I dilemmi borghesi sul Reddito di Cittadinanza o come “convincere” il proletariato a piegare la schiena

Allo stesso modo che i lavoratori devono essere protetti contro la morte per fame, essi non dovrebbero ricevere nulla che valga la pena di essere risparmiato_ […] _Coloro che si guadagnano la vita con il loro lavoro quotidiano, non hanno nulla che li stimoli ad essere servizievoli se non i loro bisogni che è saggezza alleviare, ma sarebbe follia curare. L'unica cosa che possa rendere assiduo l'uomo che lavora è un salario moderato. Un salario troppo esiguo lo rende a seconda del suo temperamento o pusillanime o disperato, un salario troppo cospicuo lo rende insolente e pigro (1).

All'inizio dell'estate scorsa, quando si stava per aprire la stagione vacanziera e la borghesia del “tempo libero” spasimava per riaprire tutto quello che era stato chiuso o rallentato dalla pandemia, facendo finta di credere che il contagio fosse ormai alle spalle, si è riaperta anche l'annosa questione del Reddito di Cittadinanza (RdC). Cavallo di battaglia dei 5Stelle, introdotto dal governo Conte 1, era destinato, secondo gli allora bellicosi scassinatori della “scatoletta di sgombro” parlamentare, ad abolire niente meno che la povertà, in quanto avrebbe dato un reddito sicuro a chi reddito ne percepiva poco o niente (almeno, “in bianco”) e, contemporaneamente, avrebbe stimolato la creazione/ricerca di nuovi posti di lavoro, tramite anche le cosiddette condizionalità associate all'erogazione. Una di queste era che i percettori del RdC non avrebbero potuto rifiutare la terza offerta di lavoro presentata dai Centri per l'Impiego, affiancati dai navigator, anche se questo avrebbe comportato un trasferimento in un luogo molto lontano dalla propria residenza. Una classica misura di workfare, come si dice, ossia l'erogazione da parte dello stato di un sussidio, in cambio appunto dell'accettazione di un lavoro, qualora fosse stato proposto.

L'altro compare del Conte 1, la Lega, amava pochissimo (si sa) l'adozione della bacchetta magica anti-povertà, ma l'accettò come merce di scambio per un'altra misura ritenuta miracolosa, sia per attenuare la ferocia della legge Fornero, che, ancora una volta, per creare occupazione: “Quota 100”. Forse – anche se dubitiamo – i due partiti, che spacciavano i loro elisir di lunga vita da ciarlatani quali sono, credevano davvero nelle proprietà straordinarie delle loro ricette, di certo pensavano che sarebbero state due esche eccellenti per riprendere all'amo milioni di potenziali votanti, sfiancati e arrabbiati (giustamente) da povertà, precarietà lavorativa, sottosalario, mancanza di prospettive per il futuro, se non quella di lavorare fino all'esaurimento psico-fisico (avendolo, il lavoro...) prima di poter andare in pensione. Naturalmente, i magnifici risultati promessi dalle due leggi sono rimasti sulla carta, in primo luogo per quanto riguarda la crescita dell'occupazione, indipendentemente dalla pandemia che, come per altri aspetti, ha accelerato e aggravato una tendenza in atto da tempo. In sostanza, la crisi sanitaria si è presentata giusto un anno dopo che il RdC e “Quota 100” erano entrati in vigore, ma già allora si vedeva chiaramente che di nuovi posti di lavoro non se n'erano creati granché, anzi.

Dopo la separazione non consensuale con cui la Lega ha rotto il matrimonio del Conte 1, ora i due ex coniugi si ritrovano sotto lo stesso tetto del governo Draghi, con Salvini che, da quel furbastro che crede di essere, spara a zero contro la “bandiera” dei 5 Stelle, per presentarsi come il vendicatore di quel settore borghese di cui si parla sopra, che vedeva (e vede) nel RdC il principale ostacolo alla ripresa dei propri affari. Coerente con la meritata immagine di pescatore nel torbido, con un piede sta nel governo, con l'altro ovunque ritiene si possa incrementare il bottino elettoralesco, purché la “causa” abbia un inequivocabile contenuto antiproletario e, più in generale, antiumanitario. Non ci potevano essere dubbi, quindi, che si schierasse dalla parte di ristoratori, albergatori, gestori di lidi e compagnia varia, che alle soglie dell'estate facevano fuoco e fiamme contro i percettori del RdC, accusati di compromettere la stagione imminente a causa del sussidio troppo generosamente (cioè, immeritatamente) elargito dal governo. Questi fannulloni – dicevano i signori appena nominati – invece di tirarsi su le maniche, preferivano passare le giornate sdraiati sul divano, godendo di un reddito sicuro – non stratosferico, ma pur sempre a sbafo – piuttosto che guadagnarsi lealmente la vita lavando pentole, tirando pavimenti, pulendo spiagge ecc. In realtà, com'era ovvio che fosse, la stagione estiva è trascorsa regolarmente, non si è assistito al tracollo economico del turismo e, anzi, le reti televisive l'estate passata si sono sprecate nel mandare in onda servizi in cui albergatori e simili si compiacevano per il buon andamento, se non ottimo, degli affari; insomma, tutto sommato la carenza di manodopera si è rivelata un timore infondato. Se mai, quella paura ha mostrato la coda di paglia di quel settore della borghesia, perché se temeva – e ancora dice di temere – che circa 580 euro (l'assegno mensile medio del RdC) potessero fare concorrenza ai salari elargiti nel comparto del turismo e della ristorazione, significa solo che quegli stipendi sono in realtà sottosalario, sia in assoluto sia, a maggior ragione, in rapporto agli orari e ai carichi di lavoro. Da più parti, e di solito in chiave riformista, sono state pubblicate inchieste e testimonianze relative a quel comparto lavorativo, caratterizzato da un'estesa area di lavoro nero e “grigio”, giornate interminabili, protervia padronale che non raramente si esprime anche con molestie e un volgare, disgustoso atteggiamento sessista nei confronti della forza lavoro femminile, a cui vengono richieste “bella presenza” e forme procaci. Anche da questo punto di vista, e ancora una volta, niente di nuovo sotto il sole della borghesia, così come niente di nuovo la riprovazione morale da parte dei rappresentanti – tra i più squallidi – del ceto politico borghese che se la prendono con i percettori del “divano di cittadinanza” (il RdC), che preferirebbero passare le loro giornate oziando appunto sul divano, piuttosto che misurarsi con la sana fatica di un lavoro onesto. Sembra di sentire le critiche del “prete Malthus”, che duecento anni fa tuonava contro le misure assistenziali “a favore” dei poveri, perché li disabituavano – diceva – al lavoro e li spingevano a riprodursi in maniera sconsiderata, accaparrandosi parassitariamente risorse che sarebbero dovute andare a ben altri soggetti sociali: il rischio era quello di compromettere tanto l'assetto economico della società quanto l'equilibrio ecosistemico (si direbbe oggi) del Pianeta, sconvolto da tanti mangiatori a ufo (i poveri oziosi, per l'appunto). La strada giusta sarebbe stata, quindi, quella di non alleviare in alcun modo la povertà, lasciando che la morte per fame e il bisogno mantenessero il giusto equilibrio tra risorse disponibili e accettazione del lavoro salariato. Queste idee, intrise di odio e di disprezzo per i poveri, sono riprese, tra i tanti, dai Renzi e dai Salvini che, com'è noto, trascinano la propria grama esistenza tra fatiche e privazioni: l'uno, intrufolato in qualche consiglio d'amministrazione fra Russia e Arabia Saudita, l'altro, che non ha mai alzato una paglia in vita sua, costretto a tirare faticosamente a fine mese con uno stipendio da parlamentare europeo o da senatore della repubblica fondata sul lavoro, degli altri. Fedeli a se stessi e al loro illustre antenato britannico, propongono di eliminare l'esoso nonché immorale RdC, per reindirizzare le risorse in tal modo risparmiate alle imprese, che avrebbero una dote finanziaria aggiuntiva da investire per creare nuova occupazione.

Non è da meno la “ducessa” di Fratelli d'Italia onorevole Meloni, la quale, gareggiando in volgarità e spudoratezza coi suoi degni colleghi parlamentari, non si fa scrupolo di definire “metadone di stato” il misero assegno mensile, fragilissimo riparo dalla povertà e, come i suoi compari, propone di devolverlo al padronato, sicura che saprà farne buon uso per moltiplicare evangelicamente i pani e i pesci dei nuovi posti di lavoro.

Se non fossimo armati dello strumentario teorico-politico del marxismo, ci sarebbe da rimanere sconcertati per il consenso che quei rappresentanti del politicantume borghese – e, se possibile, nella variante più becera – riscuotono tra alcuni strati di proletariato, ma sappiamo bene che quel consenso è indice del fortissimo arretramento politico complessivo della classe proletaria, a sua volta frutto dei processi di scomposizione/ricomposizione in atto da decenni e al danno incalcolabile che la controrivoluzione staliniana da quasi un secolo ha prodotto nella classe, di cui la mancanza di un punto di riferimento autenticamente comunista è il dato più drammatico.

In sé, non è nuovo l'assoggettamento politico-ideologico di settori proletari più o meno ampi ai partiti borghesi, specie se si presentano come “popolari” (in Italia, la DC), e nella variante di estrema destra detta sovranista. Nuovo è il fatto che non ci siano più forze che si richiamano al lavoro salariato, pur se in chiave riformista, che abbiano un certo radicamento nella classe. Sia chiaro, non abbiamo nessuna nostalgia di quella forze, schierate sulle barricate controrivoluzionarie della socialdemocrazia vecchia e nuova, e che anzi hanno una responsabilità primaria per la confusione, il disorientamento, la perdita di speranza in un'alternativa alla società borghese in cui sprofonda parte del proletariato, esposto senza ripari alle sirene della posizioni più reazionarie della borghesia.

Il RdC fa imbufalire, dunque, padroni – forse in primo luogo i piccoli – e politicanti che strizzano l'occhio al “popolo”, di cui si spacciano per i più sinceri difensori, purché sia bianco e sia convinto o si lasci convincere che la causa di tutti i mali sono quelli che stanno ancora più in basso, all'ultimo gradino della povertà, della sottoccupazione, per non dire della disperazione sociale. Ma in che cosa consiste questa misura così invisa a una parte significativa della borghesia? Tutto sommato, lo si è già accennato, è davvero poca cosa, non da ultimo se paragonata al fiume di denaro che i governi hanno messo nelle tasche del padronato nonché delle banche in questi due anni di pandemia e nella crisi dei subprime del 2008.

Per usufruire del RdC, entrato in vigore nel marzo del 2019, bisogna rispettare una serie di condizioni, la prima delle quali impone di non superare un reddito di 9360 euro l'anno, aumentabile (di poco) in presenza di figli minori o di disabili. Ci sono altre clausole, ma la più importante è questa. La cifra è calcolata sulla base del nucleo familiare, non dei singoli, è già questo dice che gli aspiranti “divanisti” devono proprio appartenere alle fasce economicamente più basse del proletariato per potere godere di tanta generosità borghese. Ma benché la povertà assoluta nel 2020 sia cresciuta di un milione di persone, coinvolgendo il 5,6% delle famiglie, tocca solo al 44% dei potenziali percettori (fonti Caritas), perché, come esigeva Salvini, sono esclusi moltissimi immigrati (tra i quali la povertà assoluta ha percentuali cinque o sei volte superiori a quella degli italiani), in quanto non residenti da almeno dieci anni in Italia. Non a caso, gran parte dei poveri assoluti esclusi dal RdC risiede al Nord, perché è in quest'area che è concentrata la maggioranza degli immigrati., anche se, naturalmente, non è solo il proletariato immigrato a essere considerato troppo ricco per poter ricevere il sussidio, anzi. Dunque, se il “duce” leghista aveva imposto che l'assegno di povertà andasse “prima agli italiani”, adesso lo slogan dovrebbe cambiare in “nemmeno agli italiani”, perché è questo a cui punta l'area sovranista e quella apertamente neoliberista che va dal Berlusca (2) all'ex enfant prodige del centro-sinistra Renzi. È quell'ala della borghesia che, parafrasando Reagan, pensa che il miglior welfare state sia una polizia efficiente in grado di rimandare gli scioperanti al lavoro senza tante storie, che la fame nuda e cruda sia lo stimolo più efficace ad accettare un posto di lavoro non importa quale. È la stessa posizione assunta negli USA dai governatori repubblicani di diversi stati, che hanno revocato con alcuni mesi di anticipo i “bonus-covid” ai disoccupati e a coloro che avevano perso più o meno temporaneamente il lavoro a causa della pandemia, convinti appunto che la prospettiva di “rimanere a piedi” dall'oggi al domani avrebbe spinto i “fannulloni” a riempire i vuoti nell'organico lamentati dai padroni della ristorazione, ma anche delle scuole e di altri settori dei servizi. Pare però che così non sia, che quei posti di lavoro siano ancora in attesa di essere occupati e allora ecco che la causa non viene cercata nei salari insufficienti nemmeno per la sopravvivenza (se non accumulando due o tre lavori contemporaneamente), nell'estrema precarietà e nelle condizioni addirittura sub-umane degli impieghi, ma, malthusianamente, nell'esistenza delle mense dei poveri, nelle modeste sovvenzioni per i figli a carico e nei quasi impalpabili programmi di assistenza sanitaria, per altro variabili da stato a stato. In queste pratiche politiche, non c'è solo la paura e l'odio del borghese nei confronti del proletariato e di quelle che considera spudorate pretese, c'è anche la profonda inquietudine nascente dalla coscienza che in questa fase storica solo uno sfruttamento illimitato della “propria” classe lavoratrice può permettere il proseguimento del processo economico e assicurare la profittabilità dell'impresa. Se Biden, per rimediare alla carenza di manodopera, invita gli imprenditori a pagare di più la forza lavoro, è solo, naturalmente, per interpretare il ruolo di (finto) amico della classe operaia, perché sa benissimo che solamente solo poche grandi aziende a carattere monopolistico o quasi possono permettersi di alzare i salari (vedi Amazon, McDonald's, WalMart, per es.), il cui aumento è stato permesso e compensato preventivamente da un'intensificazione dello sfruttamento (più plusvalore, assoluto o relativo) e da un'inflazione che cammina più in fretta degli aumenti salariali. Difatti, la temuta, dalla borghesia, “inflazione salariale” rimane solo una (falsa) paura e non può essere diversamente, perché una tendenza pluridecennale (3) non è invertita da perturbazioni del mercato del lavoro che, al momento, si prospettano temporanee, anche se la pandemia rischia di prolungarsi al di là delle più pessimistiche previsioni. Certo, una ripresa in massa della lotta di classe proletaria potrebbe forse costringere il capitale a concedere momentaneamente qualcosa sul piano salariale-normativo, ma questo non farebbe altro che aggravare le difficoltà del processo di accumulazione, obbligando la borghesia a ricorrere alla repressione aperta, ammesso che non l'abbia già fatto schiacciando sul nascere l'insorgenza della classe. Una classe che, ad oggi, continua continua a subire impoverimento, precarietà, peggioramento delle condizioni di lavoro – non ultima la sicurezza – sulle due sponde dell'Atlantico (per non dire ovunque) e che le misere integrazioni al reddito, elargite selettivamente col bilancino, riescono malamente a riparare, se così si può dire, dalle situazioni più gravi.

Si diceva prima che il RdC tocca solo al 44% dei poveri, cioè poco più di 1,6 milioni di famiglie, vale a dire circa 3,7 milioni di persone nel bimestre giugno-luglio 2021, «per un importo medio – al mese – di 579 euro» (4). È un dato pesante, ma che non stupisce: più volte abbiamo analizzato le trasformazioni in peggio della e nella composizione di classe. Riportiamo ancora qualche numero, a rinforzo di quelli già citati, sull'estensione dei “working poors”. Secondo la Fondazione Di Vittorio (CGIL), che si rifà a dati dell'INPS, «[dai dati] del 2019 relativi ai salari lordi annui dei lavoratori del settore privato non agricolo (esclusi i lavoratori domestici) si rileva un salario medio totale di circa 22 mila euro lordi annui. Oltre 5 milioni di questi lavoratori hanno un salario medio lordo molto basso che si colloca tra 5586 euro e 9814 euro annui, determinato soprattutto da discontinuità lavorativa» (5). È in questo bacino, oltre che in quello dei disoccupati, che “pesca” il RdC, per riproporre impieghi della stessa tipologia, se non peggio, quando e se riesce a crearli, i nuovi posti di lavoro. Dei tre milioni e passa di persone che “godono” dell'assegno statale, almeno due terzi nono sono occupabili, perché troppo giovani o troppo anziani, disabili, madri sole che non possono accettare un lavoro perché non sanno a chi affidare i figli: come si diceva, lo strato più povero e oppresso del proletariato. Il terzo restante, quando trova il lavoro, questo è a bassa qualificazione, temporaneo e, va da sé, a basso salario. Se la tabella che segue corrisponde al vero (6), anche chi lavora nella manifattura (dove la percentuale del tempo indeterminato è più alta, ma nemmeno la metà dell'occupazione totale) ha un reddito molto lontano dalla soglia massima consentita.

La cosiddetta occupabilità che esso dovrebbe promuovere è dunque un'illusione, nel migliore dei casi, ma perseguita tenacemente dall'ala “liberal” della borghesia, la quale, per correggere i presunti errori che impedirebbero alla legge di dispiegare la sua efficacia, pensa di rendere più stringenti alcune clausole (7) o di abbassare il livello del reddito massimo. In questo senso vanno le proposte degli economisti Boeri e Perotti, secondo cui i 9360 euro superano del 30% la soglia di povertà fissata per il Sud, il che disincentiverebbe i poveri ad accettare posti di lavoro evidentemente poco attraenti da più punti di vista, in primo luogo da quello economico. Nella sostanza, si tratta delle stesse raccomandazioni dell'OCSE di fine estate che, mentre suggerivano di allargare la platea degli aventi diritto, consigliavano di abbassare l'importo del RdC, per spronare i poveri oziosi a non fare tanto gli schizzinosi. Ma è anche, di fatto, il senso delle affermazioni di Draghi a fine ottobre, perché, mentre si pronuncia a favore dell'idea del RdC, ritiene che il sussidio così com'è sia

un chiaro disincentivo ad accettare un lavoro “in bianco” [e un incentivo] ad accettare un lavoro “in nero” (8).

Da quando il modo di produzione capitalista è venuto al mondo, la borghesia ha sempre oscillato tra due “visioni” sul modo di gestire la forza lavoro per spingerla a sottomettersi al lavoro salariato: per sintetizzare, Malthus o De Mandeville. O la minaccia della morte per fame, col rischio però di esplosioni improvvise di rabbia, controllabili con la violenza aperta, oppure attraverso una gestione “compassionevole” della fame, che convinca con le buone, per così dire, a subire lo sfruttamento e il dominio padronali. Naturalmente, i due sistemi non sono nettamente separabili, l'uso dell'uno non esclude l'uso dell'altro e, soprattutto, sono legati allo stato di salute del processo di accumulazione, di quello dei diversi settori economici e, non certo da ultimo, alla lotta di classe. Quanto più le famigerate compatibilità si restringono, quanto più la lotta di classe proletaria latita, tanto più la borghesia è spinta a fare strame della forza lavoro. Al contrario, nelle fasi ascendenti del ciclo di accumulazione, se la classe lotta con determinazione, anche solo sul terreno tradeunionistico-rivendicativo, si aprono spazi per miglioramenti, sempre nel rispetto rigoroso delle compatibilità della fase. Certo, però, che nella nostra epoca, caratterizzata da una crisi storica del ciclo di accumulazione, i margini di manovra riformisti – ammesso che esistano – sono davvero poca cosa e quel poco che viene dato con una mano, per cercare di amministrare il profondo malessere sociale e disinnescarne il potenziale esplosivo, viene ripreso a usura con l'altra. Si vuole allargare la platea dei possibili percettori del RdC, che viene rifinanziato con un miliardo di euro in più (pare), ma contemporaneamente si pensa di restringere i criteri di concessione e lo stesso assegno mensile: lavorare peggio, lavorare “tutti”, con salari più bassi. Si smezzano le briciole per distribuirle a più persone...

E i “nostri” riformisti? Al solito, è meglio stendere un velo pietoso. Incapaci di capire come funziona il mondo del capitale, si accaniscono, come sempre, nel rivendicare cose che la borghesia mai si sognerebbe di concedere neanche se navigasse in acque molto migliori di quelle in cui naviga oggi. Criticano il RdC perché non è un assegno universale contro la povertà, ma un misero intervento volto a tamponare in maniera raffazzonata alcune situazioni di grande disagio sociale (com'è di moda dire oggi). Vero, ma ritenere che la borghesia possa concedere ai poveri, ai disoccupati, ai sottoccupati un assegno mensile “dignitoso”, indipendentemente dalla produzione di plusvalore è come credere a Babbo Natale. Se non c'è la costrizione della sopravvivenza, almeno, chi mai accetterebbe il lavoro salariato? Senza contare che ogni intervento assistenziale, a seconda dell'angolo visuale da cui lo si guarda, può rivelarsi non solo e non tanto un magro sostegno al salario, ma soprattutto un finanziamento al padronato che, grazie all'intervento statale, può tenere bassi i salari, perché sono integrati dall'assistenza pubblica. Finanziamento statale significa poi imposizione fiscale, a cui il lavoro dipendente non può sfuggire, a differenza della borghesia, quindi si potrebbe dire finanziamento proletario (9).

Certi riformisti dicono che il RdC serve a proteggere dalle forme più brutali di sfruttamento, che consente di affrontare da posizioni di minore debolezza i ricatti dei padroni, avendo le spalle coperte da un reddito. Può essere, in alcuni casi, ma certo che 580 euro sono una coperta molto corta, che lascia senza riparo la gran parte delle spalle o delle gambe. Può essere, ma ci sembra più probabile quello che, da un punto di vista opposto al nostro, diceva Draghi per “aggiustare” il RdC: fungere da finanziatore della borghesia che sfrutta in nero una forza lavoro, che, sommando i due redditi, può campare alla meno peggio e annacquare la propria rabbia proprio grazie al sussidio dello stato. Ma se venissero varate le restrizioni al RdC, c'è il rischio che si espandano ancora di più le forme di sfruttamento e sottosalario tipiche del lavoro nero e in forma legalizzata, che paga qualche imposta in più allo stato. Infatti, se il beneficiario del RdC non può rifiutare offerte di lavoro “congrue” (?), che rispettino le condizioni di legge, in particolare quella secondo cui il salario del nuovo impiego deve essere superiore almeno del 10% al RdC (10), quale padrone “caritatevole” non sarà tentato di pagare un salario grosso modo equivalente a quella cifra? Anche perché, com'è già stato detto, la stragrande maggioranza di coloro che hanno trovato un'occupazione, firmando il Patto per il Lavoro associato al RdC, lo ha trovato in quei settori a bassa qualificazione dove la concorrenza tra disoccupati è più forte e quindi l'imprenditore ha maggiore potere di ricatto.

Oggi – metà novembre – niente di definitivo è stato deciso sul RdC, ma probabilmente subirà un giro di vite (magari con altri ammortizzatori sociali, come la NASPI), anche perché la reattività della classe, molto scarsa, lascia alla borghesia margini di manovra più grandi di quanti non ne abbia già. In questi tempi bui, l'assenza dell'azione cosciente del proletariato, quindi del partito comunista, non è meno drammatica della catastrofe climatica incombente, anzi, è il cuore dei problemi che affliggono gli sfruttati e i diseredati del mondo intero ossia la schiacciante maggioranza dell'umanità.

Per quanto ci riguarda, non smetteremo di lavorare per forgiare lo strumento con cui la classe lavoratrice può aprire la porta a un mondo diverso e migliore: l'organizzazione internazionale del proletariato rivoluzionario.

CB

(1) Bernard De Mandeville, La favola della api. 1728, citato in Karl Marx, Il Capitale, Libro I, vol. 1, cap. XXIII, Einaudi, pag. 756.

(2) Verso fine novembre, Berlusconi, da “cabarettista” consumato qual è, si è improvvisamente schierato a favore del RdC, ribaltando la posizione che il suo schieramento ha sempre avuto, ma non c'è nessun dubbio che la sua dichiarazione è strumentale, in funzione dei soliti giochi politicanteschi: chissà, forse anche in relazione alle elezioni preseidenziali.

(3) Di perdita del potere d'acquisto di salari e stipendi. Questo vale non solo per gli States, al contrario. Per rimanere in Italia, vale la pena riportare i risultati di una ricerca condotta per conto dell'INPS, che dà qualche dato in proposito:

… si osserva un trend crescente nel tasso di povertà da lavoro: dal 26% del 1990 al 32,4% nel 2017 nel caso della povertà relativa calcolata sui salari annui, con un trend simile quando si usa la soglia assoluta. Anche l'intensità della povertà – ovvero quanto si è distanti dalla soglia – è aumentata nel tempo; l'indice di poverty gap, riferito alla povertà relativa, è aumentato dal 13,8% nel 1990 al 17,9 nel 2017 […] Sul versante retributivo, ha inciso il cambiamento nella struttura occupazionale avvenuto negli ultimi trent'anni, con la crescita di settori low-skilled, come quello dei servizi a famiglie e turistici, nei quali la retribuzione non è sufficiente per uscire dalla spirale della povertà.

Michele Bavaro, I working poor tra salari bassi e lavori intermittenti, Il Menabò di EticaEconomia, n. 157/2021

Naturalmente, il ricercatore non prende in considerazione l'apporto fondamentale del sindacato con la sua connivenza nei confronti dell'attacco padronale in atto da decenni alla classe salariata, a sua volta frutto delle difficoltà dovute a un saggio di profitto insoddisfacente.

(4) Pier Giorgio Ardeni, il manifesto, 8 settembre 2021. La Campania è la regione con l'importo medio più alto, attorno ai 640 euro.

(5) F. Fammoni, La precarietà occupazionale e il disagio salariale in Italia, Fondazione Giuseppe Di Vittorio, maggio 2021.

(6) AA.VV, Reddito di cittadinanza: chi lo riceve ha una carriera contributiva “povera”, Menabò n. 155/2021.

(7) Per esempio, diminuire l'assegno dopo il primo rifiuto di un posto di lavoro o di revocarlo dopo due rifiuti.

(8) Vedi R. Ciccarelli, il manifesto, 29 ottobre 2021.

(9) A proposito del sostegno pubblico al salario che finisce per essere un sostegno ai padroni, si veda quanto dice Marx a proposito della Speenhamland law (1795) nel capitolo XXIII del Capitale, libro I Einaudi, pagg. 739, 830-831.

(10) M. Minenna, Lavoro stagionale e reddito di cittadinanza: una convivenza possibile, Il Sole 24 ore, 12 luglio 2021.

Domenica, December 19, 2021

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.