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Home ›Domenico “Mimmo” Lucano, Riace e le “esemplari” condanne borghesi
Con la condanna di Mimmo Lucano, insegnante sessantreenne, ex sindaco del comune di Riace per tre mandati consecutivi, paladino dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti, il messaggio indirizzato verso chi in qualche maniera resiste allo sfruttamento e alla barbarie crescente della società borghese, fa chiaramente intendere quanto basso sia il limite della compatibilità borghese nei confronti della qualità di vita e lavoro proletari.
Riferimento vivente per tutto un universo di movimenti che della compatibilità borghese hanno fatto la loro bandiera, proponendo vecchie ricette di redistribuzione della ricchezza su di un percorso istituzionalizzato e democratico, si presume verso il socialismo. Questi soggetti politici, alla perenne ricerca di visibilità, costituiscono l’argine sinistro della compagine politica borghese e si ritrovano ora esclusi dalla sopraggiunta incompatibilità, anche sullo stesso piano riformista, prodotta dall’avanzare della crisi del sistema capitalista. Nessuna rivoluzione all’orizzonte, ma solo l’illusione di poter amministrare il capitalismo e le contraddizioni che esso produce in un contesto culturale che della rivoluzione, quale condizione “minima” delle istanze proletarie, ne pone l’obiettivo posticipandolo ad un remoto futuro, a “giorni migliori”, confondendola con la ricerca di maggioranze parlamentari, possibilmente bulgare! Questi soggetti ne parlano, purtroppo, della rivoluzione, ma il loro è un “atteggiamento” utile a conferirgli credibilità presso la classe, vogliono passare come intransigenti, ma sono disponibili a qualunque accordo.
Il bilancio politico della esperienza Riace sembra per costoro però tutt’altro che fallimentare e l’approdo istituzionale della vicenda viene rimandato ai successivi gradi di giudizio che dovranno “necessariamente” ribaltare l’attuale sentenza.
Tutta la nostra solidarietà va a chi, affrontando le pastoie burocratiche borghesi è riuscito a garantire il minimo indispensabile per condurre una vita “normale” a persone disperate e senza prospettive, divenute criminali in quanto da “irregolari” (civile) sono passate a “clandestine” (penale) tout-court con la Bossi-Fini.
I reati contestati a Lucano sono risibili, le migliaia di morti annegati nel Mediterraneo prodotte dagli accordi internazionali sono lì a testimoniare a suo favore.
Ogni lotta di civiltà intrapresa vale per l’intera società, la cui connotazione classista ne determina però il percorso. I generici appelli al rispetto della Costituzione, ai “padri fondatori”, il rivendicare leggi “giuste” rafforza però il pensiero dominante borghese, affermandolo, anche quando contraddice il gretto impulso proveniente dalla sua stessa asfittica base economica in cerca di valorizzazione.
Michele Permunian, il pubblico ministero dell’inchiesta su Mimmo Lucano che ha chiesto sette anni e undici mesi di condanna, divenuti tredici e due mesi, dichiara “Vivo un conflitto interiore, come persona e come magistrato”, il procuratore di Locri Luigi D’Alessio contesta invece una accoglienza “riservata a pochi eletti che avevano occupato le case” e, prosegue, “manteneva sempre gli stessi, sottomessi. Gli altri li mandava nell’inferno delle baraccopoli di Rosarno”. Dunque, Mimmo, oltre ad aver “turbato” alcune candide coscienze dilapidando, secondo costoro, i soldi dei contribuenti, non avrebbe accolto tutti i migranti condannandone la maggioranza a vivere nelle baraccopoli... sì proprio lui. Grottesco! Questa è la visione desolante, da un punto di vista genericamente umanitario, ma perfettamente coerente con la loro visione, dei rappresentanti dello Stato borghese e democratico che ruotano attorno alla vicenda Riace!
Non si tratta di “carenza legislativa”, ma cosciente metodo di controllo sociale quando non sono presenti condizioni economiche che permettano, con le briciole, di “far contenti tutti”, per cui le questioni socio-economiche diventano allora problema di ordine pubblico.
Le forme istituzionalizzate di protesta, passando per sigle, deleghe e rappresentanze sindacali varie, non sono in grado di esprimerne gli esclusivi interessi della classe, che non è “popolo” indistinto, anche se giustamente indignato. L’attivismo non può essere considerato lotta di classe e i generici appelli all’antifascismo e anticapitalismo non possono sostituire le “conquiste sociali” frutto delle lotte operaie, strappate con la forza ai padroni e ai loro servi della politica.
Un salto di qualità può avvenire solo a condizione di includere la classe operaia in quanto produttori di profitto, in grado di bloccare con le loro proteste la produzione, unica vera arma nelle mani degli operai altrimenti ridotta a mozione di principio in cerca di approdi legalitari presso la controparte borghese… che ringrazia!
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