e non accumulabili nel tempo), si potranno ritirare beni di consumo, servizi ecc.. Sarà la fine di quel vincolo economico che costringe il proletario a vendere la propria forza-lavoro. Cadrà nello stesso tempo quel perverso circuito finanziario col denaro quale sola e vincolante misura di un valore di scambio. Il denaro non sarà più – come notava Marx – un “rapporto di produzione essenziale”, e tutta la circolazione con le sue contraddizioni sarà trasformata radicalmente intervenendo “sugli attuali rapporti di produzione e sui rapporti sociali che poggiano su di essi”.

Venendo al “tatticismo politico” enunciato dagli aspiranti costruttori del “nazional-socialismo”, si racconta che si dovrebbe ricostruire un “fronte popolare” con soggetti sociali diversi ma – in quanto schiere di cittadini nazionali e al di là del portafoglio di ciascuno più o meno gonfio… – tutti membri di una fantomatica “unità popolare”. E qui, con la benedizione dello spirito gramsciano, gli antagonisti diventerebbero “comunisti egemoni nel paese”, combattendo il “degrado economico” in nome del “socialismo pluralista”!

Secondo questi “innovatori”, il loro socialismo consisterebbe in una “combinazione di diversi tipi di proprietà”, con prevalenza di “importanti gruppi industriali e finanziari” in versione pubblica, i quali accetterebbero lo sviluppo di un’economia pianificata (Stalin, se ci sei batti un colpo!) all’interno di “forme di mercato regolato ed efficiente”. Il tutto sotto “controllo civico”. Si arriva persino a prospettare (in un domani non meglio chiarito) un “progressivo superamento del lavoro salariato”: e sapete come? Si formerebbe un “reddito di base” con l’aggiunta di “gratuite prestazioni del welfare”. Sempre che il capital-socialismo non entri in crisi, prima a livello nazionale e poi internazionale…

Non si parla – rigorosamente – di un minimo superamento dello Stato borghese, semmai di un passaggio dello stesso nelle mani dei cittadini o meglio dei loro stipendiati rappresentanti. I quali – con una dose di “responsabile” dialettica politica - si dovrebbero incaricare di “comporre interessi divergenti” armonizzandoli in un “democratico e pluralistico confronto”… Il tutto accompagnato dai redditi, derivanti da una valorizzazione del capitale, distribuiti (anzi, prelevati…) anch’essi democraticamente a seguito della costruzione di “ampie alleanze sociali”, nel rispetto degli interessi di ciascuna classe! Previa la comprensione internazionale, innanzitutto, delle esigenze di ciascuna nazione ed eventualmente della sua sovranità: quanto meno per salvaguardare la “dignità di ciascun paese”… Questo è il menù, in salsa democratica, servito in tavola dai camerieri “antagonisti”.

Il tentativo che la cosiddetta “sinistra borghese” persegue, giustificando la sua costituzionale presenza e attività, è quello di raccogliere un consenso popolare attorno al miraggio di un controllo degli “spiriti bollenti” del capitalismo. Si tratterebbe di convincere il “popolo” sulla possibilità – mediante un democratico controllo del denaro e dei bilanci pubblici – di ridare al capitale una “giusta valorizzazione” (che gli spetterebbe di diritto…), senza la quale non si potrebbero garantire né posti di lavoro né salari ai proletari (non tutti…), con profitti e rendite ai capitalisti e alla loro coorte. Compresa una pseudo sinistra (borghese) che suona le trombe di una “ripresa dell’intervento pubblico diretto nell’economia, con una rinnovata riflessione sulle forme dello Stato”. Insomma, dovremmo darci da fare per organizzare una rinnovata “entità statale”. Opportunamente “socializzata”…

DC
Lunedì, January 31, 2022